mercoledì 7 novembre 2018

Salvini? Tra  Codreanu, Almirante  e Robin Williams
Oh Capitano! Mio Capitano!




Circola una tesi, abbastanza diffusa, sulla possibilità di ricondurre Salvini nell' alveo di una destra liberale, insomma normale, non populista, quindi pro europea,  pro economia di mercato,  pro diritti civili,  non razzista  e pacata  e ragionevole nei toni come nello stile.
Però prima di andare avanti nella nostra  analisi,  ci si deve  chiedere  se in Italia sia  mai esistita una destra normale. La risposta è no.  Dalla  seconda metà dell’Ottocento, i cattolici si astennero, ufficialmente, almeno fino al Patto Gentiloni e alla fondazione del Partito Popolare nel secolo successivo.  I liberali, cosa che non va mai dimenticata, classe politica rivoluzionaria,  si divisero  in  una destra e sinistra, nella rovinosa  attesa  che nel Novecento si sviluppasse un forte partito socialista, dal quale come per la scissione dell'atomo, dopo la rivoluzione del 1917 (si legga però,  colpo di stato bolscevico), nacque il Partito Comunista italiano.

Chiusa la parentesi fascista, nel dopoguerra, il quadro politico si divise tra  la "balena"   Democrazia Cristiana, che però si dichiarava di centro, un pugno di partitini laici, tra i quali i resti del partito liberale,  a  fronte  di una sinistra agguerritissima,  divisa tra comunisti, a poco a poco maggioritari  e socialisti, prima frontisti,  via via più autonomi, eccetera, eccetera.
Insomma, l’unica destra -  non normale ovviamente -  fino all’arrivo del tornado berlusconiano, tra l’altro rivelatosi un flop, come partito liberale di massa,  rinvia direttamente  ai missini e alle residue truppe monarchiche. Sia gli uni che  gli altri, in particolare i fascisti dopo Mussolini, di politicamente normale non ebbero un bel  nulla.  I missini, in particolare,  totalmente  impregnati (e ubriachi)  di vino populista, nonché seguaci  di qualsiasi  idea, la più estrema,  purché  non fosse liberale,  restano, ideologicamente parlando, i  padri naturali  di un personaggio politico come Salvini, che pur non citandoli mai, è in buona sostanza  il vero erede dell' ambigua politica dell’ordine e della sovversione, tipica del Movimento Sociale: ordine, come autoritarismo criptofascista (per ora), per capirsi Dio-Patria-Famiglia sulle bandiere sventolanti;  sovversione come odio puro nei riguardi di tutto ciò che sia legato  alla democrazia liberale. Ciò  significa, che  Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia sono pure e semplici controfigure.  Comprimari d'insuccesso.

Perché, in realtà,  il vero   trascinatore è Matteo  Salvini, leader di una destra, che venuto meno l’argine democristiano e in qualche misura anche l'ambiguo argine politico berlusconiano, pensa e parla (esclusi gli espliciti riferimenti al fascismo) come il leader del  Movimento Sociale nei  primi anni Settanta: Almirante, abilissimo incantatore di folle e  grande comunicatore.  Salvini ne è la perfetta reincarnazione politica. Certo,  con tastiera a portata di mano, felpa invece del doppio petto, ruspa al posto del manganello (per ora),  ma sempre pronto, come Almirante,  a parlare alla pancia della gente: al piccolo borghese retrogrado e impaurito, all'operaio razzista, al giovanotto sbandato, dalla pistola facile (Macerata, docet).  Con un differenza istituzionale:  che ai tempi di Almirante  c’era la Democrazia Cristiana, ancora abbastanza compatta elettoralmente, e una sinistra fortissima.  E soprattutto non c’erano i Social.  
Se il punto è questo, esistono possibilità di conversione alla democrazia liberale, per un partito dell’ordine e della sovversione? Poche, molto poche. Diciamo quasi pari a zero. Nel 1976, Democrazia Nazionale, fuoriuscendo dal  Movimento Sociale, dopo una lunga gestazione interna, tentò di  far nascere una destra normale o quasi.  Non andò. Qualche studioso  scrive, ancora oggi, che forse i tempi non erano maturi.  Però due decenni dopo, fallì, e in grande stile,  anche Fini, per varie ragioni, tra cui le scarse capacità politiche. Ma, più verosimilmente, soprattutto  per un vecchio e caro problema di Dna politico, antiliberale, che accomuna tutta la destra missina e postmissina.
Oggi  Salvini  è tornato indietro, bypassando l’esperimento berlusconiano, che non fu liberale, non fu democristiano, non fu socialista, non fu nulla.  O peggio:  solo capace di preparare il terreno,  grazie al massiccio messaggio antipolitico, che dura tuttora,  rilanciato dalle sue televisioni,  al populismo in genere e  al  criptofascismo di Salvini. Un leader  abilissimo invece,  come l’Almirante di cinquant’anni fa,  nel parlare di ordine e sovversione al tempo stesso, conquistando  la pancia di un' Italia, malata di "solennità domenicali",  che ha avuto sempre seri problemi  di Dna  a metabolizzare la democrazia liberale. Proprio come i missini e i postmissini.
Pertanto la risposta è no. La Lega salviniana è una versione post-moderna del Movimento Sociale Italiano.  Forse potrebbero  fuoriuscirne delle schegge politiche, però né  liberali né normali.
Un ultimo punto, importante. Almirante non amava che lo appellassero duce, né pubblicamente né privatamente. Salvini si fa chiamare capitano. In pubblico.  Può sembrare un’inezia. Ma, Codreanu, un mito per il neofascismo italiano (e non solo),  fondatore negli anni Trenta, del movimento fascista rumeno, si  faceva chiamare così:  capitano.  Pochi lo sanno. Molti magari pensano, sulla scia di un  film americano, interpretato da un sovversivo, simpatico e scanzonato Robin Williams,  ai versi di Walt Whitman,  altri forse, pur sapendo, giocano sull'equivoco.  Il fascismo, in fondo, fu e resta sovversione.   E'il suo lato romantico. Che può fare ancora danni. I fascisti la chiamano Rivoluzione Conservatrice: per intendersi,  il mix  ordine e sovversione .  
In realtà, il titolo di capitano, simbolicamente, rappresenta, quasi plasticamente,  il trait d’union  tra Corneliu Zelea Codreanu, Robin Williams, Almirante e Matteo Salvini   La cosa può anche far sorridere.  In realtà, siamo dinanzi al nesso tra ordine e sovversione,  colto nella sua essenza. O se si preferisce,  alla  linea  di continuità simbolica   tra fascismo moderno e  fascismo postmoderno.

Carlo Gambescia