Botta
e risposta tra Roberto Buffagni e Carlo
Gambescia
L’Europa
e la questione del costruttivismo
Caro Carlo,
Rispondo con piacere alla tua acuta
critica [1]
al mio recente commento a un discorso di Massimo Cacciari sull’idea di Europa[2].
La tua critica è brevissima e chiarissima, e dunque non la riassumo,
pregandovi di leggerla con attenzione prima della mia replica.
Cerco d’essere altrettanto
breve e chiaro. Concordo volentieri con te sulla sua obiezione
principale, e cioè che “la politica…è sì, fondata sulla relazione
amico-nemico, quindi sullo status,
dettato dalla spada, ma…anche [sul] contratto, ossia le procedure, per evitare la spada puntando
sulla civilizzazione del nemico,
attraverso una proceduralizzazione (il contratto), capace di trasformare il nemico in
avversario.” Verissimo. Il problema dell’attuale situazione europea
e occidentale, però, è che il “contratto” capace di trasformare il nemico in
avversario non è un’obbligazione sinallagmatica privata, per la quale
bastano legge positiva e amministrazione capace di applicarne il comando. Il
contratto capace di trasformare il nemico in avversario è il contratto, o
meglio patto politico, il foedus
(lo auspica anche M. Cacciari nell’intervento che ho commentato).
Un foedus presenta due aspetti: uno, analogo al contratto privato, e
cioè la composizione degli interessi in un compromesso accettabile e vitale; e
un altro, che dal contratto privato lo differenzia qualificandolo, e cioè la
condivisione un progetto politico-culturale e di un’etica. Ora, a mio avviso
questo secondo aspetto, che differenzia il foedus politico dal contratto privato, nell’Europa e
nell’Occidente odierno non si dà e non si può dare.
Non si dà né si può dare
condivisione di un progetto politico-culturale e di un’etica, perché l’Unione
Europea, la forma che l’odierna Europa tenta di darsi, ha ripreso in toto
la pretesa illuministico-liberale di innalzare la ragione umana individuale a
legislatrice assoluta, a unica determinante della condotta personale e
collettiva. La società stessa, in questa prospettiva, diviene il teatro in cui
le singole volontà individuali vengono a incontrarsi, ciascuna col proprio
insieme di insindacabili preferenze e atteggiamenti. Risultato: il mondo diventa “l’arena dove combattere per il raggiungimento dei propri scopi
personali”, per dirla con Alasdair MacIntyre[3].
Di conseguenza, all’interrogazione riguardante i fini, personali e sociali, si
sostituisce la razionalità burocratica, che weberianamente consiste
nell’adeguare i mezzi agli scopi in maniera economica ed efficace.
Il dibattito intorno ai fini,
infatti, è sempre anche dibattito intorno ai valori. E non appena si dibatte
intorno ai valori, la razionalità weberianamente intesa non può far altro che
tacere. Non solo. Quando la razionalità weberianamente intesa si insedia al posto di comando politico,
non appena si apre il dibattito intorno ai valori essa non può far altro che far
tacere le voci che dissentono dal suo presupposto: essere i valori frutto
di decisioni soggettive; così rovesciandosi in dispotismo, conforme
l’eterogenesi dei fini vichiana. Secondo il presupposto della razionalità
weberiana, infatti, ogni scelta individuale è buona: sciolte da ogni vincolo
oggettivo nella comunità, nella struttura metafisica del reale o nella
trascendenza, tutte le fedi e le valutazioni sono ugualmente irrazionali, perché
puramente soggettive. Detto per inciso, è per questo che la coscienza moderna è
soggettivista, relativista ed emotivista: nella formulazione teologica di
Amerio, in breve illustrata nel mio precedente scritto, la coscienza moderna
mette l’amore al posto del Logos, la volontà prima dell’intelletto, la libertà
in luogo della legge, il sentimento sopra la ragione.
Questa, a mio avviso, l’origine
ideale del conflitto di crescente asprezza tra legittimazione popolare e
legittimazione razional-burocratica dell’Unione Europea. Conflitto insolubile,
perché la crisalide di Stato europeo difetta della forza sufficiente a imporre
dispoticamente il principio ordinatore razional-burocratico: ci prova, ma
invano, perché non può revocare la democrazia rappresentativa a suffragio
universale, che resta la “formula politica” [4]
(Mosca) degli Stati che la compongono, anche se non conviene all’entità
politica in fieri dell’UE; mentre la legittimazione popolare, rispecchiando i
divergenti interessi, culture, persuasioni etiche di popoli, nazioni e ceti
europei, affermandosi non può far altro che disarticolare il progetto
razionalista di (ri)costruzione della Torre di Babele 2.0 europea, che si
profila destinata a far la fine della Torre biblica 1.0.
Sul piano ideale, sarebbe possibile
uscire da questo vicolo cieco, riconducendo la costruzione europea alle sue “radici
cristiane”. Sottolineo “radici” piuttosto che “cristiane”, perché nelle
radici cristiane c’è anche la filosofia classica greca, anzitutto platonica e
aristotelica, che afferma con vigore e perspicuità il concetto di “natura
umana” e della sua intrinseca socialità; e la rappresenta in una forma
altamente differenziata che consentirebbe di conservare insieme sia la
legittimazione dell’universalismo spirituale perenne (eguale dignità di
tutti gli esseri umani) sia la legittimazione delle comunità particolari transeunti
(eguale dignità nella differenza di culture, nazioni, popoli europei).
Sempre sul piano ideale, su queste basi sarebbe possibile quella condivisione di
un progetto politico-culturale e di un’etica che costituisce la condizione
necessaria, benché non sufficiente, per il foedus
politico europeo (scrivo “non sufficiente”, perché a questa condivisione di
valori dovrebbe congiungersi il difficile compromesso tra gli interessi e il
precipitato delle vicende storiche di nazioni, popoli e ceti europei).
Il cristianesimo che potrebbe
farsi promotore di questo “ritorno alle radici europee”, dunque, non sarebbe
il cattolicesimo reazionario,
“maistriano” e seccamente negatore della modernità e dell’illuminismo, ma un
cattolicesimo che in mancanza di altro termine definirò “tradizionista”,
piuttosto che “tradizionalista”; perché non pretenderebbe il ritorno
all’endiadi Trono/Altare, né l’adesione confessionale degli Stati e dei
cittadini: non vivo su Marte né sono coetaneo di S. Tommaso, e mi ci troverei
molto a disagio io stesso; ma il ritorno, o meglio il ritrovamento, di quel
modo di intendere l’uomo e le sue comunità politiche e sociali con il quale il
cristianesimo si confrontò al suo affermarsi, e poi riprese e parzialmente
integrò ispirando e costruendo la civiltà europea. E’ questa, la base etica e
filosofica che costituisce la “legge naturale” che, se per i cristiani coincide
con i “preambula fidei”, per tutti
gli europei potrebbe (sottolineo potrebbe) coincidere con la tavola dei
valori comune: comune perché fondativa della civiltà europea.
Probabilmente, è con questa speranza che papa Benedetto XV
incentrò la sua riflessione teologica intorno a una ripresa e a un
aggiornamento della filosofia aristotelica, come base di dialogo con i non
credenti e con le istituzioni politiche occidentali. E’ senz’altro in questa
prospettiva che un gruppo di studiosi conservatori di chiara fama, tra i quali
d’altronde alcuni amici personali di papa Ratzinger, ha elaborato la
“Dichiarazione di Parigi”[5],
che per quel che vale la mia adesione (poco) volentieri sottoscrivo nella
sostanza.
L’11 febbraio 2013[6]
s’è visto quali concrete possibilità di affermazione ha questo progetto (per ora
non tante, diciamo).
E’ un serio problema, e non
perché io, papa Ratzinger o i firmatari della Dichiarazione di Parigi ne siamo
delusi.
E’ un serio problema perché
osservando la logica del conflitto in corso, in Europa e in Occidente, è
probabile avvenga quanto segue. Radicalizzazione e polarizzazione crescenti tra
un campo che ha per minimo comun denominatore universalismo politico,
mondialismo, razionalismo, scientismo, soggettività individuale dei valori; e
un campo che ha per minimo comun denominatore identitarismo, nazionalismo, nei
casi peggiori anche tribalismo e/o razzismo; e che con il campo nemico
condivide il peggio, cioè razionalismo, scientismo e soggettività dei
valori: perché sostituisce, come fonte della scelta volontaristica e
arbitraria dei valori, all’individuo liberale-illuminista la comunità
nazionale, o addirittura tribale e/o razziale; motiva la preferenza per il noi identitario rispetto all’ io illuminista-liberale con l’identico
scientismo (superiorità genetica di una razza sull’altra, leggi etologiche del
comportamento animale, etc.); e come il campo avverso persegue il suo fine -
inevitabilmente, di potenza e supremazia - con il criterio della razionalità
weberiana. In buona sostanza, due campi così configurati sarebbero l’uno il
positivo, l’altro il negativo fotografico dell’impasse culturale e politico non
dell’Unione Europea, ma dell’Europa e dell’ intera civiltà occidentale; che
confliggendo al calor bianco la sprofonderebbero nel cimitero della storia,
lasciandone per giunta un pessimo ricordo che magari ci meriteremmo noi, ma
certo non i nostri padri.
Deus
avertat. Per fortuna, probabile
non vuol dire certo. L’uomo resta
libero, e dunque tutto resta possibile. Meglio darsi da fare, però: aiutati che
il Ciel t’aiuta.
Un abbraccio,
Roberto Buffagni
***
Caro Roberto,
Io ti ho inviato
una cartolina, tu mi hai risposto con una enciclica. Quindi mi perdonerai, se rispondo, come mio stile, con un’altra cartolina.
Non entro nel merito della tua argomentazione, che comunque conferma il rigetto della modernità,
quanto meno così com’è. E qui però vengo al punto che mi interessa: il tuo costruttivismo.
Vedi Roberto, dal punto vista
storico - della storia come flusso di eventi - nessuno ha costruito a tavolino i concetti di impero romano, feudalesimo, mercato, liberalismo, modernità, solo per fare alcuni esempi.
Prima, si è avuta la
realizzazione dei fenomeni storici ricordati, poi la loro teorizzazione:
realizzazione che è frutto - mai dimenticarlo - di
meccanismi sociali selettivi che sono il portato di una mano invisibile, che condensa le scelte di milioni e milioni
di uomini, che, perseguendo individualmente i propri interessi, non sanno, nel preciso momento in cui agiscono, che cosa stiano realizzando collettivamente.
Per contro, un classico esempio di costruttivismo, cioè di
teoria che precede la realtà, e pretende di piegarla, è rappresentato proprio dal comunismo. E i tristi risultati sono ancora sotto gli occhi di tutti. Come
vedi non sei in buona compagnia... Lo stesso concetto si può estendere al
nazionalsocialismo e al fascismo, frutto di un comune humus teorico, se vuoi culturale, che si proponeva, sempre a tavolino, la costruzione di forme
alternative di postmodernità o antimodernità, ottenendo, in quest'ultimo caso, il beneplacito, come per il fascismo italiano, delle gerarchie cattoliche più retrive ed estranee o nemiche della
modernità.
Sicché quando
tu dici, appellandoti all’autorità di questo o quel dotto pensatore, potremmo fare
questo, potremmo fare quello, ti comporti da perfetto costruttivista. Vuoi
cambiare una realtà che non ti piace, costruendone un’altra a tavolino. E
mettendo dentro di essa, quel che più ti
aggrada o conforta la tua tesi. Anch'io potrei fare la stessa cosa, ma, a
differenza di te, so, da sociologo, che la mano invisibile, che regola i fenomeni sociali, finisce sempre per vendicarsi degli ingegneri delle anime. Pertanto, in qualche misura, se mi perdoni l'inciso, tra noi due, l'individualista accanito sei tu, pur professando l'esatto contrario.
Certo - sarebbe inutile negarlo - anche l’unificazione europea è un fenomeno costruttivista, con una differenza - direi, fondamentale - rispetto al comunismo e alle altre forme di costruttivismo totalitario. Quale? Non prevede l’uso della violenza, ma si appella al contratto. Qui la sua forza e al tempo stesso la sua debolezza. In questo senso, però, siamo davanti, e per la prima volta nella storia, a una “formula politica”, o per meglio dire a un esperimento politico e sociale, che si propone di unificare l’Europa in modo pacifico, dove altri invece hanno fallito, usando la pura forza, se non la violenza più atroce.
Certo - sarebbe inutile negarlo - anche l’unificazione europea è un fenomeno costruttivista, con una differenza - direi, fondamentale - rispetto al comunismo e alle altre forme di costruttivismo totalitario. Quale? Non prevede l’uso della violenza, ma si appella al contratto. Qui la sua forza e al tempo stesso la sua debolezza. In questo senso, però, siamo davanti, e per la prima volta nella storia, a una “formula politica”, o per meglio dire a un esperimento politico e sociale, che si propone di unificare l’Europa in modo pacifico, dove altri invece hanno fallito, usando la pura forza, se non la violenza più atroce.
Cosa c’è di male in tutto questo?
Ricambio l'abbraccio,
Carlo Gambescia
[6] https://youtu.be/tuuUcIrd2AU
13 novembre 2018
A conclusione del nostro scambio di opinioni, ricevo e pubblico volentieri questo "telegramma" di Roberto Buffagni:
SELA UE E ’
UN CONTRATTO E’ UN PESSIMO CONTRATTO, RIVEDERE STOP
Al quale rispondo con un mio telegramma :
CONCORDO SUL RIVEDERE CONTRATTO STOP
SENZA PISTOLE ALLA MANO STOP
TRATTASI DI ESPERIMENTO STOP
ASTENERSI FIDEISTI STOP
Un abbraccio di cuore, Tuo Carlo
13 novembre 2018
A conclusione del nostro scambio di opinioni, ricevo e pubblico volentieri questo "telegramma" di Roberto Buffagni:
Telegramma a Carlo Gambescia
Caro Carlo,
tu mi hai mandato due cartoline, io un’enciclica. Per
pareggiare ti invio un telegramma:
SE
ANTICA PERO’ QUESTA MODERNITA’ CHE VA RATIFICATA IN BLOCCO
MI RICORDA IL SALTO DELLA FEDE STOP
INDIVIDUALISTA LO SONO ECCOME INFATTI SOPPORTO LE
IMPOSIZIONI “PER IL MIO BENE” [SIC] SOLO SE AUTORIZZATE DA UN DIO IN CUI CREDO
ANCHE IO STOP
Riabbraccio affettuoso, Tuo Roberto Al quale rispondo con un mio telegramma :
Telegramma a Roberto Buffagni
CONCORDO SUL RIVEDERE CONTRATTO STOP
SENZA PISTOLE ALLA MANO STOP
TRATTASI DI ESPERIMENTO STOP
ASTENERSI FIDEISTI STOP
Un abbraccio di cuore, Tuo Carlo