Luca
Telese scomunica l'opposizione pariolina
L’Edipo di piazzale Don Minzoni
Incrociai
una volta Luca Telese, forse nel
2007, nell’ufficio di un editore di
destra. Con uno sguardo mi fece capire che ero di troppo. Capii subito, che non lo avevo sufficientemente omaggiato. Girai i tacchi, e tornai in cucina tra la
servitù. Chissà cosa dovevano dirsi con il “capo”. Misteri
da Chiarelettere…
All’epoca,
i neofascisti consideravano Telese una mosca bianca perché aveva
scritto - con il
tatto di Alfonso Signorini - dei “camerati caduti durante gli Anni di Piombo”. Però i fasci lo guatavano con
curiosità e sospetto, perché,
come si mormorava, veniva da sinistra e “lavorava per quel plutocrate di Berlusconi”. L’immaginario neofascista è sempre andato veloce. Troppo, forse. Colpa della fame. Di
potere.
L’aspetto, se si vuole la fisiognomica di Telese, seppure scorta per un attimo, era quella dell’intellettuale volpino, ansioso, incazzoso con gli inferiori, servile con i superiori (o verso chiunque al momento comandi).
Mi fece subito pensare al collabò idealtipico, che dopo aver tanto dato (e preso), scappa al seguito dei nazisti, per passare da un castello all’altro. Ma che all’improvviso, gli si apre il valigione, da cui fuoriescono, ruzzolando, salami, mutande rotte, dollari, copie malridotte di giornali e libri… Sicché viene riconosciuto e giustiziato. Chiamala se vuoi sfortuna. Ma anche segno che dio esiste.
L’aspetto, se si vuole la fisiognomica di Telese, seppure scorta per un attimo, era quella dell’intellettuale volpino, ansioso, incazzoso con gli inferiori, servile con i superiori (o verso chiunque al momento comandi).
Mi fece subito pensare al collabò idealtipico, che dopo aver tanto dato (e preso), scappa al seguito dei nazisti, per passare da un castello all’altro. Ma che all’improvviso, gli si apre il valigione, da cui fuoriescono, ruzzolando, salami, mutande rotte, dollari, copie malridotte di giornali e libri… Sicché viene riconosciuto e giustiziato. Chiamala se vuoi sfortuna. Ma anche segno che dio esiste.
Certo, l’abito
non fa il monaco. Magari, il serpente a sonagli… Difficile dire. Si potrebbe chiedere ai compagni di sventura
di “Pubblico”, che chiuse dopo tre mesi:
un vero record. Telese, si era messo in testa di fare il direttore. Chiamale se vuoi illusioni.
Ora,
invece, vuole farla finita con la
borghesia italiana. In un editoriale senza capo né coda (*), attacca le signore con le borse di coccodrillo
vs Raggi. Per far vedere che ha letto
Gramsci, tira fuori l’asso nella manica: il concetto di “sovversivismo delle classi
dirigenti”. Dimenticando, che Gramsci si
riferiva a un fenomeno che attraversava longitudinalmente (per buttarla sul sociologhese) la società italiana, fino a comprendere i non casti connubi tra borghesia, piccola piccola, e fascismo rampante e
inelegante. Chiamali se vuoi, con De Felice, anni del consenso.
Che
c’entra l'attivo spendersi delle arti liberali al femminile per il referendum anti-Atac con i passivi borghesi piccoli piccoli che intonavano “Giovinezza”
e giubilavano per la visita di Hitler a Roma? (“Anvedi che alleato s’è scelto
il Duce, e chi c'ammazza”, citaz. da “Una giornata particolare“).
Diciamo
che le signore dei Parioli, che Telese attacca,
non lo hanno mai accettato. Chiamalo se vuoi, un materno vaffanculo.
E
lui, povero Edipo antiborghese, sfanculato, continua a vagare per piazzale Don Minzoni. Maledicendole. Adda
venì Salvini! E pure Di Maio…
Carlo Gambescia
P.S. Per i non romani: piazzale Don
Minzoni è in zona Parioli...