martedì 27 novembre 2018

Bernardo Bertolucci e le grandi illusioni del Novecento
Erotomane e comunista, ma non fesso



Perché il cinema  italiano  non ha mai dedicato un film biografico   a Cavour  o  Giolitti?  I pochi film sul Risorgimento o sono incolori o egemonizzati dalla versione cinematografica delle tesi di Gramsci.  Su Cavour esistono un paio di sceneggiati televisivi, ben interpretati, ma fondati più sul dramatis personae, che sull’effettivo, e determinante, ruolo storico cavouriano.  
Quanto a  Giolitti, odiato dai fascisti e in chiave postuma da comunisti e democristiani, di pellicole, neppure a parlarne. Forse se ne occuperanno nel XXIII secolo.  
Per fare un esempio, sempre a proposito di Cavour,  nessun regista -  e soprattutto  sceneggiatore -  si è cimentato con  i quattro ricchissimi  tomi che un grandissimo storico, come Rosario Romeo,  dedicò a Cavour… Neppure negli anni del “liberale”  Berlusconi, quando i soldi giravano.
Invece,  il colpo di grazia al Risorgimento  lo  inferse  nel 2010  Mario Martone,  rimasto fermo alla vulgata gramsciana   di una necessaria rivoluzione secondo il modello giacobino.  Per inciso, storiograficamente,  smontata,  già negli anni Cinquanta del secolo scorso, sempre da Rosario Romeo.
Dicevamo perché?  Per la stessa ragione per la quale  oggi si celebra,   anche da morto,  un comunista erotomane come Bernardo Bertolucci: egemonia culturale del marxismo e di certo progressismo laico filocomunista,  complice una mediocre e pavida borghesia, prona a Mussolini come a Togliatti e Berlinguer. E che comunque, se e quando  c'era da prendere  (tipo aiuti di stato), servile, nei piani meni nobili, anche verso la Democrazia Cristiana.  Una borghesia, in particolare quella con pretese intellettuali, tuttora schiava della coazione a ripetere, anche con i populisti al potere.  Un pensiero è dominante, o ancora dominante, quando non è necessario che qualcuno  dia  gli  ordini. Va da solo, in automatico.  E non servono le ruspe. Occorrono invece dosi massicce di culturale liberale.  Ma questa è un'altra storia.
Novecento, film incensatissimo, resta  forse la pellicola più faziosa in assoluto sulla storia d’Italia.  Bertolucci,  attingendo al realismo cinematografico sovietico e cinese  (e al porno, neppure tanto soft,  come ad esempio il threesome Casini-De Niro-Depardieu),  chiuse il film in un tripudio di bandiere rosse e di processi  ai padroni: anno di grazia 1976.  Nel maggio il film venne presentato a Cannes.  In giugno,  le Brigate Rosse uccisero il magistrato Francesco Coco, reo di non  essere comunista, e  gli  agenti di scorta:  nessuno sapeva, e mai seppe per chi votavano.  Due anni dopo sarebbe toccata a Moro e in seguito a tanti altri.  Nessun legame diretto, per carità.  Ma quello era il clima politico dei tragici Anni di Piombo. Non esistono altre "narrazioni".  
E lui, il regista  rosso ed  erotomane, che faceva?  Incensava il modello del comunismo double-face  russo e cinese. Come? Lanciando palle di  merda (pardon) su una borghesia cinefila  che invece di tornare a Cavour e Giolitti, vezzeggiava un  intellettuale, compagno di strada, di un comunismo, dentro e fuori il Pci, che liquidava come fascista il terrorismo brigatista.  
A proposito dell’erotomania di Bertolucci, che in pratica attraversa tutta la sua opera,  va detto che solo lo stupido virtuismo democristiano poteva consentire al regista  di trasformarsi in santo laico. Permettendo a  un film mediocre senza capo  né coda, come L’ultimo tango a Parigi, di trasformarsi, dopo il sequestro e addirittura la distruzione della pellicola ordinata dalla Cassazione,   in capolavoro e campione di incassi. Per dirla, parafrasando il titolo di uno dei film meno inguardabili di  Bertolucci: una tragedia da uomini ridicoli.
Pareto, liberale non per caso, scrisse un magnifico pamphlet  sul virtuismo, ripubblicato di recente da Liberilibri (*), dove si metteva alla berlina l’ossessione, al contrario,   per il sesso dei bacchettoni  cristiani e cattolici.  Un testo, ancora oggi godibilissimo. Dove però si scrive  che il residuo sessuale   - chi conosce la terminologia paretiana, sa, chi non la conosce si compri il libro -  agisce a doppio senso:   del virtuismo e dell’erotomania.  Due fenomeni sociali uguali e contrari.  Che non giovano  - ambedue - al sano vivere sociale, di cui il sesso, anche nei suoi sviluppi erotici (perché no?), è una una componente, non la componente.
Purtroppo,  il Novecento, come scrisse un grande storico francese, François Furet, è il secolo della grande illusione comunista. Che però, nonostante il tremendo capitombolo storico, stenta a morire. Ma il Novecento,  con Freud che pure scrisse cose interessanti (come del resto Marx), è anche il secolo di un'altra grande illusione:  quella dell’ eros di massa.
L’opera cinematografica di Bertolucci, rispecchia queste due grandi illusioni collettive.  Inoltre,  senza scendere in pettegolezzi, nonostante le palle di merda (aripardon), Bertolucci era borghese fino al midollo, ma "all'italiana": secondo il Morandini, Novecento  fu un  “film sulla lotta di classe antipadronale finanziato con dollari americani” (**).  Ma il discorso  varrebbe anche per  altri  film di Bertolucci,  i più sfarzosi e inutili.
Comunista, erotomane e antiborghese. Ma con i soldi della borghesia. Di sicuro, non era un fesso.

Carlo Gambescia

(**)   Novecento, in  Il Morandini. Dizionario del film 1999, Zanichelli, Bologna 20013, p. 887.   
         

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