Riflessioni
Oggi
la Cina è un
groviglio di contraddizioni. Qualcosa che ricorda l’Inghilterra del Seicento e la Francia del Settecento: due società in attesa delle rivoluzione liberal-democratiche, ma in piena espansione economica con una borghesia scalpitante. Di qui, i conflitti interni tra
poteri nascenti e morenti.
Probabilmente
il raffronto storico può sembrare azzardato, dal momento che non poche sono le
differenze storiche e culturali tra lo sviluppo della Cina e quello
dell’Inghilterra e della Francia. Tuttavia esiste un elemento comune: quello
della necessità di una progressiva
apertura dei mercati, dovuta a surplus produttivi, necessità che segnò lo sviluppo europeo e che sta distinguendo quello cinese.
Insomma, piaccia
o meno, ma i mercati aperti sono il principale motore delle trasformazioni culturali. Diciamo il veicolo. Si
pensi al fenomeno dello schiavismo: la risposta culturale che portò
all’abolizione della tratta fu interna alla cultura liberal-democratica, frutto
della comunione di idee, tra uomini di nazioni e culture diverse, entrati pacificamente in contatto grazie alla progressiva apertura di un mercato mondiale.
Una
dottrina sociale che, pur tra alti bassi ideologici, aveva dominato per migliaia di anni fu sbaragliata, ideologicamente sbaragliata,
da quel moltiplicatore rappresentato dalla crescita dello scambio intellettuale,
facilitato dallo sviluppo delle
relazioni economiche, grazie a un processo di azione e reazione e di
interdipendenza tra idee e affari, capace di inverare stoicismo e cristianesimo. Ovviamente, con contraddizioni, frenate, passi indietro, che possiamo osservare
ancora oggi. Si pensi all’atteggiamento razzista nei riguardi del fenomeni
migratori. Però l’ internazionale del commercio culturale, se ci si passa la
definizione, ha finora avuto la meglio, apportando vantaggi per tutti.
Cosa
vogliamo dire? Che la Cina
è vicina. E che non si può escludere che
il gigante asiatico grazie all’apertura
dei commercio mondiale, pur tra le contraddizioni, si “liberal-democratizzi”.
Ovviamente
sono processi storici lunghi, che richiedono secoli: l'Inghilterra di Carlo I e Giacomo I, come la Francia di Luigi XIV, non erano rispettivamente
come l'Inghilterra della Regina Vittoria e la Francia della Terza
Repubblica.
Di
conseguenza, protestare contro le
politiche restrittive dei diritti civili
di Xi - cosa comunque meritoria - dovrebbe però far riflettere sul fatto che le
politiche di Luigi XIV e di Carlo I non erano molto differenti. Quindi,
ripetiamo, la Cina
è vicina.
Alcuni
osservatori insistono in particolare sul peso degli interessi geopolitici, dipingendo la Cina
come un potenziale nemico dell’economia euro-occidentale. Un tempo, si diceva la stessa cosa dell'Inghilterra "dominatrice dei mari". Eppure, grazie alle navi britanniche, il mondo, tutto il mondo, è cambiato in meglio. Comunque sia, per
affrontare gli esclusivismi economici esistono istituzioni
mondiali, commerciali ed economiche, oggi però messe in
discussione dai nostalgici del
protezionismo. Che invece sognano di poter fare da soli, di stringere o denunciare trattati bilaterali, in nome dell'avventurismo politico. Alle maestose architetture multilaterali il protezionista preferisce il graffito bilaterale.
Sotto il profilo del multilateralismo andrebbe ristudiato attentamente un periodo di fortissimo sviluppo dell’economia mondiale come quello tra il 1815 e il 1914. Dove l’apertura mondiale dei mercati toccò il culmine. Quando oggi si parla di globalizzazione si dovrebbe riandare con la mente all’Ottocento, che rappresenta veramente il secolo della trasformazione epocale dell'Occidente.
Sotto il profilo del multilateralismo andrebbe ristudiato attentamente un periodo di fortissimo sviluppo dell’economia mondiale come quello tra il 1815 e il 1914. Dove l’apertura mondiale dei mercati toccò il culmine. Quando oggi si parla di globalizzazione si dovrebbe riandare con la mente all’Ottocento, che rappresenta veramente il secolo della trasformazione epocale dell'Occidente.
Parliamo di una
gigantesca mutazione economica e culturale che però fu rimessa in discussione, nei suoi principi di
libero commercio di uomini, idee, cose, nel Novecento, che a parte alcune parentesi nella sua seconda metà, può rivendicare il triste record del secolo dei nazionalismi. I populismi e i sovranismi di oggi ne sono l'ultima incarnazione. Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo.
Ciò per contro significa che lo straordinario sviluppo della Cina può rappresentare, pur tra
le contraddizioni, una sfida e un’opportunità a livello di effetti inintenzionali delle azioni sociali, come fu per la Gran Bretagna
e la Francia. Ovviamente sempre in chiave multilaterale non bilaterale.
Detto altrimenti, la Cina , grazie
alle aperture economiche e culturali,
può “liberal-democratizzarsi” suo malgrado. E, per contro, le economie
euro-occidentali, possono ulteriormente crescere, rispondendo alla sfida
economica cinese. Nell’economia internazionale aperta, vincitori, vinti e latecomers sono sempre andati a collocarsi a un livello superiore
al precedente. E qui si pensi agli straordinari progressi di Italia e Germania all'inizio e nella seconda metà del Novecento. Tesi del resto comprovata dallo sviluppo delle altre economie oggi emergenti in Asia e perfino in Africa. Insomma, tutto il sistema,
se pur a livelli diversi, ha dato prova di crescere, salendo di un gradino, spesso più di uno, sulla scala del progresso economico e culturale.
Si dirà che il nostro è un atto di fede nella libertà di commercio e nei suoi effetti benefici. E sia. Una cosa però è certa: le guerre commerciali favoriscono l'odio tra i popoli. E preparano le guerre vere.
Carlo Gambescia