domenica 4 novembre 2018

Come  Enrico Mentana  vede la politica italiana
 Vero e  falso realismo



Sulla sua pagina Facebook  Enrico Mentana ha commentato così la situazione politica.

Il sondaggio mensile di Pagnoncelli per il Corriere ci conferma in modo eclatante alcune tendenze.1 C'è un asso pigliatutto, e si chiama Matteo Salvini. È il traino unico dello stupefacente raddoppio (virtuale) in soli otto mesi dei voti alla Lega, che già il 4 marzo aveva più che quadruplicato rispetto al 4% delle elezioni 2013. È l'interprete perfetto, per argomenti e modalità mediatiche, di pulsioni e esigenze che si sono fatte strada tra gli elettori. A ognuno di noi può piacere o al contrario inquietare, ma in sede di analisi questo è un dato di fatto.2 Tutto l'arco della sinistra ha perso il bandolo della matassa. Abituato a vivere al di sopra delle sue possibilità elettorali (cinque anni di governo, due presidenti della Repubblica eletti nella stessa legislatura, i principali ruoli rappresentativi tra organismi istituzionali, autorità di garanzia, imprese di interesse pubblico, guida delle Camere e delle principali commissioni parlamentari, il tutto grazie al 25% ottenuto nel voto 2013) il Pd non riesce a superare i postumi del kappaò di marzo, nè se ne avvantaggiano gli scissionisti di LeU, anzi. La netta impressione è che quei partiti non abbiano in sé gli strumenti e le energie per una severa autoanalisi e il necessario radicale cambiamento. Come se il cambio di stagione politica li avesse messi irrimediabilmente fuori corso. Anche qui, può piacere o far disperare, ma un centro-sinistra sotto il 20% e incapace di contrastare l'inerzia dei suffragi rischia di essere fuori gioco. 3 Il Movimento Cinque Stelle   perde virtualmente quattro punti rispetto a marzo. È vero che punta a riscuotere il dividendo politico-elettorale che dovrebbe derivargli dall'introduzione del reddito di cittadinanza, ma è ancor più vero che soffre visibilmente la leadership di immagine di Salvini, ben più forte di quella di Di Maio. Il m5s ha un nocciolo duro di elettori più alto di tutte le altre forze politiche, ma l'erosione nel voto di opinione, se si confermasse a maggio, potrebbe aprire dei problemi. Ma resta il dato di fondo: non esisteva elettoralmente prima del 2013, ha esordito con il 25% e al secondo colpo ha preso il 33%. E la sua percentuale nel sondaggio, sommata a quella dell'alleato di governo, fa un totale di oltre il 63%, con pochi riscontri a livello internazionale. 4 La crisi di Forza Italia appare irreversibile. Essendo un partito da tempo strutturato sul territorio, e nelle giunte di alcune regioni tra le più importanti, mantiene comunque una fetta di elettorato in un centro-destra che però è ormai egemonizzato dalla Lega. Con un fondatore e leader ultraottantenne e un delfino che è   il presidente del Parlamento Europeo, non precisamente un'istituzione popolarissima in questa fase, si trova nello scomodo ruolo di sleeping partner in un'alleanza che credeva di dominare per sempre. Diverso il discorso per Fratelli d'Italia, altrettanto marginale ma almeno già dall'inizio in sintonia con le nuove linee forti della destra. La sua collocazione all'opposizione (non scelta) può giovare al partito della Meloni dal punto di vista tattico. Ma è difficile pensare a un futuro fuori dal recinto salviniano.


A una prima lettura,  l’articolo sembra  lucido, improntato al più efficace realismo politico.  In realtà, si tratta di un puro esercizio di adattamento alla realtà, dandola per irreversibile.  Ma come scoprirlo? Serve  un esperimento per capire il vero significato di un’analisi solo in apparenza brillante.  Come procedere allora?  Collochiamo l'analisi di Mentana  in una  prospettiva storica,  cambiando i nomi dei protagonisti citati, per poi salire  su  una ipotetica macchina del tempo, capace di condurci, senza però cambiare le date, allo "spirito" degli eventi del 1918-1926.         

Il sondaggio mensile di Pagnoncelli per il Corriere ci conferma in modo eclatante alcune tendenze.1 C'è un asso pigliatutto, e si chiama  Benito Mussolini. È il traino unico dello stupefacente raddoppio (virtuale) in soli otto mesi dei voti alla Partito Fascista, che già il 4 marzo aveva più che quadruplicato rispetto al 4% delle elezioni 2013. È l'interprete perfetto, per argomenti e modalità mediatiche, di pulsioni e esigenze che si sono fatte strada tra gli elettori. A ognuno di noi può piacere o al contrario inquietare, ma in sede di analisi questo è un dato di fatto.2 Tutto l'arco del socialismo, da  Turati a Lazzari,  dai riformisti ai massimalisti  ha perso il bandolo della matassa. Abituato a vivere al di sopra delle sue possibilità elettorali (cinque anni di governo, due presidenti della Repubblica eletti nella stessa legislatura, i principali ruoli rappresentativi tra organismi istituzionali, autorità di garanzia, imprese di interesse pubblico, guida delle Camere e delle principali commissioni parlamentari, il tutto grazie al 25% ottenuto nel voto 2013) il partito  socialista  non riesce a superare i postumi del kappaò di marzo, né se ne avvantaggiano i massimalisti,  anzi. La netta impressione è che quei partiti non abbiano in sé gli strumenti e le energie per una severa autoanalisi e il necessario radicale cambiamento. Come se il cambio di stagione politica li avesse messi irrimediabilmente fuori corso. Anche qui, può piacere o far disperare, ma un partito socialista  sotto il 20% e incapace di contrastare l'inerzia dei suffragi rischia di essere fuori gioco..  3 Il  Partito Comunista, di osservanza leninista,   perde virtualmente quattro punti rispetto a marzo. È vero che punta a riscuotere il dividendo politico-elettorale che dovrebbe derivargli dall'introduzione del reddito di cittadinanza, ma è ancor più vero che soffre visibilmente la leadership di immagine di Mussolini,  ben più forte di quelle di  Togliatti, Gramsci e Bordiga,  ha un nocciolo duro di elettori più alto di tutte le altre forze politiche, ma l'erosione nel voto di opinione, se si confermasse a maggio, potrebbe aprire dei problemi. Ma resta il dato di fondo: non esisteva elettoralmente prima del 2013, ha esordito con il 25% e al secondo colpo ha preso il 33%. E la sua percentuale nel sondaggio, sommata a quella dell'alleato di governo, rossobruno,   fa un totale di oltre il 63%, con pochi riscontri a livello internazionale. 4 La crisi del Partito Liberale,  appare irreversibile.  Essendo un partito da tempo strutturato sul territorio, e nelle giunte di alcune regioni tra le più importanti, mantiene comunque una fetta di elettorato in un centro-destra che però è ormai egemonizzato dal partito fascista . Con un fondatore e leader ultraottantenne, Giovanni Giolitti  e un delfino Luigi  Facta  che è il presidente del Parlamento Europeo, non precisamente un'istituzione popolarissima in questa fase, si trova nello scomodo ruolo di sleeping partner in un'alleanza che credeva di dominare per sempre. Diverso il discorso per  i seguaci di Farinacci   altrettanto marginale ma almeno già dall'inizio in sintonia con le nuove linee forti della destra. La sua collocazione all'opposizione (non scelta) può giovare al partito della “seconda ondata” di Farinacci,  dal punto di vista tattico. Ma è difficile pensare a un futuro fuori dal recinto fascista.

Altro che realismo politico.  Di fatto, Mentana  fa l’apologia di Mussolini… E del successo politico. Di chi vince, insomma,  E  l’unica vera  indicazione  che traspare dalla sua analisi, diciamo in chiave indiretta, se non addirittura subliminale,  è di correre a iscriversi al Partito Fascista o al Partito Comunista. Tradotto: Lega o Cinque Stelle. Certo,  il filo tra apologia e descrizione della realtà è sempre sottile. Però si può trovare il bandolo della matassa, e capire se siamo davanti a un realismo vero o falso. 
Se, ad esempio, Churchill  (un vero  realista politico),   avesse ragionato come Enrico Mentana,  (un falso realista politico), avrebbe dovuto  arrendersi a Hitler,  perché, come  scrive il direttore del Tg7, “ a ognuno di noi può piacere o al contrario inquietare, ma in sede di analisi questo è un dato di fatto”…   
Churchill, nonostante il "dato di fatto" della forza preponderante di Hitler,  non si arrese, e vinse.  Da vero realista, capì  che  arrendersi a Hitler avrebbe provocato  un disastro peggiore del  tentativo di combatterlo.  Nel primo caso,  non ci sarebbero  state più  speranze, nel secondo, anche se flebili, sì. Churchill non usò i “dati di fatto” per  suggerire di arrendersi, ma li utilizzò  come uno  squillo di tromba per condurre le sue truppe all'assalto.  Il che indica la differenza  tra il vero  realismo di Churchill  e quello falso  di Enrico Mentana.
Si dirà,  che  Churchill era  uno  statista,  Mentana un giornalista.  Ora,  a parte che anche Churchill esercitò la “nobile arte” dello scrivere sui giornali (ne fondò e diresse uno), il vero punto della questione  è  dato dal rapporto dell' "analista" con il concetto di irreversibilità politica.   Mentana si piega agli eventi, giudicandoli irreversibili,  Churchill no. Insomma,  essere realisti politici  non significa subire gli eventi, bensì, se necessario contrastarli. Probabilmente, dietro  ogni giudizio di realtà si  celano altri fattori, tra i quali la valutazione della prospettiva storica e della natura dell'avversario politico, che qui ci limitiamo a segnalare.   Ovviamente, sotto questo aspetto,  ci si può obiettare che Salvini non è Mussolini, eccetera, eccetera, e che quindi la comparazione non ha alcun senso. In  realtà, quel che abbiamo cercato di provare, attraverso un esempio storico, che può anche essere discusso,  è il rapporto - questo sì necessario -  tra realismo politico e concetto di irreversibilità, approccio, come qui speriamo di aver provato, che ci permette di distinguere, ripetiamo, tra  realismo vero e realismo falso.     
Infine, dobbiamo indicare  una differenza di fondo, che va onestamente riconosciuta:  Churchill  era britannico, Mentana, italiano…  E qui  usciamo  dal  campo   del realismo e della storia,  per entrare in  quello dell'antropologia politica. Vasto programma, direbbe qualcuno.        
Carlo Gambescia