lunedì 6 maggio 2019

          Wu Ming rinuncia al Salone del Libro
La differenza tra antifascismo totalitario  e antifascismo liberale

I lettori ricorderanno il nostro articolo, a dir poco critico,  sul libro-intervista  di  Salvini edito da un casa editrice neofascista, presente  quest’anno al Salone Internazionale del Libro di Torino (*). 
Però, ecco il punto,  non ci siamo spinti, come  invece fa  Wu Ming, il collettivo di scrittori della sinistra radicale, “diffusa” e “conflittuale”, fino al punto di vietare l'ingresso a cani e fascisti.
Si ricorre al  "No pasáran!"  Tipico grido di battaglia che ci riporta alla logica della guerra civile. Spagnola e oltre. Logica dello scontro totalitario, mai dimenticarlo.
Insomma, si può essere antifascisti senza per questo tradire i principi liberali del libero dibattito delle idee?  Diciamo che la differenza tra l’antifascismo liberale e l’antifascismo della sinistra radicale, totalitario,  consiste  nel rifiuto  della  guerra culturale. O detto altrimenti,  nel rigetto della continuazione della guerra (politica) con altri mezzi (culturali per l'appunto).  
Il liberale non vede nulla di male nella presenza dei neofascisti al Salone del Libro.  Certo, non può non notare il mutamento di clima politico-editoriale,  criticarlo,  esprimere una sua opinione negativa sulla cultura  fascista e neofascista. Tutte cose buone e giuste, che in qualche misura un liberale può condividere con  Wu Ming.   Quel che invece  non può assolutamente  condividere è la censura  delle idee.
Per fare une esempio:  un tentativo di  occupazione  paramilitare  del  Salone del Libro da parte di  squadre armate in camicia nera  imporrebbe la repressione immediata.  Uno semplice stand, no.   Anzi, può essere occasione per approfondire, “dal vivo”,  gli stereotipi del neofascismo. E quindi respingerli. Senza dover ricorrere alla forze di polizia. Bastano quelle dell’intelligenza.  
Si chiama confronto delle idee. E per un liberale è veramente  imbarazzante rilevare come l’ antifascismo sia strumentalizzato sotto il profilo politico,  da chi, tra l’altro, condivide, con i fascisti,  lo stesso odio, totalitario, verso la società liberale. 

Ma procediamo per gradi. Innanzi tutto perché parliamo di strumentalizzazione  politica?  Perché il divieto appartiene alla logica amico-nemico che rinvia alla politica.  Mentre il libero dibattito rimanda al discorso pubblico liberale, che scorge nell’altro un avversario con il quale confrontarsi, in vista di una possibile sintesi o di un puro e semplice onesto confronto, senza vincitori e vinti: l’esatto contrario della dialettica signore-servo  tipica delle filosofie totalitarie, apparentemente rivolte, nonostante l'ipostasi dialettica, alla liberazione dell'uomo.
Contraddittoria filosofia, buona per fare passare di tutto.  Condivisa da Wu Ming,  grande evocatore del conflitto per ogni dove,  conflitto visto come una specie di guerra giusta che metterà fine a tutte le guerre.  Attenzione, si plaude non alla competizione, alla concorrenza, all’agonismo, alla rivalità, alla sfida, eccetera, eccetera, bensì al conflitto duro e puro.  In termini addirittura di guerra preventiva.  Per poter passare  - visto che nulla si è imparato, nulla si è dimenticato -  dal regno della necessità al regno della libertà... 
Dal nostro blog  muoviamo e continueremo a  muovere  critiche all’attuale governo giallo-verde, più che mai  attenti al rischio di derive fascistoidi.  Ma sono critiche politiche. Lungi da noi la pretesa di  estenderle alla cultura  imponendo divieti e censure. Magari evocando, perché torna utile, il positivismo giuridico. Insomma, il rispetto di leggi in vigore  che però hanno natura politica,  dunque repressiva del nemico. E che perciò, come impone la  prudenza liberale,  non andrebbero  estese  alle manifestazioni culturali che rinviano  all’avversario e al libero dibattito delle idee.   

I piani  politico e culturale  vanno sempre  tenuti distinti. Il rifiuto della distinzione  comporta due possibilità: 1) la riduzione della cultura alla politica; 2) la riduzione  della politica alla cultura.  Nel primo caso,  si  è dinanzi al totalitarismo politico: la politica dell’estetica. Nel secondo, al totalitarismo culturale: l’estetica della politica. Comunque sia, si tratta delle due facce della  stessa  medaglia totalitaria.
Non capire e apprezzare la distinzione crea imbarazzo a chi sia liberale,  perché  avverte il pericolo di   ritrovarsi  in compagnia  di  falsi amici della libertà di pensiero come Wu Ming. Inoltre, l’assenza di separazione tra piano politico e culturale non aiuta ad affrontare politicamente  le pulsioni fascistoidi  nelle sedi  preposte: Parlamento e Governo.
Non è vero Presidente Mattarella?   (Ma  questa è un'altra storia...).   
Carlo Gambescia