Augusto Del Noce secondo Marcello Veneziani
Barzellette a colazione
Oggi
Veneziani sulla “Verità” scrive, tra le altre cose, della necessità di tornare al pensiero di Augusto Del Noce. Inciso pettegolo: da
trentenne l’intellettuale di Bisceglie riuscì a strappare una prefazione
a Del Noce, pochi giorni prima che morisse, al suo libercolo
intitolato Processo all’Occidente. Roba che tra i neofascisti del tempo, affamati di considerazione nonostante il dichiarato ribellismo romantico, faceva curriculum.
In realtà, Del Noce, morto il 30 dicembre 1989, filosofo stupidamente marginalizzato dai progressisti di vario orientamento, si ritrovò, come compagni di strada indesiderati piazzisti delle idee come Veneziani. Ben diverso invece fu il rapporto di Del Noce con Giano Accame, di tipo paritario, senza alcuna ipoteca utilitarista o leccarda, alla maniera di quelle vaschette per raccogliere il grasso delle appetitose carni cotte al forno...
Del Noce, come notato da Gianfranco Lami e dallo stesso Accame, era uomo psicologicamente fragile, solo testa ( e che testa...), divenuto professore ordinario quasi in età di pensione a causa di ostracismi accademici. A lui dobbiamo libri problematici, ricchi di sfumature, intuizioni, prospettive folgoranti. A chiunque lo studi seriamente, una volta giunto alla fine della densa pagina delnociana, ricchissima di citazioni, capita di interrogarsi su dove inizi il pensiero di un autore citato e dove cominci quello di Del Noce...
E questo perché il filosofo reinventava continuamente l’altrui pensiero, alla luce - ecco la differenza con il pensiero conservatore e reazionario - di un’antropologia filosofica aperta che condivideva l’idea cristiana di uguaglianza come punto di partenza della visione liberale dell’uomo. Per inciso, e a proposito di assonanze tra cristianesimo e liberalismo si veda l'eccellente sintesi appena uscita del filosofo politico spagnolo Dalmacio Negro, La tradición de la libertad (Uníon
Editorial - Centro Diego de Covarrubias, Madrid 2019),
Il percorso delonociano fu un viaggio al termine dell’Occidente, non una celebrazione del suo declino, come piace tuttora propugnare a certa destra, soprattutto neofascista. Se si dovesse dare una definizione cognitiva del cammino intellettuale di Del Noce, il termine giusto potrebbe essere quello di individualismo metodologico: un approccio lontanissimo dalle derive oliste del tradizionalismo paganeggiante alla Veneziani. Società aperta contro società chiusa, per semplificare.
Manca tuttora un studio approfondito del liberalismo delnociano, che, crediamo, si riallacci al liberalismo giobertiano, tutto rivolto, quest'ultimo, a coniugare individuo e nazione, anteponendo alla nazione l'individuo visto come persona alla luce del cristianesimo ugualitario. Il che vale per Gioberti come per Del Noce.
Dunque parliamo di un’interpretazione della nazione assolutamente opposta a quella del fascismo, che vedrà nello stato-nazione, complice il travisamento orbaceo di Gioberti (ma anche di Mazzini) compiuto da Gentile, un’ entità che precede, ingloba e sottomette l’individuo.
Quel che pseudo-interpreti come Veneziani fanno finta di dimenticare ( o proprio non sanno), è che Del Noce estende la sua dirompente critica all’azionismo, come forma di costruttivismo (tesi che ci rinvia a Hayek e molto prima a Gioberti e Rosmini), agli eccessi ideologici non solo del liberalismo, del marxismo ma anche del fascismo. In particolare Del Noce critica a fondo la pretesa azionista di costruire a tavolino, e se necessario con la forza, l’italiano nuovo. Un utopismo perfettista, giacobino, ignoto a Gioberti, che giunge fino a Gobetti, Mussolini e oltre.
A detta di Del Noce, sotto questo profilo, il Risorgimento tradisce se stesso quanto più ipostatizza e naturalizza, via stato, l’idea di nazione, anteponendola a un uomo che invece è immagine di dio. E dunque per questo uguale ai suoi simili, sia nelle comune origini segnate dal peccato originale, sia nell'opportunità, tipica di un liberalismo ante litteram, racchiusa nella tomistica libertà di poter sempre scegliere tra il bene e il male. Il tutto, senza alcun falso orgoglio pelagiano o prometeico. Ma in semplicità. Di qui la possibilità di un riscatto interiore che rinvia a Dio e non alla Nazione. O peggio ancora a una nazione deificata.
Ovviamente, nel pensiero delnociano sussiste una critica radicale alle derive della tecnica, della politica, del relativismo, ma sempre in chiave di spiritualizzazione cristiana dell’uomo. E, attenzione, volontaria, ragionata e ragionevole. Mai imposta dall'alto, da uno stato onnisciente come Dio e ridotto a serbatoio della razza.
Che poi, come spesso ripetono i neofascisti, la visione della razza di Mussolini sia di tipo spiritualista non biologico suona come una barzelletta che lasciamo volentieri ai cabarettisti. Come Veneziani, Che ora ci vuole proporre, per dirla tutta, addirittura un Del Noce sovranista. Magari, vista l’ora, per farsi quattro risate, a colazione...
Carlo Gambescia