giovedì 30 maggio 2019

La Piattaforma Rousseau e la  legge ferrea dell' oligarchia
Luigi  Di Maio verrà sfiduciato?
Non è questo il punto…




Ci sbilanciamo. La  Piattaforma Rousseau probabilmente confermerà Luigi  Di Maio. Tuttavia, anche se non  dovesse confermarlo,  dal punto di vista della scienza politica non cambierebbe nulla.  Quindi la sfiducia o meno  non rappresenta il vero punto della questione.  Per quale ragione?    Perché, anche nel caso del Movimento Cinque Stelle, nonostante la retorica ultrademocratica, la scienza politica ci dice che  siamo dinanzi  al classico schema della mozione degli affetti. Uno schema  retorico che rinvia  al  concetto di un' oligarchia che si chiude su se stessa, soprattutto nelle fasi di crisi, per difendersi meglio e poi contrattaccare, valorizzando il valore della fedeltà,  a prescindere dai momentanei insuccessi.    

Ne parlò Roberto Michels  più di cento  anni fa  in un’opera classica di scienza politica: La sociologia del partito politico (*), dove si provava, analizzandone le strutture, come in realtà il partito socialdemocratico, all’epoca  giudicato da tutti ultrademocratico,  si piegasse alla legge ferrea dell' oligarchia. Principio politico-organizzativo, che secondo Michels, dominava ( e domina),  al di là del bene e del male,  qualsiasi forma  politico-sociale: dal partito allo stato. Perché per le leggi dell'organizzazione sociale, se una società vuole conservarsi, soprattutto se ampia e complessa,  non possono che essere in pochi a comandare. Altrimenti, a prescindere dal regime politico, si finisce nel caos. Chi dice società dice organizzazione, chi dice organizzazione dice oligarchia. Di qui, la legge ferrea, eccetera, eccetera.  Tesi sostenuta anche da altri  due giganti della scienza politica otto-novecentesca:  Mosca e Pareto.
Cosa abbiamo allora sulla tavola imbandita della politica di oggi?  Un partito, il Movimento Cinque Stelle, che persino nel  nome,  per civetteria democratica, non vuole però dichiararsi tale.  Un partito-antipartiti,  si dice,  che però  dopo una legnata  elettorale non può non  interrogarsi, come qualsiasi altro partito,  sulle capacità del proprio leader.  Il punto è che,  per ragioni politiche, sui cui contenuti è  inutile indagare, i reali leader del Movimento, Casaleggio jr e Grillo,  da quando si apprende, sembrano  essere  d’accordo  sul nome di Di Maio è sulla necessità  di far durare il governo. 
Su quest’ultimo punto si notino le rassicurazioni di Conte, già adeguatamente imbeccato,  al Presidente della Repubblica.  Scelta che  fa  il paio, con la mossa di Luigi Di Maio, evidentemente concordata con i vertici, di rimettersi,  “lui che  ha dedicato la sua vita al Movimento”  (ecco la mozione degli affetti), alla mitica Piattaforma Rousseau. Più  o meno a cinquantamila militanti, una pura minoranza, manovrabile dal mago digitale, Casaleggio jr,  a fronte dei milioni di elettori che domenica, liberamente,  hanno sfiduciato Di Maio.

Attenzione, da parte nostra non c’è alcun intento moralistico.  Tutti i partiti, come tutte le  forme di organizzazione politica, proprio perché tali,  si comportano inevitabilmente, soprattutto nelle situazioni di crisi, in termini di logica oligarchica. Ovviamente, secondo scale comportamentali, insite nel Dna ideologico delle diverse concezioni politiche. Culture differenti che però operano sempre in chiave auto-conservativa.  O comunque secondo ciò che i dirigenti ritengono utile alla conservazione del potere  del partito, conservazione che  inevitabilmente collima con il  mantenimento del loro potere. 
Coincidenza che spesso viene meno, oggettivamente parlando (dal punto di chi studia questi fenomeni). Il difetto di coincidenza spiega la natura ciclica del potere, i suoi alti e bassi insomma.  Perché  non sempre  le previsioni politiche  soggettive (di coloro che sono  studiati ) sono esatte.  Dal momento che tra ciò che la politica è,  e ciò che dovrebbe essere secondo le varie  ideologie politiche esiste un’enorme distanza. E non tutti,  tra gli attori politici, sono in grado  di comprendere e stabilire  fin dove ci si può spingere sul piano dei contenuti, dunque di coincidenza tra percezioni soggettive e realtà oggettiva. Ecco perché  chi studia la politica (chi studia gli attori...) deve prima concentrarsi sulla forma oligarchica dei fenomeni (la realtà oggettiva) ed eventualmente  dopo  sulle idee volte a giustificarla (la rappresentazione soggettiva della realtà).
Ora, per tornare in argomento, se un altissimo dirigente viene ritenuto utile, a torto o ragione, all’autoconservazione del potere interno ed esterno al partito,  dall’elite che governa il partito lo si conserva al potere. In  caso contrario lo si depone.

Evidentemente, Luigi Di Maio, per ragioni che qui non interessano, viene ancora ritenuto utile alla strategia politica del Movimento Cinque Stelle, che, probabilmente, visti i risultati di domenica, non è la strategia  gradita all’elettorato.    
Inutile però qui  discutere di strategie. Di contenuti. Quel che ci interessa provare è  come la legge ferrea dell’oligarchia -  autentica costante metapolitica -   continui a colpire, nonostante ogni retorica politica di tipo democratico.
Ci si può pure dichiarare ultrademocratici ed evocare il valore delle tecniche di espressione del voto più sofisticate, come fa il Movimento Cinque Stelle,  quando però si giunge al dunque, come nel caso Di Maio, non sono più  gli elettori che devono scegliere e  giudicare, come recita la retorica democratica, ma  il partito, e nel partito, le oligarchie che lo controllano. Altrimenti, le dimissioni di Luigi Di Maio sarebbero state immediate e irrevocabili.   Come dire? A furor di popolo (elettorale).
Attenzione però, come dicevamo all'inizio,   anche la  mancata  conferma non inficerebbe la legge michelsiana,  perché a decidere  è  comunque una  minoranza.   Il che ripetiamo è  un fatto di fisiologia politica:  non c’è nulla di male.  Se non il nasconderlo  dietro una retorica ultrademocratica che disorienta gli elettori  facilitando il lavoro dei demagoghi e dei nemici della democrazia.  Proprio come fa il Movimento Cinque Stelle.
Ma questa, almeno per oggi, è un’altra storia. 
Carlo Gambescia



(*) Roberto Michels, La sociologia del partito nella democrazia moderna (1911, 1° ed. in lingua tedesca),  Introduzione di Juan.J. Linz, Il Mulino, Bologna 1966.  Opera esaurita da anni,  che andrebbe ristampata.   Per una sintesi della teoria michelsiana  si veda il suo  Studi sulla democrazia  e sull'autorità. Qui:   https://www.edizioniilfoglio.com/copia-di-liberalismo-triste .