Rosari e navi
Le elezioni europee e l’importanza di leggere Braudel (per non
dare retta a Salvini)
Partiamo
da un’osservazione banale, o quasi. Su una rivista con pretese di nobilità, ricostruendone sommariamente il profilo, si definisce Fernand Braudel (nella foto) “poco conosciuto”. Parliamo del maggiore storico del Novecento, il reinventore della storiografia moderna.
Un' affermazione
che ci ha fatto sobbalzare sulla sedia, perché Braudel dedicò la sua vita di
studioso alla storia dell’Europa. Certo, da un punto di vista molto
particolare: ad esempio, del Mediterraneo, come
struttura geo-economica
profonda. Di qui però la grande originalità dell' approccio.
Il suo
capolavoro è una storia del Cinquecento dal punto di vista del Mediterraneo e
non delle Monarchie. Semplificando, per il lettore di oggi, una storia dell' UE dal punto di vista della geo-economia europea.
Sicché, definire un gigante come Braudel “poco conosciuto” indica
due cose: la prima, scientifica, che chi scrive non
sa di quel scrive, perché ne parla come di un eccentrico, e da sempre. La seconda, politica, che in questo modo, si fa un favore ai nemici
dell’unificazione europea, (sempre che
non si parteggi per la causa avversa).
Come si può dinanzi alla marea populista, frutto
di autentico analfabetismo storico, attribuire
alla eccentricità di Braudel la colpa di
essere poco conosciuto? Come si
può pretendere di sposare la causa europea, senza aver letto una riga di Braudel?
Il
grande storico francese è invece tuttora conosciutissimo, ovviamente da una cerchia di specialisti. Infatti, storici
e sociologi non possono fare a
meno di confrontarsi con la sua struttura tripartita del tempo storico e con la
ricchezza interpretativa e
documentaria dei suoi lavori sul
capitalismo e sul Mediterraneo. Pertanto diciamo che è corretto asserire che Braudel è poco conosciuto
da politici e giornalisti. Dunque si tratta di un’altra questione. Quella del rifiuto dello studio serio e della
predilezione per le scorciatoie culturali. Due fattori, che tra gli altri, hanno
favorito, grazie all’indebolimento culturale delle élite, di certe élite facilone e superficiali, l’ascesa dell’analfabetismo populista.
Ad
esempio, questa mattina si discute, per dirla con Braudel, solo di storia événementiel
(politica), del tempo di superficie della storia: in parole povere, dei seggi conquistati dalle
diversi forze politiche. Ma non si parla dell’importanza dell’unificazione europea. Che, ecco il punto, stando al grande storico
francese risiede nelle strutture profonde, geo-economiche della storia europea: segnate dagli altri due tempi della storia, quelli della geografia e
dell’economia.
Riepilogando, politica, economia, geografia: i tre tempi della storia,
secondo un ordine di importanza crescente, dal primo al terzo. Il lettore prenda nota.
Pertanto il vero problema non è il rosario baciato in pubblico da Salvini (la storia événementiel) ma quell'equilibrio geo-economico, strutturale, profondo, dettato dal fisiologico andirivieni di razze e popoli nel Mediterraneo. Un fenomeno dipinto invece dall’ignoranza populista, come patologico, contrario a una tradizione cristiana, di cui, in realtà, Lepanto, per venire all'età di Filippo II tratteggiata da Braudel, è solo una parte, e politicamente ridotta, della storia europea.
Va ricordato che fin dall'inzio Braudel venne accusato di determinismo geo-economico. In realtà, lo studioso francese richiamava, indirettamente, l’ attenzione delle élite politiche sui duri fatti della geografia e dell’economia. Egli documentava un’Europa da millenni geo-economicamente unita, dall’Atlantico all’Adriatico, ma legata, attraverso le lingue di terra culturali (gli “istmi”, teatro delle capacità inventive europee), a tutti gli altri popoli: dagli slavi a turchi e cinesi, dai popoli d’Oltreceano fino a quelli del Pacifico.
In soldoni cosa dice Braudel? Che geografia e mercati hanno generato attraverso un gioco di azione e reazione una mentalità aperta. Qualcosa che resta il più importante lascito storico della tradizione intellettuale europea come sistema aperto. Si tratta, tra l’altro, di un’idea, quella dei blocchi culturali, ripresa dalla cultura marxista, Wallerstein ad esempio, in chiave però di riduttivo conflitto di classe tra economie-mondo egemoni, buttandola quindi, se ci si passa l’espressione, “ in caciara” conflittualista. Ma questa è un’altra storia.
In soldoni cosa dice Braudel? Che geografia e mercati hanno generato attraverso un gioco di azione e reazione una mentalità aperta. Qualcosa che resta il più importante lascito storico della tradizione intellettuale europea come sistema aperto. Si tratta, tra l’altro, di un’idea, quella dei blocchi culturali, ripresa dalla cultura marxista, Wallerstein ad esempio, in chiave però di riduttivo conflitto di classe tra economie-mondo egemoni, buttandola quindi, se ci si passa l’espressione, “ in caciara” conflittualista. Ma questa è un’altra storia.
Peraltro si potrebbero dire cose interessanti anche sulla pelosa attenzione che Huntington, sul versante conservatore, riservò a Braudel, all’interno della sua tassonomia sui conflitti di civiltà, buttandola anche lui, se ci si perdona la seconda caduta di stile, nella “caciara” dei conflitti tra i popoli. Certo, non tra le classi come in Wallerstein. Però se non è zuppa, eccetera, eccetera.
Ora,
pur non sopravvalutando il ruolo della cultura e della sociologia del conflitto,
fare politica, che è conflitto sulla
base di idee forti, soprattutto se basate sui fatti, senza
aver letto Braudel significa arrendersi senza
combattere, all’ignoranza populista. Gente, come Salvini, che bacia i rosari ma ignora le ragioni profonde dell' unità europea, dettate non da un pugno di cattivi, ma dalla storia stessa, come insegna Braudel. Perciò fondate sui sui fatti. Qui il limite cognitivo dello sbrigativo “poco conosciuto” al suo riguardo, cui accennavamo all’inizio.
Braudel spiega sulla base di radici fattuali profondi che l’unità europea è un dato strutturale. Se si vuole un destino geo-economico. Certo, è storia di conflitti. Ma soprattutto di cooperazione, suggerita dalla sua
stessa geografia ed economia. Quindi storia di navi che libere veleggiano e non di porti chiusi.
Ciò vuol dire che senza idee forti, e soprattutto
senza la consapevolezza - e sia pure... - di un “determinismo” europeo, la guerra contro il populismo è perduta in partenza. Perché non è questione di seggi e rosari. O comunque non solo.
Carlo Gambescia