Il brillante saggio di Hayek arricchisce la "Biblioteca Austriaca" di Rubbettino Money, money, money…
Quarant’anni, eppure non li dimostra. Parliamo del saggio
di Friedrich August von Hayek, La
denazionalizzazione della Moneta (*), meritoriamente pubblicato da
Rubbettino. Perché il lavoro di Hayek, uscito nel 1976 (e in seconda edizione nel 1978), è ancora così fresco e interessante? Per due semplici ragioni.
La prima,
perché, è un ottimo antidoto al sovranismo populista, spendaccione e semi-militarizzato, che oggi impazza, illudendo gonzi e sfaticati.
La seconda, perché ribadisce il fallimento della vulgata keynesiana, e non solo in ambito monetario, tesa a rimpinguare le
tasche dei gruppi di interesse, con in prima fila il governo.
Denazionalizzare
il denaro, significa fine delle banche centrali, tuttora ubbidienti ancelle, se non schiave dei gruppi di pressioni, governativi e non, travestiti da potere politico. Non solo: significa libera competizione, dentro e fuori i
singoli Paesi, tra valute diverse. Tutti liberi di stampare moneta. Sarà
il consumatore a scegliere sulle basi di un prezzo finale, rappresentato dal valore
costante della moneta, quindi dalla
stabilità della stessa in termini del miglior potere d’acquisto. Il che perciò non implica la sua "fissità". Di riflesso, le banche trarranno i loro profitti non dai soldi facili dispensati dai paperoni della politica, ma dalla qualità dei servizi resi a imprese e cittadini.
Ma allora, per attualizzare le tesi di Hayek, la politica, l'euro, i burocrati e i lori finti nemici? In concreto, cosa devono fare? Un passo indietro. Strategia del gambero. Realismo politico significa capire quando ritirarsi dal tavolo da gioco della politica, riducendo smithianamente al minimo sindacale il ruolo del governo. O dello "Stato" con la maiuscola, secondo la fin troppo nobile definizione, così amata dai parassiti politici.
Si tratta di una questione metodo. Ad esempio, applicando la ricetta di Hayek, si sarebbe comunque arrivati all'euro (o agli "euri"), ma senza imposizioni dall'alto. E come? Attraverso la libera competizione tra banche (di emissione) private: concorrenza che avrebbe premiato la moneta o le monete migliori, secondo i consumatori. Si pensi, ad esempio, a quando un tempo si partiva per un viaggio, preferendo di portare con sé dollari o marchi, invece di lire, perché dotati di maggiore potere d'acquisto. Il meccanismo di preferenza della moneta denazionalizzata - semplificando, ovviamente - è lo stesso.
Una vera rivoluzione: il nemico principale di Hayek - non dimentichiamo che il saggio venne scritto negli anni Settanta - è l'inflazione ( e le conseguenti deflazioni), frutto di manipolazioni politiche per guadagnare consenso, illudendo masse instupidite dalla droga inflattiva e dal metadone deflattivo. Hayek ritiene che solo attraverso la libera competizione tra valute (non soggette alle banche centrali, né agli ordini dei gruppi di pressione, politici o meno) si possa giungere, ripetiamo, a valori costanti ( ma non fissi), in termini di potere d'acquisto, della moneta denazionalizzata. E nel suo saggio, si diffonde, anche tecnicamente, e molto bene, illustrando i perché economici di una moneta non più schiava di politici-banchieri e di banchieri-politici. E dunque dell''inflazione indotta. Pagine memorabili alle quali rinviamo i lettori addottorati in Economics e non succubi del fascino perverso - soprattutto per chi non provenga da Nazareth - di moltiplicare i pani e i pesci ad uso però di speculatori, fessi e nullafacenti.
Hayek ne ha per tutti: Keynes e keynesiani, come appena ricordato; monetaristi (si infierisce particolarmente sull’idea di friedmaniana, di prefissare a priori la quantità di valuta necessaria al mercato); stralunati e inflazionisti profeti della free money: qui, per inciso, la differenza tra la teoria di Hayek e quelle, da sindrome del denaro facile, di Gesell, Douglas, eccetera, eccetera.
Si tratta di una questione metodo. Ad esempio, applicando la ricetta di Hayek, si sarebbe comunque arrivati all'euro (o agli "euri"), ma senza imposizioni dall'alto. E come? Attraverso la libera competizione tra banche (di emissione) private: concorrenza che avrebbe premiato la moneta o le monete migliori, secondo i consumatori. Si pensi, ad esempio, a quando un tempo si partiva per un viaggio, preferendo di portare con sé dollari o marchi, invece di lire, perché dotati di maggiore potere d'acquisto. Il meccanismo di preferenza della moneta denazionalizzata - semplificando, ovviamente - è lo stesso.
Una vera rivoluzione: il nemico principale di Hayek - non dimentichiamo che il saggio venne scritto negli anni Settanta - è l'inflazione ( e le conseguenti deflazioni), frutto di manipolazioni politiche per guadagnare consenso, illudendo masse instupidite dalla droga inflattiva e dal metadone deflattivo. Hayek ritiene che solo attraverso la libera competizione tra valute (non soggette alle banche centrali, né agli ordini dei gruppi di pressione, politici o meno) si possa giungere, ripetiamo, a valori costanti ( ma non fissi), in termini di potere d'acquisto, della moneta denazionalizzata. E nel suo saggio, si diffonde, anche tecnicamente, e molto bene, illustrando i perché economici di una moneta non più schiava di politici-banchieri e di banchieri-politici. E dunque dell''inflazione indotta. Pagine memorabili alle quali rinviamo i lettori addottorati in Economics e non succubi del fascino perverso - soprattutto per chi non provenga da Nazareth - di moltiplicare i pani e i pesci ad uso però di speculatori, fessi e nullafacenti.
Hayek ne ha per tutti: Keynes e keynesiani, come appena ricordato; monetaristi (si infierisce particolarmente sull’idea di friedmaniana, di prefissare a priori la quantità di valuta necessaria al mercato); stralunati e inflazionisti profeti della free money: qui, per inciso, la differenza tra la teoria di Hayek e quelle, da sindrome del denaro facile, di Gesell, Douglas, eccetera, eccetera.
Anche se in realtà, a dirla tutta, non
siamo davanti a un libro di economia in
senso stretto. E se proprio tale deve essere, la sua lettura non può prescindere dalla gaia scienza sociale della teoria istituzionale di Hayek. Teoria che, piaccia o meno a certi suoi cultori, ha radici sociologiche. Terminologia, anche in chiave disciplinare, che lo stesso Hayek non apprezzava particolarmente. Però le cose stanno così.
Ma procediamo per gradi. Come
egli osserva acutamente:
«Nell’immaginazione
popolare, l’espressione “corso legale” è comunque giunta a essere circondata da un alone di idee vaghe sulla supposta
necessità che lo Stato fornisca la moneta. Ciò è una sopravvivenza di quella concezione medievale secondo cui è
lo Stato a conferire in qualche modo un valore che altrimenti la moneta non
avrebbe. E questo a sua volta , è vero solamente nella molto limitata misura in
cui il governo può imporci di accettare qualunque cosa esso decida in
sostituzione di quel che abbiamo contrattato; il tal
senso, conferisce al sostituto lo stesso valore che per il debitore ha l’oggetto originario del contratto»
«
la superstizione in base a cui è necessario che il governo (usualmente chiamato
“Stato” per ottenere un suono migliore)
dichiari che cosa debba essere
considerato denaro, come se fosse una creazione che non esisterebbe senza lo
stato, ha probabilmente origine dall’ingenua credenza secondo cui il denaro è
stato “inventato” da qualcuno, sicché noi lo abbiamo ricevuto da un originario
inventore».
E
invece non è così. Siamo giunti al vero nocciolo sociologico della questione. Hayek sta per dispiegare tutta la forza euristica di una teoria dell’azione sociale, inclusiva delle sue conseguenze, individualmente irriflesse. Il lettore prenda fiato; siamo all'assalto finale. Perché, continua Hayek, «detta
credenza», quella dell’ «originario inventore», viene
«completamente
sconfessata dalla nostra comprensione
della nascita spontanea di istituzioni non programmate, attraverso un
processo di evoluzione sociale, di cui il denaro è
divenuto il paradigma più importante (altri esempi sono costituiti dal diritto, il linguaggio, le regole della
morale)».
Pertanto - modesto consiglio - per apprezzare pienamente La denazionalizzazione della moneta, crediamo si debba prima leggere, o comunque
alternare sapientemente nella lettura, il magnum
opus di Hayek: Law, Legislation and
Liberty. Autentica summa del suo proteiforme, ma raziocinante, pensiero filosofico, economico e sociale: opera alla quale, a quanto sembra, lavorò, indefessamente negli stessi anni in cui scriveva Denazionalizzazione.
In Law, Legislation and Liberty Hayek sviluppa, reinventando il concetto di mano invisibile, la sua straordinaria teoria delle istituzioni sociali, viste come un'ordine spontaneo, esito di innumerevoli interazioni individuali tra soggetti che perseguono l'interesse personale. Ordine, per l'appunto, di cui solo in seguito si ha la piena consapevolezza - circa i risultati - in termini di successo selettivo.
Certo, gli interessi, anche all'interno del pensiero e della pratica liberali, possono essere composti in modi diversi, non esclusa la manipolazione politica. Diciamo che Hayek, secondo la nostra classificazione è un liberale micro-archico. E' per lo stato minimo (**).
Hayek collega umilmente fallibilità e libertà. Una cosa è tentare di rimuovere gli ostacoli, apprendendo dai propri errori, un'altra ignorarli, vantandosi per giunta di costruire un mondo nuovo, dove non ci saranno più né ostacoli né errori. Per dirla, ancora una volta, e degnamente, con Hayek: la prima è la strada che conduce alla libertà, la seconda alla schiavitù.
Certo, gli interessi, anche all'interno del pensiero e della pratica liberali, possono essere composti in modi diversi, non esclusa la manipolazione politica. Diciamo che Hayek, secondo la nostra classificazione è un liberale micro-archico. E' per lo stato minimo (**).
Quindi, semplificando, moneta, linguaggio, morale, come sistema strutturato, se si vuole come forma di concettualizzazione, vengono dopo (al massimo durante), mai prima. E qui piace ricordare, come Pareto sostenesse la stessa cosa: prima il feudalismo, scriveva, poi la "teoria feudale"; prima il capitalismo, poi la "teoria economica capitalistica", eccetera, eccetera.
Gli esiti finali delle azioni umane individuali sono imperscrutabili: ecco il grande mistero sociologico. Anche Hayek, assolutamente convinto della umana fallibilità, ne è consapevole. E fino in fondo. Perché in Denazionalizzazione si suggerisce. Ci si guarda bene dal prescrivere cure miracolose, come tanti medici leninisti dei pazzi. Come egli osserva:
Gli esiti finali delle azioni umane individuali sono imperscrutabili: ecco il grande mistero sociologico. Anche Hayek, assolutamente convinto della umana fallibilità, ne è consapevole. E fino in fondo. Perché in Denazionalizzazione si suggerisce. Ci si guarda bene dal prescrivere cure miracolose, come tanti medici leninisti dei pazzi. Come egli osserva:
«È stato detto che la mia proposta di “costruire” istituzioni
monetarie completamente nuove è in conflitto con la mia generale attitudine
filosofica. Ma nulla è più lontano dai miei pensieri che la volontà di
disegnare nuove istituzioni. Quel che propongo è semplicemente la rimozione
degli attuali ostacoli che per secoli hanno impedito l’evoluzione di
desiderabili istituzioni monetarie».
Hayek collega umilmente fallibilità e libertà. Una cosa è tentare di rimuovere gli ostacoli, apprendendo dai propri errori, un'altra ignorarli, vantandosi per giunta di costruire un mondo nuovo, dove non ci saranno più né ostacoli né errori. Per dirla, ancora una volta, e degnamente, con Hayek: la prima è la strada che conduce alla libertà, la seconda alla schiavitù.
Carlo Gambescia
(*)
Friedrich A. von Hayek, La
denazionalizzazione delle moneta, presentazione di Lorenzo Infantino,
prefazione di José Antonio De
Aguirre, “Biblioteca
Austriaca”, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2018, pp. 214, Euro, 16,00. Per le citazioni si rinvia alle pagine 66-67 e 204, nota 4. Per acquisti diretti: :http://www.store.rubbettinoeditore.it/la-denazionalizzazione-della-moneta.html .
(**) Per la classificazione si rinvia al nostro Liberalismo triste, Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2013, pp. 71-75. Le altre forme - quattro in tutto - rimandano al liberalismo archico (o triste), an-archico, macro-archico.
(**) Per la classificazione si rinvia al nostro Liberalismo triste, Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2013, pp. 71-75. Le altre forme - quattro in tutto - rimandano al liberalismo archico (o triste), an-archico, macro-archico.