La sociologia e i suoi
amici
Colgo l’occasione, prendendo spunto da un commento di ieri al
post sulla “segregazione” (*), per una micro-lezione di sociologia.
Il commento è il seguente:
Il commento è il seguente:
«Chi ha scritto questo articolo ha
una percezione della realtà e del contesto storico pari a zero. Mettere in
prima fila una persona che rischia la morte rispetto a chi deve essere
rimborsato dopo un tamponamento non è segregazione o favoritismo. È semplice
dare un giusto ordine di importanza alle cose. Soccorrere chi è in pericolo
prevale sulle cose banali o comunque prorogabili. Quando si usa un termine
forte come "segregazione", occorre avere la capacità di esprimersi
liberi da condizionamenti politici o rabbia ideologica, cosa che raramente
accade. Se non si riesce meglio parlare di altro. Parlare di calcio, ad
esempio.»
Due cose.
La prima inerente ai Social. Si noti il tono, in pratica mi si invita a darmi all’ippica. La cosa è anche divertente… Purtroppo, sulle reti sociali è così, i codici di deferenza non sussistono. Si è
giudicati per ciò che si dice. O
meglio, per ciò che Alter crede di
intuire del correlato sociolinguistico
di Ego. Pertanto i Social non sono il luogo adatto per intavolare pacate e proficue conversazioni: senza i codici di
deferenza tutti possono parlare di tutto. Semplificando, si potrebbe definirla cognitività democratica. Nel senso che l’atto
cognitivo è sganciato dal concetto di
merito e di status, che invece,
piaccia o meno, rinvia alla natura aristocratica
di ogni sapere. Infatti, l’atto cognitivo rimanda in forma scalare alle rispettive formazioni e ai livelli di preparazioni individuale. Quindi? Internet (mi riferisco al fenomeno generale dei Social), dove i tempi di reazione sono nulli e dove si leggono due cose su wiki e via, si colloca nei gradini inferiori della sfera cognitiva. Per alcuni osservatori ne rappresenta addirittura la totale negazione. Del
resto, i mediocri risultati, circa il ruolo dei Social in ambito
politico, sono sotto gli occhi di tutti.
Alexis de Tocqueville |
La seconda cosa, è che alla maggior parte delle persone sfugge il ragionamento di tipo teorico. Non riesce a "sintonizzarsi" sulla differenza che passa tra la descrizione di
un processo sociologico e il processo storico, che spesso è processo
ideologico. Cioè, frutto di un’interpretazione ideologica della storia,
nel senso della condivisione di idee che vanno a nutrire differenti e molteplici visioni del progresso o regresso storico. Detto altrimenti: tanti gli esseri umani, tanti i pareri. Se si resta sul filo della teologia politica, e delle differenti priorità sociali che da essa discendono, non se ne esce.
Si tratta, insomma, della stessa differenza che passa tra descrizione e prescrizione, tra giudizio scientifico, fondato sull'osservazione dei fatti e giudizio di valore determinato da un'etica della convinzione. La scienza non è per tutti.
Si tratta, insomma, della stessa differenza che passa tra descrizione e prescrizione, tra giudizio scientifico, fondato sull'osservazione dei fatti e giudizio di valore determinato da un'etica della convinzione. La scienza non è per tutti.
Nel mio articolo, sulla scorta di un nobilissimo padre del pensiero
sociologico, Alexis de Tocqueville, riscoperto da Raymond Aron, descrivo un processo di segregazione sociale, di
separazione politica (dunque costruttivista, per dirla con Hayek) dei gruppi sociali,
a prescindere da qualsiasi giudizio di
valore. Purtroppo, il nesso tra un credo prevalente ( di tipo storico o
ideologico) e potere, tende a generare, sul piano giuridico
(se si vuole, legale-organizzativo), dei
processi di segregazione sociale, che possono cambiare di segno politico, ma
che tali restano.
Le ragioni storicamente evocate possono essere le più nobili o le più abiette, ma una volta che quella macchina per
fabbricare gli dei (per dirla con Moscovici), che si chiama società, si è messa
giuridicamente e organizzativamente in moto, la
segregazione, dei gruppi sociali non prevalenti, è inevitabile.
Raymond Aron |
Per contro, la sociologia - oggi
purtroppo ridotta all' ancella dei servizi sociali - ha un forte nucleo teorico, opera
dei suoi padri, tra i quali Tocqueville,
che ci permette di
“smontare” e studiare la società. Può piacere o meno, ma i
processi sociali - e dunque anche quello
di segregazione - hanno una propria
logica interna, una consequenzialità fattuale che conduce inevitabilmente a
forme di discriminazione sociale, a prescindere dal tipo di regime politico o dalle intenzione umane.
Il che, per una società, che si batte per l’eguaglianza è una contraddizione. Ma,
potrebbe essere diversamente? La
sociologia ci dice di no, perché, come spiegato, c’è una logica interna, eccetera, eccetera,
che il sociologo studia e conosce.
Sotto tale aspetto (che non è secondario, anzi…), la sociologia è
una scienza triste, o se si vuole realista, perché studia la natura eterogenetica dei fenomeni sociologici. E dunque gli effetti perversi delle azioni
sociali. E in qualche misura mette in guardia dai pericoli del costruttivismo sociale, come ad esempio di uno stato, che atterri o susciti come il dio manzoniano.
Lo scopo del sociologo non è quello di favorire questa o quella
politica, questo o quel costruttivismo, ma di indicare le possibili conseguenze delle azioni sociali sulla base di una
conoscenza, per carità limitata, ma scientificamente fondata, dei processi sociologici. Ciò significa, che un processo di segregazione, dal punto di
vista del razza o del genere anche se a
fin di bene, resta tale.
Cosa che molti, in particolare i politici, non amano sentirsi dire. Di qui, ripetiamo, il
carattere triste, se si vuole antipatico della sociologia. Se rettamente intesa. Non come la si intende oggi, una specie di ancella del welfare state...
Carlo Gambescia
(*) carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2018/11/violenza-alle-donne-approva-codice.html .