L’UE boccia la manovra giallo-verde
La frittata è fatta
di Carlo Gambescia
Nessuno
fece nulla per fermare Mussolini nel 1940. Gli storici osservano che alcuni
industriali e generali segnalarono al Duce l' impreparazione italiana. Ma Mussolini, fu irremovibile. E finì, come tutti sappiamo. Franco invece fu più prudente, si guardò bene, nonostante le fortissime pressioni di Hitler, dall'intervenire. E così rimase al potere per altri quarant’anni.
Per
carità, nessun elogio della dittatura spagnola. Magari della prudenza politica,
sì. Virtù, di cui Mussolini era privo ( manchevolezza
deleteria in un dittatore), come, purtroppo lo sono Salvini e Di Maio, leader
repubblicani, ai quali però piacerebbe molto disporre di maggiore potere.
E non è detto, se continuerà così, che non vi riescano. Le crisi
politico-economiche, spingono all’accentramento del potere, facilitando la
riduzione della libertà in nome dell’interesse superiore, come ad esempio quello di vincere una
guerra.
E
da oggi, dopo la bocciatura UE, fortemente voluta da chi ci governa, siamo ufficialmente in guerra,
guerra economica, con Bruxelles. E nessuno ha
fatto nulla per fermare Salvini e Di Maio, quando ancora si poteva fare qualcosa. In giugno. A cominciare dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Oggi,
pubblico un editoriale dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange , uomo colto e
intelligente, dove però ci si arrampica sugli specchi, pur di
giustificare, non tanto la sovranità del
Parlamento in sé, quanto quella del Governo giallo-verde. Si cita a sproposito Bismarck, che si muoveva in un regime che non era
parlamentare, per giustificare, via parlamento, la continuità delle funzioni dello stato, rappresentata però - quando si dice il caso - dall’attuale e sconsiderata maggioranza di governo, ricorrendo, perché torna
argomentativamente utile, a una interpretazione, ripetiamo, parlamentarista (che sussiste, per carità, ma tra le altre… ) della Costituzione e del
ruolo del Presidente della Repubblica. Addirittura sconfinando nel recupero, via Hauriou (che pure ne fu critico), del disastroso parlamentarismo della Terza Repubblica francese. E
tutto questo, per giustificare una continuità di potere dello stato, presentata come legge metapolitica, ma imposta da una guerra economica, che
metapolitica non è, volontariamente
scatenata dagli stessi Salvini e Di Maio a disposizione dei quali ora si vuole mettere una
teoria costituzionale pronta all’uso. Ma certamente, Dura lex, sed lex, solo se al potere ci sono "i Nostri", o presuntivamente ritenuti tali.
Purtroppo, continuo
a non capire, anche perché sarà il primo a pagare le conseguenze
economiche della guerra scatenata da Salvini e Di Maio, l’ atteggiamento filopopulista di
certo notabilato liberale, colto, intelligente, dotato di mezzi non solo
intellettuali.
Comunque
sia, la frittata è fatta. L’Italia è in guerra. Economica. Per ora.
Carlo Gambescia
***
Bismarck e Mattarella
di Teodoro Klitsche de la Grange
Tra le tante novità che si leggono (e vedono) in
questa fase di transizione, e probabilmente di “dualismo di poteri”, da qualche
settimana si attribuisce a Mattarella l’intenzione - ed il potere – di non
firmare la legge di bilancio. La possibilità è stata ripetutamente avanzata; si
è letto (sulla rete) che “il cerino sarà sempre nelle mani del presidente
Mattarella, alla fine. Sarà lui, infatti, che deciderà con la sua firma se la Legge di bilancio del
governo gialloverde sarà legge dello Stato o meno. E, a dispetto di quanto si
pensi, non è una scelta scontata, né un mero atto formale”. Qualche
costituzionalista è intervenuto, ricordando all’uopo gli artt. 81 e 97 della
Costituzione, nonché gli immancabili vincoli europei e qualche opinione di
uffici. La soluzione appare dubbia.
Piuttosto che lottare – normativisticamente - fino
all’ultimo cavillo, a mio sommesso avviso occorre prendere esempio da chi
giurista (di professione) non era, ma statista - ed ai massimi livelli - sicuramente si, come Otto von Bismarck.
Questi, chiamato a risolvere il conflitto
costituzionale prussiano, ed (anche) all’uopo nominato cancelliere dal Re di
Prussia, dette una propria interpretazione del rapporto tra organi
costituzionali relativamente al bilancio dello Stato. In un discorso al Landtag affermò “su ciò che sia giusto
quando nessun bilancio viene approvato, sono state messe insieme teorie sul cui giudizio non voglio qui
impegolarmi”, ma data la diversità delle opinioni giuridiche, la soluzione
data dal “cancelliere di ferro” era altra: “basta per me la necessità che lo Stato esista e che
neanche nelle più pessimistiche visioni si lasci accadere ciò che succederebbe
se la cassa chiudesse. Solo la necessità
è determinante; di questa necessità abbiamo tenuto conto e Loro stessi non
chiedono che noi avremmo dovuto sospendere il pagamento degli interessi e degli
stipendi ai funzionari” (si rivolgeva all’opposizione liberale). Tale teoria fu
chiamata “teoria del gap”: quando c’è
uma “lacuna” costituzionale non si può abolire lo Stato (salus reipublicae suprema lex) rendendone impossibile l’esercizio
delle funzioni; onde (nella monarchia costituzionale prussiana) spettava al Re
– e al suo governo – continuare a garantire il funzionamento (cioè l’esistenza)
dell’istituzione statale, anche senza bilancio approvato.
Una tale situazione era in linea con quanto avrebbe
sostenuto, decenni dopo, Santi Romano (e non solo).
Piuttosto occorre chiedersi a chi spetti di
“colmare la lacuna” (il bilancio “non firmato”) in una Repubblica parlamentare
come quella italiana
Non c’è dubbio che più che gli artt. 81 e 97
della costituzione, vadano applicati gli artt. 1 (la sovranità appartiene al
popolo) e l’art. 67 (il Parlamento – anzi ogni membro di questo - è
rappresentante dalla Nazione); tuttavia anche il Presidente della Repubblica
rappresenta “l’unità nazionale” (art. 87) ed ha quindi carattere di organo
rappresentativo.
A risolvere il problema di chi debba prevalere
nel caso della “lacuna” costituzionale soccorre (a tacer d’altro) il carattere parlamentare della Repubblica e la
teoria di Hauriou del Pouvoir déliberant.
Scriveva il giurista francese che il potere déliberant
di una tipica (la prima – sosteneva – al mondo) repubblica parlamentare come la III Repubblica
francese era quello del parlamento, non essendo limitato alle funzioni
legislative, ma colmo di ben più importanti funzioni politiche (la fiducia al
governo, l’approvazione del bilancio, la ratifica dei trattati, la
deliberazione sullo stato di guerra e così via), il quale aveva così anche il
potere di allargare o stringere i condoni della borsa. Tradotto ai tempi nostri
(e tenuto conto che il giurista francese riteneva comunque principale potere
quello governativo-esecutivo), la “centralità” del parlamento comporta che in
caso di contrasto o di “lacuna” sia questo a colmarla.
D’altra parte, in una Repubblica parlamentare il
governo, ossia il potere che ha in mano l’organizzazione dello Stato, dipende
dalla fiducia del parlamento; mentre nella monarchia costituzionale dipende da
quella del Re.
Difficilmente l’esperienza e la prudenza del
Presidente lo porranno in una situazione di “conflitto costituzionale” con
l’effetto politico di alimentare la straripante ondata populista; tuttavia è
bene ricordare che oltre all’articolo tale e comma tal altro, le costituzioni –
e i rapporti costituzionali – sono fatte per rendere possibile l’esistenza e l’azione
della comunità, e non per impedirle.
Teodoro Klitsche de la Grange