Il libro
di Carlo Calenda e la crisi del Pd
Segnali di
vita?
di Teodoro Klitsche de la Grange
Il saggio di Carlo Calenda, Orizzonti Selvaggi(*), è una riflessione sulla
globalizzazione e sull’antagonista da esso generato, ossia il populismo. Al
contrario di altri, critica gli eccessi della globalizzazione, con la conseguenza che ha indotto. Scrive
l’autore che nel ventennio tra il 1989 (caduta del muro di Berlino) e il 2008
(inizio della crisi) si è avuta una separazione tra politica e potere “La
separazione tra politica e potere deriva da errori interni alla politica, ma è
anche un frutto guasto della prima fase della globalizzazione e dell’ideologia
che l’ha ispirata. La politica deve tornare ad avere il potere di indirizzare
gli eventi a partire dall’oggi… La ricerca della rappresentanza è stata sostituita
dalla retorica della competenza. La tecnica ha sostituito il pensiero politico
e poi la politica stessa”. Si è rotta la relazione di fiducia tra i cittadini e
la classe dirigente. “Questa frattura si è allargata rapidamente, poi nel 2008
la prima fase della globalizzazione si è chiusa, traumaticamente e i suoi dogmi
sono crollati, insieme al progetto egemonico dell’Occidente iniziato nell’89”.
L’ “ideologia del potere”, cioè il progresso non
è più creduta dalle masse. È la paura del presente su cui insistono le forze
populiste a determinare la loro ascesa “I populisti prevalgono, pur rimanendo
inconsistenti sul piano delle proposte, perché riconoscono le paure
contemporanee, mentre i progressisti hanno venduto e continuano a vendere le
meraviglie di un futuro lontano”.
A differenza di altri, pregio di questo libro è
di fare l’autocritica (dei favorevoli
alla globalizzazione) e di riflettere sulle cause di una decadenza, specie in
Italia assai accelerata dalla vecchia élite e dal sistema politico da essa
costituito.
L’autore ricorda i dieci fallimenti del
“progetto egemonico dell’Occidente” indotto dalla globalizzazione: il lavoro
che è diventato una commodity,
l’iniquità della distribuzione del carico fiscale, la sregolarizzazione della
finanza, l’insostenibilità del modello di sviluppo (ed altri). Ma anche i
successi: il progresso economico dei paesi in via di sviluppo (è il dato più
favorevole) la diminuzione dei prezzi nei paesi sviluppati (sul che ci sarebbe
da discutere) le istituzioni di governance
internazionale.
Il populismo, di converso rifiuta l’ipotesi
tecnocratica e “ha ridato centralità all’oggi ma soprattutto alla
rappresentanza contro la retorica della competenza”, mentre “le classi
dirigenti liberali hanno pensato di poter sostituire la rappresentanza con la
competenza per un trentennio, in forza del fatto che il pensiero liberale era
l’unica “narrazione globale” sopravvissuta, compito della politica era
esclusivamente applicare tecnicamente i principi di questo pensiero”. Ma “la
democrazia non si fonda sul cv, ma sulla rappresentanza, e le elezioni non sono
un colloquio di lavoro. La rappresentanza non dipende dalla competenza tecnica
ma dalla capacità di essere in contatto con la società”. Peraltro il tutto,
nella migliore delle ipotesi, ha provocato uno iato tra efficienza e giustizia;
ma “la mancanza di etica nel capitalismo contemporaneo è una delle cause
fondamentali della sua crisi di reputazione”. L’ideologia della globalizzazione
ha favorito il dumping da parte della
Cina “L’industria dell’acciaio è stata distrutta dalla competizione scorretta
cinese dovuta a una sovrapproduzione largamente incentivata dallo Stato in
barba a ogni norma del Wto”. L’antagonista sovran-populista ha soprattutto
sfruttato la paura provocata dalla crisi, dalla migrazione e dalla “revisione”
dello Stato sociale; d’altra parte, scrive – a ragione – Calenda, la sinistra
ha perso il contatto con la propria base “Un caso esemplificativo della
mancanza di qualsiasi riflessione sulle ragioni della sconfitta è quello della
manifestazione che il Pd ha deciso di dedicare “all’Italia che non ha paura”.
Vale a dire ai vincenti, gli unici che infatti continuano a votarlo. Non sono
un appassionato di distinzioni tra destra e sinistra ma una cosa mi è chiara:
la sinistra nasce per difendere chi ha paura, non per allontanarlo. Qualsiasi
nuovo progetto politico che abbia l’ambizione di diventare maggioranza deve
partire da qui: dare rappresentanza all’Italia che ha paura”. Il progetto
politico proposto è “aperto”: “Le linee di demarcazione tra destra e sinistra
si sono spostate. La vera discriminante oggi è tra chi vuole rinnovare la
democrazia liberale mantenendone i valori di fondo e chi invece vuole
sostituirla con una democrazia illiberale, infetta e manipolata”. In altri termini
il nascente “partito globalista”.
Carlo Calenda, già Ministro dello Sviluppo Economico |
Questo libro ha due pregi, che sono anche due
difetti: tiene conto che è cambiato il contenuto dell’opposizione amico/nemico,
per cui riproporre la vecchia scriminante del secolo breve, ossia
borghese/proletario è inutile e politicamente debole. Se il comunismo dal 1991
è stato collocato nell’archivio della Storia, è inutile combatterci contro. Tuttavia,
specie in Italia, la lentezza delle classi dirigenti, ma quella di
centrosinistra ancor più che quella di centrodestra, nel valutare la nuova
situazione, rende problematico recuperare il (troppo) tempo perduto.
Dall’altra la seconda componente fondamentale
del successo del populismo, già sottolineato negli anni ’90 del XX secolo, tra
gli altri, da Lasch e Paul Piccone, e cioè la frattura tra popolo ed élite che
non condividono più l’ethos delle
masse, così che “si sono estraniate totalmente dalla vita comune” (Lasch),
appare altrettanto forse più difficile da superare. Il rigetto dell’elettorato
nei confronti dell’ “ancien régime”,
specie in Italia e così esteso e diffuso che anche una radicale rottamazione
potrebbe non bastare.
Anche perché molti delle “nuove leve”
condividono (gran parte degli) errori e degli idola delle vecchie volpi, almeno di quelle della “seconda
Repubblica”. Comunque, malgrado la strada in salita, il percorso di Calenda è
nella direzione giusta. Auguri.
Teodoro Klitsche de la Grange
(*) Carlo
Calenda,
Orizzonti selvaggi. Capire al paura e ritrovare il coraggio, Feltrinelli,
Milano 2018, pp. 216, € 16,00.
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra
i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di
Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).