venerdì 30 novembre 2018

La sociologia e i suoi amici




Colgo l’occasione,  prendendo spunto da un commento di ieri al post sulla “segregazione” (*),   per una micro-lezione  di sociologia.
Il commento  è il seguente:

«Chi ha scritto questo articolo ha una percezione della realtà e del contesto storico pari a zero. Mettere in prima fila una persona che rischia la morte rispetto a chi deve essere rimborsato dopo un tamponamento non è segregazione o favoritismo. È semplice dare un giusto ordine di importanza alle cose. Soccorrere chi è in pericolo prevale sulle cose banali o comunque prorogabili. Quando si usa un termine forte come "segregazione", occorre avere la capacità di esprimersi liberi da condizionamenti politici o rabbia ideologica, cosa che raramente accade. Se non si riesce meglio parlare di altro. Parlare di calcio, ad esempio.»

Due cose.
La prima inerente ai Social. Si noti il tono,  in pratica mi si invita a darmi all’ippica.  La cosa è anche divertente…  Purtroppo, sulle reti sociali è così,  i codici di deferenza non sussistono. Si è giudicati per ciò che si dice.  O meglio,  per ciò che Alter crede di intuire  del correlato sociolinguistico di Ego.  Pertanto i  Social non sono il  luogo adatto per intavolare pacate e proficue conversazioni:  senza i codici di deferenza tutti possono parlare di tutto. Semplificando, si potrebbe definirla  cognitività democratica. Nel senso che l’atto cognitivo è sganciato dal concetto di  merito e di status,  che invece, piaccia o meno,  rinvia alla natura aristocratica di ogni sapere.  Infatti,   l’atto  cognitivo  rimanda  in forma scalare  alle rispettive  formazioni e ai livelli di  preparazioni individuale. Quindi?   Internet (mi riferisco al  fenomeno  generale dei Social),  dove i tempi di reazione sono nulli e dove si leggono due cose su wiki e via,  si colloca nei gradini inferiori  della sfera cognitiva. Per alcuni osservatori ne rappresenta addirittura la totale negazione. Del resto, i mediocri  risultati, circa il ruolo dei Social in ambito politico,  sono sotto gli occhi di tutti.
Alexis de Tocqueville
La seconda cosa, è che  alla maggior parte delle persone sfugge  il ragionamento di tipo teorico. Non riesce a "sintonizzarsi"  sulla differenza che passa tra la descrizione di un  processo sociologico  e il processo storico, che spesso è processo ideologico. Cioè,  frutto di  un’interpretazione ideologica della storia, nel senso della condivisione di idee che vanno a nutrire differenti e molteplici visioni del progresso o regresso storico. Detto altrimenti: tanti gli esseri umani, tanti i pareri. Se si resta sul filo della teologia politica, e delle differenti priorità sociali che da essa  discendono, non se ne esce.  
Si tratta, insomma, della stessa differenza che passa tra descrizione e prescrizione, tra giudizio scientifico, fondato sull'osservazione dei fatti e  giudizio di  valore determinato da un'etica della convinzione. La scienza non è per tutti. 
Nel mio articolo, sulla scorta di un nobilissimo  padre del pensiero sociologico, Alexis de Tocqueville, riscoperto da Raymond Aron,  descrivo un processo di segregazione sociale, di separazione politica (dunque costruttivista, per dirla con Hayek) dei gruppi sociali,  a prescindere da qualsiasi giudizio di valore. Purtroppo,  il nesso tra  un credo prevalente ( di tipo storico o ideologico)  e  potere, tende a generare, sul piano giuridico (se si vuole, legale-organizzativo),  dei processi di segregazione sociale, che possono cambiare di segno politico, ma che tali restano.
Le ragioni storicamente evocate  possono essere le più nobili o le più abiette,  ma  una volta che quella macchina per fabbricare gli dei (per dirla con Moscovici), che si chiama società, si è messa giuridicamente e organizzativamente in moto,   la segregazione, dei gruppi sociali non prevalenti, è inevitabile.  
Raymond Aron
Per contro, la sociologia -  oggi purtroppo ridotta all' ancella dei servizi sociali -   ha  un  forte nucleo teorico, opera dei suoi padri, tra i quali Tocqueville,  che ci permette di  “smontare”   e  studiare la società. Può piacere o meno, ma i processi sociali -  e dunque anche quello di segregazione -  hanno una propria logica interna, una consequenzialità  fattuale che conduce inevitabilmente a forme di discriminazione sociale, a prescindere dal tipo di regime politico o dalle intenzione umane.
Il che, per una società, che si batte  per l’eguaglianza è una contraddizione. Ma, potrebbe essere diversamente?  La sociologia ci dice di no, perché, come spiegato,  c’è una logica interna, eccetera, eccetera, che il sociologo studia e conosce.
Sotto tale aspetto (che non è secondario, anzi…), la sociologia è una scienza triste, o se si vuole realista,  perché studia la natura  eterogenetica dei fenomeni sociologici.  E dunque gli effetti perversi delle azioni sociali. E in qualche misura mette in guardia dai  pericoli del costruttivismo sociale, come ad esempio di uno stato, che  atterri o susciti come il dio manzoniano.     
Lo scopo del sociologo non è quello di favorire questa o quella politica, questo o quel costruttivismo, ma di indicare le possibili conseguenze delle azioni sociali sulla base di una conoscenza, per carità limitata, ma scientificamente fondata, dei processi sociologici.  Ciò significa, che  un processo di segregazione, dal punto di vista del razza o del genere  anche se a fin di bene,  resta tale.
Cosa che molti, in particolare i politici,  non amano sentirsi dire.  Di qui, ripetiamo,  il carattere triste, se si vuole antipatico della sociologia. Se rettamente intesa.  Non  come la si intende oggi,  una specie di ancella  del welfare state...

Carlo Gambescia

(*) carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2018/11/violenza-alle-donne-approva-codice.html .