Elezioni europee 2019
Ha vinto il modello Orbán
Oggi, anche se abbastanza prevedibile, non è una buona giornata politica per i veri europeisti e per i veri liberali. Inutile girarci intorno ha vinto il modello Orbán, e non solo in
Ungheria dove il partito populista
dell’uomo forte ha superato il 50 per cento, ma anche in Francia
e in Italia.
Che
cos’è il modello Orbán? Un mix di filo spinato, tolleranza zero, protezionismo
e assistenzialismo. Una specie di super-partito del paternalismo sociale con forti accenti razzisti e antisemiti. Di liberale non
c’è nulla, se non i modesti sgravi fiscali per il ceto
medio "piccolo piccolo" che rappresenta il nerbo del nazional-populismo ungherese.
Salvini,
Meloni, Le Pen e gli altri leader dei populisti europei ripropongono tutti, più o meno, il modello politico, economico e sociale di Orbán.
E di conseguenza, come avviene nelle democrazie di massa dopo le elezioni, soprattutto a livello nazionale, anche le forze
non populiste, pur di non perdere voti, saranno costrette a
piegarsi ancora una volta all' agenda
populista. Con conseguenze sul piano europeo, a prescindere dalla futura composizione politica dell'Europarlamento e dalle sue alchimie provvisorie. Purtroppo è cambiato il clima. Il modello Orbán implica che ogni nazione vada per la sua strada. Semplificando, al contratto si sostituisce la spada. Politicamente parlando, il Finis Europae è sempre più vicino.
Del
resto, chiunque abbia dato un’occhiata ai programmi dei partiti socialisti, presunti liberali e
verdi, non potrà non aver notato lo
stesso mix di assistenzialismo e protezionismo.
In realtà, a parte l’antirazzismo e l' europeismo declinato in modo
differente (ma sempre riverniciando le idee populiste di buoni propositi democraticisti), le diversità tra il modello Orbán e il modello Sánchez sono piuttosto ridotte. Il minimo comune denominatore, che in realtà accomuna tutti i partiti, inclusi liberali e verdi, è rappresentato da un costruttivismo di natura paternalistica, magari dalle sfumature differenti, ma paternalistico. Insomma, di autenticamente liberale, come netta separazione tra protezione e obbedienza, non c'è nulla.
Il Presidente Macron
e la Signora Merkel (quest’ultima, si dice, prossima al ritiro) sono ciò che
resta di un centrismo politico che si potrebbe definire liberale, ma che
queste elezioni non hanno premiato.
Quanto
all’Italia, la vittoria di Salvini e della Meloni (che rosicchia altri voti a Forza Italia, ormai in caduta libera), indica che il modello Orbán,
in caso di elezioni politiche, soprattutto se a
distanza ravvicinata, potrebbe essere a
portata di mano. Con oltre il 40 per cento dei voti, Lega e Fratelli d’Italia,
grazie all’attuale sistema elettorale,
potrebbero riuscire a governare insieme.
Pertanto prepariamoci a mesi bollenti: Salvini, certo di vincere eventuali elezioni anticipate, renderà la vita di Luigi Di Maio ancora più difficile, tirando fuori il peggio delle idee e del linguaggio populista.
Di Maio, a sua volta, timoroso di perdere altri voti, non sarà da meno. Anche se, altra osservazione, il ciclo politico pentastellato sembra volgere al termine per manifesto analfabetismo politico. Infatti, i voti in libera uscita, come provano queste europee, sembrano aver ritovato la strada di casa, quella di un Pd populista e antirazzista al tempo stesso. Perciò, nonostante l’europeismo di maniera del Partito Democratico, si rischia la radicalizzazione populista tra i due contendenti: Salvini-Meloni, da una parte e Zingaretti più i resti del Movimento Cinque Stelle, dall'altra. Una specie di bipolarismo selvaggio. A colpi di promesse economiche e politiche, difficilmente realizzabili. Con debito pubblico alle stelle e titoli in picchiata. Uno scenario politicamente sfavorevole sul quale i mercati, per ora in attesa, non potranno non dire la loro. Infierendo.
Piaccia o meno, l’Europa oggi si è svegliata più populista di ieri. A destra come a sinistra. Pertanto celebrare, in perfetto allineamento con l’autolesionismo democratico, la maggiore affluenza alle urne, significa aver perso di vista il nocciolo della questione. Che le democrazie, di massa o meno, senza un centro liberale, forte e sicuro dei propri valori (libertà, responsabilità, legalità e pubblicità), vanno più dritte di un treno verso la radicalizzazione. E con il consenso degli elettori. Da Napoleone III a Hitler, da Mussolini a Salvini. E dimenticavamo, da Horthy a Orbán.
Di Maio, a sua volta, timoroso di perdere altri voti, non sarà da meno. Anche se, altra osservazione, il ciclo politico pentastellato sembra volgere al termine per manifesto analfabetismo politico. Infatti, i voti in libera uscita, come provano queste europee, sembrano aver ritovato la strada di casa, quella di un Pd populista e antirazzista al tempo stesso. Perciò, nonostante l’europeismo di maniera del Partito Democratico, si rischia la radicalizzazione populista tra i due contendenti: Salvini-Meloni, da una parte e Zingaretti più i resti del Movimento Cinque Stelle, dall'altra. Una specie di bipolarismo selvaggio. A colpi di promesse economiche e politiche, difficilmente realizzabili. Con debito pubblico alle stelle e titoli in picchiata. Uno scenario politicamente sfavorevole sul quale i mercati, per ora in attesa, non potranno non dire la loro. Infierendo.
Piaccia o meno, l’Europa oggi si è svegliata più populista di ieri. A destra come a sinistra. Pertanto celebrare, in perfetto allineamento con l’autolesionismo democratico, la maggiore affluenza alle urne, significa aver perso di vista il nocciolo della questione. Che le democrazie, di massa o meno, senza un centro liberale, forte e sicuro dei propri valori (libertà, responsabilità, legalità e pubblicità), vanno più dritte di un treno verso la radicalizzazione. E con il consenso degli elettori. Da Napoleone III a Hitler, da Mussolini a Salvini. E dimenticavamo, da Horthy a Orbán.
Carlo Gambescia