venerdì 23 novembre 2018

 Il brillante saggio di  Hayek  arricchisce la "Biblioteca Austriaca" di  Rubbettino      Money, money, money…

  

Quarant’anni, eppure non li dimostra. Parliamo del saggio di Friedrich August von Hayek, La denazionalizzazione della Moneta (*), meritoriamente pubblicato da Rubbettino. Perché il lavoro di Hayek, uscito nel 1976 (e in  seconda edizione nel 1978),  è ancora così fresco e interessante? Per due semplici ragioni.  
La prima, perché, è un ottimo antidoto al sovranismo  populista, spendaccione e semi-militarizzato, che oggi impazza, illudendo gonzi e sfaticati. 
La seconda,  perché ribadisce il fallimento della vulgata keynesiana,  e non solo in ambito  monetario,  tesa a rimpinguare le tasche dei gruppi di interesse,  con in prima fila il governo.  
Denazionalizzare il denaro, significa fine delle banche centrali, tuttora ubbidienti ancelle, se non schiave dei gruppi di pressioni, governativi e non,  travestiti da potere politico. Non solo: significa  libera  competizione, dentro e fuori i singoli Paesi, tra valute diverse. Tutti liberi di stampare moneta.  Sarà  il consumatore a scegliere sulle basi di un prezzo finale, rappresentato dal valore costante della  moneta, quindi dalla stabilità della stessa in termini del miglior potere d’acquisto. Il che perciò non implica la sua "fissità". Di riflesso,  le banche  trarranno i loro profitti non dai soldi facili dispensati dai  paperoni della politica, ma  dalla qualità dei servizi resi a imprese e cittadini.
Ma allora, per attualizzare le tesi di Hayek,   la politica, l'euro, i burocrati e i lori finti nemici? In concreto, cosa devono  fare?  Un passo indietro.  Strategia del gambero.  Realismo politico significa capire  quando ritirarsi dal tavolo da gioco della politica,  riducendo smithianamente al minimo sindacale il ruolo del governo. O dello "Stato" con la maiuscola, secondo la fin troppo nobile definizione, così  amata  dai parassiti politici.
Si tratta di una questione metodo. Ad esempio,  applicando la ricetta di Hayek, si sarebbe comunque arrivati all'euro  (o agli "euri"),  ma senza imposizioni dall'alto. E come?  Attraverso la libera competizione tra banche (di emissione)  private:  concorrenza  che avrebbe premiato la moneta o le monete  migliori, secondo i consumatori. Si pensi, ad esempio, a quando un tempo si partiva per un viaggio, preferendo di portare con  sé  dollari o marchi, invece di lire, perché dotati di maggiore potere d'acquisto. Il meccanismo di preferenza della moneta denazionalizzata - semplificando, ovviamente -  è  lo stesso.      
Una vera  rivoluzione:  il nemico principale di Hayek    -  non dimentichiamo che il saggio venne scritto negli anni Settanta -  è l'inflazione ( e le conseguenti deflazioni), frutto di manipolazioni politiche per guadagnare consenso, illudendo  masse instupidite dalla droga inflattiva e dal metadone deflattivo.  Hayek  ritiene che solo attraverso la libera competizione  tra valute  (non soggette alle banche centrali, né agli ordini dei gruppi di pressione, politici o meno) si possa giungere, ripetiamo,  a valori costanti ( ma  non fissi),  in termini di potere d'acquisto, della moneta denazionalizzata.  E nel suo saggio, si diffonde, anche tecnicamente, e molto bene,  illustrando i perché economici di una moneta non più schiava di politici-banchieri e di banchieri-politici. E dunque dell''inflazione indotta. Pagine  memorabili alle quali rinviamo i lettori addottorati in Economics e  non  succubi  del fascino perverso - soprattutto per chi non provenga da Nazareth -  di moltiplicare i pani e i pesci ad uso però di speculatori, fessi e nullafacenti.  
Hayek ne ha per tutti: Keynes e keynesiani, come appena ricordato;  monetaristi (si  infierisce particolarmente sull’idea di friedmaniana, di prefissare a priori la quantità di  valuta  necessaria al mercato); stralunati e inflazionisti  profeti della  free money: qui, per inciso,   la differenza tra la teoria di Hayek e quelle, da sindrome del denaro facile,  di Gesell,  Douglas, eccetera, eccetera. 
Anche se in realtà,  a dirla tutta,  non siamo davanti a un libro di economia  in senso stretto.  E se proprio tale deve essere, la sua lettura non può prescindere dalla gaia scienza sociale  della  teoria istituzionale di Hayek.  Teoria che,  piaccia o meno a certi suoi cultori, ha radici  sociologiche. Terminologia,  anche in chiave disciplinare, che lo stesso Hayek  non apprezzava particolarmente. Però le cose stanno così. 
Ma procediamo per gradi.  Come egli  osserva  acutamente: 

«Nell’immaginazione popolare, l’espressione “corso legale” è comunque giunta a essere circondata  da un alone di idee vaghe sulla supposta necessità che lo Stato fornisca la moneta. Ciò è una sopravvivenza  di quella concezione medievale secondo cui è lo Stato a conferire in qualche modo un valore che altrimenti la moneta non avrebbe. E questo a sua volta , è vero solamente nella molto limitata misura in cui il governo può imporci di accettare qualunque cosa esso decida in sostituzione di quel che abbiamo contrattato; il tal  senso, conferisce al sostituto lo stesso valore che per  il debitore  ha l’oggetto originario del contratto»

Hayek riceve il  Premio Nobel (1974) 
In realtà, 

« la superstizione in base a cui è necessario che il governo (usualmente chiamato “Stato” per ottenere un suono  migliore) dichiari che  cosa debba essere considerato denaro, come se fosse una creazione che non esisterebbe senza lo stato, ha probabilmente origine dall’ingenua credenza secondo cui il denaro è stato “inventato” da qualcuno, sicché noi lo abbiamo ricevuto da un originario inventore».

E invece non è così. Siamo giunti al  vero nocciolo sociologico della questione. Hayek sta per dispiegare tutta la forza euristica di una teoria dell’azione sociale, inclusiva delle sue conseguenze, individualmente irriflesse. Il lettore prenda fiato; siamo all'assalto finale.  Perché, continua Hayek,   «detta credenza», quella dell’ «originario inventore»,  viene

«completamente sconfessata  dalla nostra comprensione della nascita spontanea di istituzioni non programmate, attraverso un processo  di  evoluzione sociale, di cui il denaro è divenuto il paradigma più importante (altri esempi sono costituiti  dal diritto, il linguaggio, le regole della morale)».
L' edizione italiana della summa di  Hayek

Pertanto - modesto consiglio -  per apprezzare pienamente La denazionalizzazione della moneta, crediamo  si debba prima leggere, o comunque alternare sapientemente nella lettura,  il  magnum opus  di Hayek:  Law, Legislation and Liberty. Autentica summa del  suo proteiforme, ma raziocinante, pensiero filosofico, economico e sociale:  opera alla quale,  a quanto sembra,  lavorò, indefessamente negli stessi anni  in cui scriveva Denazionalizzazione.
In Law, Legislation and Liberty Hayek sviluppa, reinventando il concetto di mano invisibile, la sua straordinaria teoria delle istituzioni sociali, viste come  un'ordine spontaneo, esito di innumerevoli interazioni individuali  tra soggetti che perseguono l'interesse personale.  Ordine, per l'appunto, di cui solo in seguito si ha la  piena consapevolezza - circa i risultati -  in termini di successo selettivo. 
Certo, gli interessi, anche all'interno del pensiero e della pratica liberali, possono essere composti in modi diversi, non esclusa la manipolazione politica.  Diciamo che Hayek, secondo la nostra classificazione è un liberale micro-archico. E' per lo stato minimo (**). 
Quindi, semplificando,  moneta, linguaggio, morale, come sistema strutturato, se si vuole come forma di concettualizzazione, vengono dopo (al massimo durante),  mai  prima.  E qui piace ricordare, come Pareto sostenesse la stessa cosa:  prima il feudalismo, scriveva, poi la "teoria feudale"; prima  il capitalismo, poi la "teoria economica capitalistica", eccetera, eccetera.
Gli esiti finali delle azioni umane individuali sono imperscrutabili: ecco il grande mistero sociologico. Anche Hayek, assolutamente convinto della umana  fallibilità,  ne è consapevole. E fino in fondo. Perché in Denazionalizzazione  si suggerisce.  Ci si guarda bene dal prescrivere cure miracolose, come tanti medici leninisti dei pazzi.  Come egli osserva:

«È stato detto che la mia proposta di “costruire” istituzioni monetarie completamente nuove è in conflitto con la mia generale attitudine filosofica. Ma nulla è più lontano dai miei pensieri che la volontà di disegnare nuove istituzioni. Quel che propongo è semplicemente la rimozione degli attuali ostacoli che per secoli hanno impedito l’evoluzione di desiderabili istituzioni monetarie». 

Hayek  collega umilmente  fallibilità e libertà.  Una cosa è tentare di rimuovere gli ostacoli, apprendendo dai propri errori,   un'altra ignorarli,  vantandosi per giunta di costruire un mondo nuovo, dove non ci saranno più né ostacoli  né errori. Per dirla, ancora una volta, e degnamente, con Hayek: la prima è la strada che conduce alla  libertà, la seconda alla schiavitù.        
                                                                           Carlo Gambescia


(*) Friedrich A. von Hayek, La denazionalizzazione delle moneta, presentazione di Lorenzo Infantino, prefazione di  José Antonio De Aguirre,  “Biblioteca Austriaca”,   Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2018, pp. 214,  Euro, 16,00. Per le citazioni  si rinvia alle pagine  66-67 e  204, nota 4.   Per acquisti diretti:  :http://www.store.rubbettinoeditore.it/la-denazionalizzazione-della-moneta.html  .
(**) Per la classificazione si rinvia al nostro Liberalismo triste, Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2013, pp. 71-75.  Le altre forme - quattro in tutto -  rimandano al liberalismo archico (o triste), an-archico, macro-archico.