giovedì 15 novembre 2018

  Luca Telese scomunica l'opposizione pariolina
L’Edipo di piazzale  Don Minzoni



Incrociai  una volta Luca Telese, forse nel 2007,  nell’ufficio di un editore di destra. Con uno sguardo mi fece capire che ero di troppo.  Capii subito, che non lo avevo sufficientemente omaggiato.  Girai i tacchi, e tornai in cucina tra la servitù. Chissà cosa  dovevano dirsi con il “capo”.   Misteri da Chiarelettere…
All’epoca, i neofascisti  consideravano Telese  una mosca bianca  perché  aveva scritto - con il tatto di Alfonso Signorini -   dei “camerati caduti durante gli Anni di Piombo”. Però i fasci  lo guatavano  con curiosità e sospetto,  perché, come si mormorava, veniva da sinistra  e  “lavorava per quel plutocrate di Berlusconi”.  L’immaginario neofascista  è sempre andato  veloce. Troppo, forse. Colpa della fame. Di potere.
L’aspetto, se si vuole la fisiognomica di Telese, seppure scorta per un attimo, era  quella  dell’intellettuale volpino, ansioso, incazzoso con gli inferiori, servile con i superiori (o verso chiunque al momento comandi).
Mi fece subito pensare al  collabò  idealtipico,  che dopo aver tanto dato (e preso), scappa al seguito dei nazisti, per passare  da un  castello all’altro.  Ma che all’improvviso,  gli si apre il valigione,  da cui fuoriescono, ruzzolando,  salami, mutande rotte, dollari, copie malridotte di giornali e libri… Sicché viene riconosciuto e giustiziato. Chiamala se vuoi sfortuna. Ma anche segno che dio esiste.    
Certo,  l’abito non fa il monaco.  Magari,  il serpente a sonagli… Difficile dire.  Si potrebbe chiedere ai compagni di sventura di  “Pubblico”, che chiuse dopo tre mesi: un vero record.  Telese,  si era messo in testa di fare il direttore.  Chiamale se vuoi illusioni.    
Ora, invece,  vuole farla finita con la borghesia italiana. In un editoriale  senza capo né coda  (*), attacca le signore con le borse di coccodrillo vs Raggi.   Per far vedere che ha letto Gramsci,  tira  fuori l’asso nella  manica:  il concetto di “sovversivismo delle classi dirigenti”.  Dimenticando, che Gramsci si riferiva  a un fenomeno che attraversava  longitudinalmente (per buttarla sul sociologhese) la società italiana, fino a comprendere  i non casti connubi  tra borghesia, piccola piccola,  e fascismo rampante e inelegante. Chiamali se vuoi, con De Felice, anni del consenso.
Che c’entra l'attivo spendersi delle arti liberali al femminile per il  referendum anti-Atac  con i passivi borghesi piccoli piccoli che intonavano “Giovinezza” e giubilavano per la visita di Hitler a Roma? (“Anvedi che alleato s’è scelto il Duce, e chi c'ammazza”, citaz. da “Una giornata particolare“).   
Diciamo che le  signore dei  Parioli, che Telese  attacca,  non lo hanno mai accettato. Chiamalo se vuoi, un materno vaffanculo.
E lui, povero Edipo  antiborghese, sfanculato,  continua a vagare per  piazzale Don Minzoni. Maledicendole.  Adda venì Salvini!  E pure Di Maio…    

Carlo Gambescia  

P.S. Per i non romani: piazzale Don Minzoni è in zona Parioli...