giovedì 22 novembre 2018

L’UE boccia la manovra giallo-verde
La frittata è fatta
di Carlo Gambescia






Nessuno fece nulla per fermare Mussolini nel 1940. Gli storici osservano che alcuni industriali e generali  segnalarono al  Duce l' impreparazione italiana.  Ma Mussolini, fu irremovibile. E finì, come tutti sappiamo.   Franco invece fu più prudente, si guardò bene, nonostante le fortissime pressioni di Hitler, dall'intervenire. E così  rimase al potere per altri quarant’anni.
Per carità,  nessun elogio della dittatura spagnola. Magari della prudenza politica, sì.  Virtù, di cui Mussolini era privo ( manchevolezza deleteria in  un dittatore),  come, purtroppo  lo sono Salvini e Di Maio,  leader repubblicani,   ai quali  però  piacerebbe molto disporre di  maggiore  potere.  E non è detto, se continuerà così, che non vi riescano. Le crisi politico-economiche, spingono all’accentramento del potere, facilitando la riduzione della libertà in nome dell’interesse superiore, come ad esempio quello di vincere  una guerra.  
E da oggi, dopo la bocciatura UE,  fortemente voluta da chi ci governa,  siamo ufficialmente in guerra, guerra economica, con  Bruxelles.  E nessuno ha fatto nulla per fermare Salvini e Di Maio, quando ancora si poteva  fare qualcosa.  In giugno. A cominciare dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. 
Oggi, pubblico un editoriale dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange, uomo colto e intelligente, dove però ci si arrampica sugli specchi, pur di giustificare,  non tanto la sovranità del Parlamento in sé,  quanto quella del Governo giallo-verde.  Si cita a sproposito  Bismarck,  che si muoveva in un regime che non era parlamentare, per giustificare,  via parlamento,  la  continuità  delle funzioni dello stato, rappresentata però -  quando si dice il caso -   dall’attuale e sconsiderata maggioranza di governo, ricorrendo, perché torna argomentativamente utile, a una interpretazione, ripetiamo,  parlamentarista  (che sussiste, per carità,  ma tra le altre… ) della Costituzione e del ruolo del Presidente della Repubblica. Addirittura sconfinando  nel recupero, via  Hauriou (che pure ne fu critico), del disastroso parlamentarismo della Terza Repubblica francese.  E tutto questo, per giustificare una continuità di potere dello stato, presentata come legge  metapolitica, ma  imposta da una guerra economica, che metapolitica non è,  volontariamente scatenata dagli stessi Salvini e Di Maio  a disposizione dei quali ora  si vuole mettere una teoria costituzionale pronta all’uso. Ma certamente, Dura lex, sed lex, solo  se al potere ci sono  "i Nostri", o presuntivamente ritenuti tali.  
Purtroppo, continuo  a non capire,  anche perché sarà il primo  a pagare le conseguenze economiche della guerra scatenata da Salvini e Di Maio,  l’ atteggiamento filopopulista di certo notabilato liberale, colto, intelligente, dotato di mezzi non solo intellettuali.
Comunque sia, la frittata è  fatta. L’Italia è in guerra. Economica. Per ora.
 Carlo Gambescia         
                

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Bismarck e Mattarella

di Teodoro  Klitsche de la Grange



Tra le tante novità che si leggono (e vedono) in questa fase di transizione, e probabilmente di “dualismo di poteri”, da qualche settimana si attribuisce a Mattarella l’intenzione - ed il potere – di non firmare la legge di bilancio. La possibilità è stata ripetutamente avanzata; si è letto (sulla rete) che “il cerino sarà sempre nelle mani del presidente Mattarella, alla fine. Sarà lui, infatti, che deciderà con la sua firma se la Legge di bilancio del governo gialloverde sarà legge dello Stato o meno. E, a dispetto di quanto si pensi, non è una scelta scontata, né un mero atto formale”. Qualche costituzionalista è intervenuto, ricordando all’uopo gli artt. 81 e 97 della Costituzione, nonché gli immancabili vincoli europei e qualche opinione di uffici. La soluzione appare dubbia.
Piuttosto che lottare – normativisticamente - fino all’ultimo cavillo, a mio sommesso avviso occorre prendere esempio da chi giurista (di professione) non era, ma statista - ed ai massimi livelli -  sicuramente si, come Otto von Bismarck.
Questi, chiamato a risolvere il conflitto costituzionale prussiano, ed (anche) all’uopo nominato cancelliere dal Re di Prussia, dette una propria interpretazione del rapporto tra organi costituzionali relativamente al bilancio dello Stato. In un discorso al Landtag affermò “su ciò che sia giusto quando nessun bilancio viene approvato, sono state messe insieme teorie sul cui giudizio non voglio qui impegolarmi”, ma data la diversità delle opinioni giuridiche, la soluzione data dal “cancelliere di ferro” era altra: “basta per me la necessità che lo Stato esista e che neanche nelle più pessimistiche visioni si lasci accadere ciò che succederebbe se la cassa chiudesse. Solo la necessità è determinante; di questa necessità abbiamo tenuto conto e Loro stessi non chiedono che noi avremmo dovuto sospendere il pagamento degli interessi e degli stipendi ai funzionari” (si rivolgeva all’opposizione liberale). Tale teoria fu chiamata “teoria del gap”: quando c’è uma “lacuna” costituzionale non si può abolire lo Stato (salus reipublicae suprema lex) rendendone impossibile l’esercizio delle funzioni; onde (nella monarchia costituzionale prussiana) spettava al Re – e al suo governo – continuare a garantire il funzionamento (cioè l’esistenza) dell’istituzione statale, anche senza bilancio approvato.
Una tale situazione era in linea con quanto avrebbe sostenuto, decenni dopo, Santi Romano (e non solo).
Piuttosto occorre chiedersi a chi spetti di “colmare la lacuna” (il bilancio “non firmato”) in una Repubblica parlamentare come quella italiana
Non c’è dubbio che più che gli artt. 81 e 97 della costituzione, vadano applicati gli artt. 1 (la sovranità appartiene al popolo) e l’art. 67 (il Parlamento – anzi ogni membro di questo - è rappresentante dalla Nazione); tuttavia anche il Presidente della Repubblica rappresenta “l’unità nazionale” (art. 87) ed ha quindi carattere di organo rappresentativo.
A risolvere il problema di chi debba prevalere nel caso della “lacuna” costituzionale soccorre (a tacer d’altro) il carattere parlamentare della Repubblica e la teoria di Hauriou del Pouvoir déliberant. Scriveva il giurista francese che il potere déliberant di una tipica (la prima – sosteneva – al mondo) repubblica parlamentare come la III Repubblica francese era quello del parlamento, non essendo limitato alle funzioni legislative, ma colmo di ben più importanti funzioni politiche (la fiducia al governo, l’approvazione del bilancio, la ratifica dei trattati, la deliberazione sullo stato di guerra e così via), il quale aveva così anche il potere di allargare o stringere i condoni della borsa. Tradotto ai tempi nostri (e tenuto conto che il giurista francese riteneva comunque principale potere quello governativo-esecutivo), la “centralità” del parlamento comporta che in caso di contrasto o di “lacuna” sia questo a colmarla.
D’altra parte, in una Repubblica parlamentare il governo, ossia il potere che ha in mano l’organizzazione dello Stato, dipende dalla fiducia del parlamento; mentre nella monarchia costituzionale dipende da quella del Re.
Difficilmente l’esperienza e la prudenza del Presidente lo porranno in una situazione di “conflitto costituzionale” con l’effetto politico di alimentare la straripante ondata populista; tuttavia è bene ricordare che oltre all’articolo tale e comma tal altro, le costituzioni – e i rapporti costituzionali – sono fatte per rendere possibile l’esistenza e l’azione della comunità, e non per impedirle. 

Teodoro Klitsche de la Grange