domenica 5 maggio 2019

Lettera aperta ai vescovi di venti teologi e studiosi
Papa Francesco eretico?
La questione è un’altra e sia chiama acefalia…



Non sappiamo né desideriamo sapere  se Papa Francesco sia eretico o meno, come invece  afferma la Lettera aperta ai vescovi, sottoscritta da venti professori e intellettuali cattolici (*). Ovviamente, preferiamo non  entrare  nel merito della questione, anche per ragioni di preparazione specifica.  
Ha  invece destato il nostro interesse un’intervista in argomento, di qualche mese fa,  a Roberto De Mattei (**), letta però solo ieri.  Dove lo storico (nella foto),  noto per le sue posizioni  “tradizionaliste”,  coglie un  punto sociologico  molto importante, che merita un approfondimento.
Prima però  le sue parole.

Io penso che gli errori o eresie di papa Francesco (https://cronicasdepapafrancisco.com/), anche se professati pubblicamente, non  comportino la sua perdita del pontificato, perché non sono noti e manifesti al popolo cattolico. Quando parlo di popolo cattolico non mi riferisco all’opinione pubblica cattolica nel senso esteso del termine, ma a quel ristretto gruppo di battezzati che mantengono oggi la integrità della fede cattolica. Eppure molti di essi interpretano pro bono le parole e i gesti di papa Francesco e non ne avvertono la malizia. Non possiamo dire dunque che la sua perdita di fede sia evidente e manifesta. Quando san Roberto Bellarmino o il cardinale Caetano scrivevano i loro libri, la società era integralmente cattolica, il sensus fidei era sviluppato ed era molto facile discernere l’eresia di un prete, di un vescovo o addirittura di un Papa. Oggi, la larga maggioranza dei battezzati, semplici fedeli sacerdoti, vescovi, perfino il Papa, vivono immersi nell’eresia, e pochi sono in grado di distinguere tra la verità e l’errore. Così le giuste  indicazioni dei grandi teologi classici sono difficili da seguire nella pratica.   

Accantoniamo la trasposizione  di De Mattei in ambito canonico e teologico  di  un concetto sociologico -   il  senso collettivo della fede (sensus fidei)  -   per   concentrarci  su quest’ultimo.
Il punto fondamentale, crediamo sia rappresentato dall’osservazione  che il “popolo cattolico”, in qualche misura un’unità sociologica,  interpreta “pro bono le parole e i gesti di papa Francesco e non ne avvert[e] la malizia”.
L’osservazione è sociologicamente  confermata da studi sul  campo e dalla  concettualizzazione dei fenomeni  religiosi:  ricerche  che  provano la  sostanziale acefalità sociologica - sociologica, attenzione -   della Chiesa post-conciliare.  E non solo, come poi vedremo.  

Quando si può definire acefalo un fenomeno sociale?  Quando dall’alto  non è necessario impartire ordini dal momento che in basso si eseguono senza alcun bisogno di riceverli. Insomma, si obbedisce in automatico, senza interrogarsi sulla possibile "malizia" di chi comandi.
Ciò indica - per capirsi - che i  livelli di interiorizzazione (e obbedienza) sono talmente alti che il meccanismo della coazione a ripetere procede in modo, per l’appunto, acefalo, insomma  senza bisogno di un “capo” che decida, eccetera, eccetera.  Alla base del meccanismo recettivo (nel senso della recezione passiva), come per ogni altro fenomeno sociale,  c’è il principio del minimo sforzo, o altrimenti detto, della neutralizzazione dei costi decisionali. Tradotto: obbedire, psicologicamente parlando,  è sempre meno  costoso che decidere.  
Dicevamo dell’acefalità della Chiesa post-conciliare.  In realtà, l’intero meccanismo storico della struttura istituzionale, "Chiesa Cattolica", è fondato sull’acefalità, o quanto meno sulla presunzione dell’acefalità:  di un papa o capo, che però non è tale perché Vicario di Cristo.  Siamo davanti a  un meccanismo storico che ha sempre privilegiato l’obbedienza passiva.  Di qui la natura elitaria, per costituzione ed effetto di ricaduta, delle numerose eresie che hanno solcato la storia della Chiesa Cattolica. Eresie,  che come si può osservare,  o sono state riassorbite, nella culla, magari con la forza,  o ridotte a fenomeni minoritari,  settari, anche se con discreto seguito, comunque  parcellizzato, se non “polverizzato”,  come nel caso del protestantesimo
Il cattolicesimo, al netto delle grandi figure spirituali, comunque di derivazione e  confluenza elitaria, si regge sulla passività, sulla coazione a ripetere. Il passaggio storico dal cristianesimo-movimento alla chiesa-istituzione, crediamo si debba rileggere lungo le linee le interpretative della passività come forma di neutralizzazione.  Ovviamente si tratta di un approccio sociologico che probabilmente semplifica troppo le cose.  Ne prendiamo atto. 
Di qui, per tornare al punto, la difficoltà, se non spesso l’impossibilità, della  trasformazione dell’eresia elitaria   in chiesa collettiva.  Regola che vale per tutti, per  i tradizionalisti, come per i progressisti. Insomma, per chi guardi indietro o avanti.  Sullo sfondo comune però, mai dimenticarlo, di una passività collettiva,  dei fedeli,  che ha radici lontane.
Ci spieghiamo meglio:  siamo davanti  al basso continuo di  una specie di   religione naturale collettiva,  dalle ritualità e credenze differenti,  che rinvia al mondo  pre-cristiano. Parliamo della religione  come risposta  sul piano emozionale  al  bisogno di protezione dell’essere umano.
Ne consegue,  l’insopprimibilità,  perfino nell’essenza,  del fenomeno religioso, ma anche la sua natura acefala, basata sulla coazione a ripetere. Diciamo che l’uomo religioso accetta di scambiare la protezione con l’obbedienza.
Il che, alla fin fine,  per chiunque studi  il comportamento sociale non è una novità.  Però...

Carlo Gambescia                       

(**) Qui l’intervista: http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2019/03/intervista-del-prof-roberto-de-mattei.html