martedì 28 maggio 2019

 Rosari e navi
Le elezioni europee  e l’importanza di leggere Braudel (per non dare retta a Salvini) 




Partiamo da  un’osservazione banale, o quasi.  Su una rivista con pretese di nobilità, ricostruendone sommariamente  il profilo,  si definisce Fernand Braudel  (nella foto)  “poco conosciuto”.  Parliamo del  maggiore storico del Novecento,  il  reinventore della storiografia moderna.  
Un' affermazione che ci ha fatto sobbalzare sulla sedia,  perché Braudel dedicò la sua vita di studioso alla storia  dell’Europa.  Certo, da un punto di vista molto particolare: ad esempio,  del Mediterraneo, come struttura geo-economica  profonda. Di qui però la grande originalità  dell' approccio.   
Il suo capolavoro è una storia del Cinquecento dal punto di vista del Mediterraneo e non delle Monarchie.  Semplificando, per il lettore di oggi, una storia  dell' UE  dal punto di vista della  geo-economia europea.          
Sicché, definire un gigante come Braudel   “poco conosciuto” indica due cose:  la prima, scientifica,  che  chi scrive non sa di quel scrive, perché ne  parla  come di un eccentrico, e da sempre. La seconda,  politica,  che in questo modo,  si fa un favore ai nemici dell’unificazione europea,  (sempre che non  si parteggi per la causa avversa).      
Come si può dinanzi alla marea populista, frutto di autentico analfabetismo storico,  attribuire alla eccentricità di Braudel la colpa di essere poco conosciuto?   Come si può  pretendere di  sposare la causa europea, senza aver letto  una riga di Braudel?   
Il grande storico francese è invece tuttora conosciutissimo, ovviamente da  una cerchia  di specialisti.  Infatti,  storici  e sociologi  non possono fare a meno di confrontarsi con la sua struttura tripartita del tempo storico e con la ricchezza interpretativa  e documentaria  dei suoi lavori sul capitalismo e sul Mediterraneo.  Pertanto diciamo che è corretto asserire che Braudel  è  poco conosciuto da politici e giornalisti.  Dunque si tratta di un’altra questione.  Quella del rifiuto dello studio serio e della predilezione per le scorciatoie culturali.  Due fattori, che tra gli altri, hanno favorito, grazie all’indebolimento culturale delle élite, di certe élite facilone e superficiali, l’ascesa dell’analfabetismo populista.

Ad esempio, questa mattina  si discute, per dirla con Braudel, solo di storia événementiel (politica), del  tempo di superficie della storia: in parole povere, dei seggi conquistati dalle diversi forze politiche.  Ma  non si parla dell’importanza dell’unificazione europea.  Che, ecco il punto,  stando  al grande storico francese  risiede nelle  strutture  profonde, geo-economiche della storia  europea: segnate  dagli altri due tempi della storia,  quelli  della geografia e dell’economia.  
Riepilogando,  politica, economia, geografia: i tre tempi della storia, secondo un ordine di importanza crescente, dal primo al terzo. Il lettore prenda nota.   
Pertanto il vero problema   non  è  il rosario baciato in pubblico da Salvini (la storia événementiel) ma quell'equilibrio geo-economico, strutturale, profondo, dettato  dal  fisiologico andirivieni di  razze e  popoli nel Mediterraneo. Un fenomeno  dipinto invece dall’ignoranza populista, come  patologico, contrario  a una tradizione cristiana, di cui, in realtà, Lepanto, per venire all'età di Filippo II tratteggiata da Braudel, è  solo una parte, e politicamente  ridotta,  della storia europea.
Va ricordato che fin dall'inzio Braudel  venne accusato  di determinismo  geo-economico.  In realtà,  lo studioso  francese richiamava, indirettamente,   l’  attenzione  delle élite politiche  sui duri fatti della geografia e dell’economia. Egli documentava  un’Europa  da millenni geo-economicamente  unita, dall’Atlantico all’Adriatico,   ma legata,  attraverso le  lingue di terra culturali (gli  “istmi”,  teatro delle  capacità inventive europee),  a  tutti gli altri popoli:  dagli slavi a turchi e  cinesi, dai popoli d’Oltreceano fino a quelli del Pacifico.
In soldoni cosa  dice Braudel?  Che geografia e mercati hanno generato attraverso un gioco di azione e reazione una  mentalità aperta. Qualcosa  che resta  il più importante lascito storico della tradizione intellettuale europea come sistema aperto.  Si tratta, tra l’altro,  di un’idea, quella dei blocchi culturali, ripresa dalla cultura marxista, Wallerstein ad esempio,  in chiave però di riduttivo  conflitto di classe tra economie-mondo egemoni, buttandola quindi,  se ci si passa l’espressione,   “ in caciara” conflittualista.   Ma questa è un’altra storia. 
Peraltro si potrebbero dire cose interessanti anche sulla pelosa  attenzione che Huntington, sul versante conservatore,  riservò  a Braudel,  all’interno della sua tassonomia sui conflitti di civiltà, buttandola anche lui, se ci si perdona la seconda caduta di stile,  nella  “caciara” dei  conflitti   tra i popoli. Certo,  non tra le classi come in Wallerstein.  Però  se non è zuppa, eccetera, eccetera.  


Ora, pur non sopravvalutando il ruolo della cultura e della sociologia del conflitto,  fare politica, che è conflitto  sulla base di idee forti,  soprattutto se basate sui fatti,   senza aver letto Braudel significa arrendersi  senza combattere, all’ignoranza populista.  Gente, come Salvini, che bacia i rosari ma ignora le ragioni  profonde dell' unità europea, dettate  non da un pugno di cattivi,  ma dalla storia stessa, come insegna Braudel.  Perciò fondate sui sui fatti.   Qui il limite cognitivo  dello sbrigativo “poco conosciuto” al suo riguardo,  cui accennavamo all’inizio.  
Braudel spiega  sulla base di radici fattuali  profondi  che  l’unità europea è  un dato  strutturale. Se si vuole un destino geo-economico.  Certo, è storia di conflitti.  Ma soprattutto  di cooperazione, suggerita dalla sua stessa geografia ed economia.  Quindi  storia  di navi che libere veleggiano  e   non di porti chiusi. 
Ciò vuol dire che senza idee forti, e soprattutto senza la consapevolezza  - e sia pure... -   di un “determinismo” europeo,  la guerra  contro il populismo è perduta in partenza. Perché non è questione di seggi e rosari.  O comunque non solo.     

Carlo Gambescia