lunedì 27 maggio 2019

Elezioni europee 2019
Ha vinto il modello Orbán



Oggi,  anche se abbastanza  prevedibile, non  è una buona giornata politica per i veri europeisti e per i veri liberali.  Inutile girarci intorno  ha vinto il modello Orbán, e non solo in Ungheria dove il  partito populista dell’uomo forte ha superato il 50 per cento,  ma anche  in Francia  e in Italia.
Che cos’è il modello Orbán? Un mix di filo spinato, tolleranza zero, protezionismo e assistenzialismo.  Una specie di super-partito del paternalismo sociale con forti accenti razzisti e antisemiti.  Di liberale non c’è nulla, se  non  i  modesti sgravi fiscali  per il  ceto medio "piccolo piccolo"  che rappresenta il nerbo del  nazional-populismo ungherese. 


Salvini, Meloni,  Le Pen  e gli altri leader dei populisti europei   ripropongono tutti, più o meno, il modello politico, economico e sociale di   Orbán.  E di conseguenza,  come avviene nelle democrazie di massa dopo  le  elezioni, soprattutto a livello nazionale, anche le forze non populiste, pur di non perdere voti, saranno costrette a piegarsi ancora una volta  all' agenda populista.  Con conseguenze sul piano europeo, a prescindere dalla  futura composizione politica dell'Europarlamento e dalle sue alchimie provvisorie.  Purtroppo è cambiato il clima. Il modello  Orbán  implica che ogni nazione vada per la sua strada. Semplificando, al contratto si sostituisce la spada.  Politicamente parlando,  il Finis Europae è sempre più vicino.   
Del resto, chiunque abbia dato un’occhiata ai programmi  dei partiti socialisti, presunti liberali e verdi,  non potrà non aver notato lo stesso mix di assistenzialismo e protezionismo.  In realtà, a parte l’antirazzismo e l' europeismo declinato in modo differente (ma sempre riverniciando le idee populiste di buoni propositi democraticisti), le diversità tra il modello Orbán e il modello Sánchez  sono piuttosto ridotte.  Il minimo comune denominatore, che in realtà accomuna tutti i partiti, inclusi liberali e verdi,  è rappresentato da un costruttivismo di natura paternalistica, magari dalle  sfumature differenti,  ma paternalistico.  Insomma,  di autenticamente liberale, come netta separazione tra protezione e obbedienza,  non c'è nulla.   
Il Presidente Macron e la Signora  Merkel (quest’ultima, si dice,  prossima al ritiro) sono ciò che resta di un centrismo politico che si potrebbe definire liberale, ma che queste elezioni non hanno premiato. 
Quanto all’Italia, la vittoria di Salvini e della Meloni (che rosicchia altri  voti a Forza Italia, ormai in caduta libera),  indica che il modello Orbán, in caso di elezioni  politiche, soprattutto se a distanza ravvicinata,  potrebbe essere a portata di mano. Con oltre il 40 per cento dei voti, Lega e Fratelli d’Italia, grazie all’attuale sistema elettorale,  potrebbero riuscire a governare  insieme. 
Pertanto prepariamoci a mesi bollenti: Salvini, certo  di vincere eventuali elezioni anticipate,  renderà la vita di Luigi  Di Maio ancora più  difficile, tirando fuori il peggio delle idee e del linguaggio populista.
Di Maio, a sua volta,  timoroso di perdere altri voti,  non sarà da meno.  Anche se, altra osservazione, il ciclo politico pentastellato sembra volgere al termine per manifesto analfabetismo politico. Infatti, i voti in libera uscita, come provano queste europee, sembrano aver ritovato la strada di casa, quella di un Pd populista e antirazzista  al tempo stesso. Perciò, nonostante l’europeismo di maniera del Partito Democratico, si rischia la radicalizzazione populista tra i due contendenti: Salvini-Meloni, da una parte  e Zingaretti più i resti del Movimento Cinque Stelle, dall'altra.   Una specie di  bipolarismo selvaggio. A colpi di promesse economiche e politiche, difficilmente realizzabili.  Con debito pubblico alle stelle e titoli in picchiata. Uno scenario politicamente sfavorevole  sul quale i  mercati, per ora in attesa, non potranno non dire la loro. Infierendo.
Piaccia o meno, l’Europa oggi  si è svegliata  più populista di ieri.  A destra come a sinistra.  Pertanto celebrare, in perfetto allineamento  con  l’autolesionismo democratico, la maggiore affluenza alle urne, significa  aver perso di vista il nocciolo della questione. Che le democrazie, di massa o meno,  senza un centro liberale, forte e sicuro dei propri valori (libertà, responsabilità,  legalità e pubblicità), vanno più dritte di un treno verso la radicalizzazione. E con il consenso degli elettori. Da Napoleone III a Hitler, da Mussolini a Salvini. E dimenticavamo, da Horthy a  Orbán.   


Carlo Gambescia