Luigi Di Maio verrà sfiduciato?
Non è questo il punto…
Ci
sbilanciamo. La Piattaforma Rousseau
probabilmente confermerà Luigi Di Maio. Tuttavia, anche se non dovesse confermarlo, dal
punto di vista della scienza politica non cambierebbe nulla. Quindi la sfiducia o meno non rappresenta il vero punto della questione. Per quale ragione? Perché, anche nel caso del Movimento Cinque Stelle, nonostante la retorica ultrademocratica, la scienza politica ci dice che siamo dinanzi al classico schema della mozione degli affetti. Uno schema retorico che rinvia al concetto di un' oligarchia che si chiude su se stessa,
soprattutto nelle fasi di crisi, per difendersi meglio e poi contrattaccare,
valorizzando il valore della fedeltà, a prescindere dai momentanei insuccessi.
Ne
parlò Roberto Michels più di cento anni fa
in un’opera classica di scienza politica: La sociologia del partito politico (*), dove si provava, analizzandone
le strutture, come in realtà il partito socialdemocratico, all’epoca giudicato da tutti ultrademocratico, si piegasse alla legge ferrea dell' oligarchia.
Principio politico-organizzativo, che secondo Michels, dominava ( e domina), al di là del bene e del male, qualsiasi forma politico-sociale: dal partito allo stato. Perché per le leggi dell'organizzazione sociale, se una società vuole conservarsi, soprattutto se ampia e complessa, non possono che essere in pochi a comandare. Altrimenti, a prescindere dal regime politico, si finisce nel caos. Chi dice società dice organizzazione, chi dice organizzazione dice oligarchia. Di qui, la legge ferrea, eccetera, eccetera. Tesi sostenuta anche da altri due giganti della scienza politica otto-novecentesca: Mosca e Pareto.
Cosa
abbiamo allora sulla tavola imbandita della politica di oggi? Un partito, il Movimento Cinque Stelle, che
persino nel nome, per civetteria democratica, non vuole però
dichiararsi tale. Un partito-antipartiti, si dice, che però dopo una legnata elettorale non può non interrogarsi, come qualsiasi
altro partito, sulle capacità del proprio leader. Il punto è che, per ragioni politiche, sui
cui contenuti è inutile indagare, i reali leader del Movimento,
Casaleggio jr e Grillo, da quando si
apprende, sembrano essere d’accordo sul nome di Di Maio è sulla necessità di far durare il governo.
Su quest’ultimo
punto si notino le rassicurazioni di Conte, già adeguatamente imbeccato, al Presidente della Repubblica. Scelta che fa il
paio, con la mossa di Luigi Di Maio, evidentemente concordata con i vertici, di
rimettersi, “lui che ha dedicato la sua vita al Movimento” (ecco la mozione degli affetti), alla mitica
Piattaforma Rousseau. Più o meno a
cinquantamila militanti, una pura minoranza, manovrabile dal mago digitale,
Casaleggio jr, a fronte dei milioni di
elettori che domenica, liberamente,
hanno sfiduciato Di Maio.
Attenzione,
da parte nostra non c’è alcun intento moralistico. Tutti i partiti, come tutte le forme di organizzazione politica, proprio perché tali, si comportano inevitabilmente,
soprattutto nelle situazioni di crisi, in termini di logica oligarchica. Ovviamente, secondo scale comportamentali, insite nel Dna ideologico delle diverse
concezioni politiche. Culture differenti che però operano sempre in chiave auto-conservativa. O comunque secondo ciò che i dirigenti
ritengono utile alla conservazione del potere
del partito, conservazione che inevitabilmente collima con il mantenimento del loro potere.
Coincidenza
che spesso viene meno, oggettivamente
parlando (dal punto di chi studia questi fenomeni). Il difetto di coincidenza spiega la natura ciclica del potere, i
suoi alti e bassi insomma. Perché non
sempre le previsioni politiche
soggettive (di coloro che sono studiati ) sono esatte. Dal momento che tra ciò che la politica è, e ciò che dovrebbe essere secondo le varie ideologie politiche esiste un’enorme
distanza. E non tutti, tra gli attori politici, sono in grado di
comprendere e stabilire fin dove ci si può spingere sul piano dei contenuti, dunque di coincidenza tra percezioni soggettive e realtà oggettiva. Ecco
perché chi studia la politica (chi studia gli attori...) deve prima concentrarsi sulla forma oligarchica dei fenomeni (la realtà oggettiva) ed eventualmente dopo sulle idee volte a giustificarla (la rappresentazione soggettiva della realtà).
Ora,
per tornare in argomento, se un altissimo dirigente viene ritenuto utile, a torto o ragione, all’autoconservazione del
potere interno ed esterno al partito, dall’elite che governa il partito lo si conserva al potere. In caso contrario lo si
depone.
Evidentemente,
Luigi Di Maio, per ragioni che qui non interessano, viene ancora ritenuto utile
alla strategia politica del Movimento Cinque Stelle, che, probabilmente, visti
i risultati di domenica, non è la strategia gradita all’elettorato.
Inutile
però qui discutere di strategie. Di
contenuti. Quel che ci interessa provare è come la legge ferrea dell’oligarchia - autentica costante metapolitica - continui a colpire, nonostante ogni retorica politica di tipo democratico.
Ci si può pure dichiarare ultrademocratici ed evocare il valore delle tecniche di espressione del voto più sofisticate, come fa il Movimento Cinque Stelle, quando però si giunge al dunque, come nel
caso Di Maio, non sono più gli
elettori che devono scegliere e giudicare, come recita la
retorica democratica, ma il partito, e
nel partito, le oligarchie che lo controllano. Altrimenti, le dimissioni di Luigi Di Maio sarebbero state immediate e irrevocabili. Come dire? A furor di popolo (elettorale).
Attenzione però, come dicevamo all'inizio, anche la mancata conferma non inficerebbe
la legge michelsiana, perché a decidere è comunque una minoranza. Il che ripetiamo
è un fatto di fisiologia politica: non c’è nulla di male. Se non il nasconderlo dietro una retorica ultrademocratica che disorienta gli elettori facilitando il lavoro dei demagoghi e dei
nemici della democrazia. Proprio come fa il Movimento Cinque Stelle.
Ma questa, almeno per oggi, è un’altra
storia.
Carlo Gambescia
(*) Roberto Michels, La sociologia del partito nella democrazia moderna (1911, 1° ed. in lingua tedesca), Introduzione di Juan.J. Linz, Il Mulino, Bologna 1966. Opera esaurita da anni, che andrebbe ristampata. Per una sintesi della teoria michelsiana si veda il suo Studi sulla democrazia e sull'autorità. Qui: https://www.edizioniilfoglio.com/copia-di-liberalismo-triste .