Come Enrico Mentana vede la politica italiana
Vero e falso
realismo
Sulla sua pagina Facebook Enrico Mentana ha commentato così la
situazione politica.
Il sondaggio mensile di Pagnoncelli per il Corriere ci
conferma in modo eclatante alcune tendenze.1 C'è un asso pigliatutto, e si
chiama Matteo Salvini. È il traino unico dello stupefacente
raddoppio (virtuale) in soli otto mesi dei voti alla Lega, che già il 4 marzo
aveva più che quadruplicato rispetto al 4% delle elezioni 2013. È l'interprete
perfetto, per argomenti e modalità mediatiche, di pulsioni e esigenze che si
sono fatte strada tra gli elettori. A ognuno di noi può piacere o al contrario
inquietare, ma in sede di analisi questo è un dato di fatto.2 Tutto l'arco della sinistra ha perso il bandolo della matassa.
Abituato a vivere al di sopra delle sue possibilità elettorali (cinque anni di
governo, due presidenti della Repubblica eletti nella stessa legislatura, i
principali ruoli rappresentativi tra organismi istituzionali, autorità di
garanzia, imprese di interesse pubblico, guida delle Camere e delle principali
commissioni parlamentari, il tutto grazie al 25% ottenuto nel voto 2013) il Pd
non riesce a superare i postumi del kappaò di marzo, nè se ne avvantaggiano gli
scissionisti di LeU, anzi. La netta impressione è che quei partiti non abbiano
in sé gli strumenti e le energie per una severa autoanalisi e il necessario
radicale cambiamento. Come se il cambio di stagione politica li avesse messi
irrimediabilmente fuori corso. Anche qui, può piacere o far disperare, ma un
centro-sinistra sotto il 20% e incapace di contrastare l'inerzia dei suffragi
rischia di essere fuori gioco. 3 Il Movimento Cinque Stelle perde
virtualmente quattro punti rispetto a marzo. È vero che punta a
riscuotere il dividendo politico-elettorale che dovrebbe derivargli
dall'introduzione del reddito di cittadinanza, ma è ancor più vero che soffre
visibilmente la leadership di immagine di Salvini, ben più forte di quella di
Di Maio. Il m5s ha un nocciolo duro di elettori più alto di tutte le altre
forze politiche, ma l'erosione nel voto di opinione, se si confermasse a
maggio, potrebbe aprire dei problemi. Ma resta il dato di fondo: non esisteva
elettoralmente prima del 2013,
ha esordito con il 25% e al secondo colpo ha preso il
33%. E la sua percentuale nel sondaggio, sommata a quella dell'alleato di
governo, fa un totale di oltre il 63%, con pochi riscontri a livello
internazionale. 4 La crisi di Forza Italia appare
irreversibile. Essendo un partito da tempo strutturato sul
territorio, e nelle giunte di alcune regioni tra le più importanti, mantiene
comunque una fetta di elettorato in un centro-destra che però è ormai
egemonizzato dalla Lega. Con un fondatore e leader ultraottantenne e un delfino
che è il presidente del Parlamento Europeo, non
precisamente un'istituzione popolarissima in questa fase, si trova nello
scomodo ruolo di sleeping partner in un'alleanza che credeva di dominare per
sempre. Diverso il discorso per Fratelli d'Italia, altrettanto marginale ma
almeno già dall'inizio in sintonia con le nuove linee forti della destra. La
sua collocazione all'opposizione (non scelta) può giovare al partito della
Meloni dal punto di vista tattico. Ma è difficile pensare a un futuro fuori dal
recinto salviniano.
( 3
novembre 2018 - https://www.facebook.com/enricomentanaLa7/posts/10156121395327545?__tn__=K-R https://notizie.tiscali.it/politica/articoli/pd-no-resuscita-fi-morta-analisi-mentana/ )
A una prima lettura, l’articolo sembra lucido, improntato al più efficace realismo politico. In realtà, si tratta di un puro esercizio di adattamento alla realtà, dandola per irreversibile. Ma come scoprirlo? Serve un esperimento per capire il vero significato di un’analisi solo in
apparenza brillante. Come procedere allora? Collochiamo l'analisi di Mentana in una prospettiva storica, cambiando i
nomi dei protagonisti citati, per poi salire su una
ipotetica macchina del tempo, capace di condurci, senza però cambiare le date, allo "spirito" degli eventi del 1918-1926.
Il sondaggio mensile di Pagnoncelli per il Corriere ci
conferma in modo eclatante alcune tendenze.1 C'è un asso pigliatutto, e si
chiama Benito Mussolini. È il traino unico dello stupefacente raddoppio
(virtuale) in soli otto mesi dei voti alla Partito Fascista, che già il 4 marzo
aveva più che quadruplicato rispetto al 4% delle elezioni 2013. È l'interprete
perfetto, per argomenti e modalità mediatiche, di pulsioni e esigenze che si
sono fatte strada tra gli elettori. A ognuno di noi può piacere o al contrario
inquietare, ma in sede di analisi questo è un dato di fatto.2 Tutto l'arco del socialismo, da Turati a Lazzari, dai riformisti ai massimalisti ha perso il bandolo della matassa.
Abituato a vivere al di sopra delle sue possibilità elettorali (cinque anni di
governo, due presidenti della Repubblica eletti nella stessa legislatura, i
principali ruoli rappresentativi tra organismi istituzionali, autorità di
garanzia, imprese di interesse pubblico, guida delle Camere e delle principali
commissioni parlamentari, il tutto grazie al 25% ottenuto nel voto 2013) il
partito socialista non riesce a superare i postumi del kappaò di
marzo, né se ne avvantaggiano i massimalisti, anzi. La netta impressione è che quei partiti
non abbiano in sé gli strumenti e le energie per una severa autoanalisi e il necessario
radicale cambiamento. Come se il cambio di stagione politica li avesse messi
irrimediabilmente fuori corso. Anche qui, può piacere o far disperare, ma un partito socialista sotto il 20% e incapace di contrastare l'inerzia dei suffragi
rischia di essere fuori gioco.. 3 Il Partito Comunista, di osservanza
leninista, perde virtualmente quattro punti rispetto a
marzo. È vero che punta a riscuotere il dividendo
politico-elettorale che dovrebbe derivargli dall'introduzione del reddito di
cittadinanza, ma è ancor più vero che soffre visibilmente la leadership di
immagine di Mussolini, ben più forte di
quelle di Togliatti, Gramsci e Bordiga, ha un nocciolo duro di elettori più alto di
tutte le altre forze politiche, ma l'erosione nel voto di opinione, se si
confermasse a maggio, potrebbe aprire dei problemi. Ma resta il dato di fondo:
non esisteva elettoralmente prima del 2013, ha esordito con il 25% e al secondo colpo
ha preso il 33%. E la sua percentuale nel sondaggio, sommata a quella
dell'alleato di governo, rossobruno, fa un totale di oltre il 63%, con pochi
riscontri a livello internazionale. 4 La crisi del Partito Liberale, appare irreversibile. Essendo un partito da tempo strutturato sul
territorio, e nelle giunte di alcune regioni tra le più importanti, mantiene
comunque una fetta di elettorato in un centro-destra che però è ormai
egemonizzato dal partito fascista . Con un fondatore e leader ultraottantenne,
Giovanni Giolitti e un delfino Luigi Facta che è il presidente del Parlamento Europeo,
non precisamente un'istituzione popolarissima in questa fase, si trova nello
scomodo ruolo di sleeping partner in un'alleanza che credeva di dominare per
sempre. Diverso il discorso per i seguaci
di Farinacci altrettanto marginale ma almeno già
dall'inizio in sintonia con le nuove linee forti della destra. La sua
collocazione all'opposizione (non scelta) può giovare al partito della “seconda
ondata” di Farinacci, dal punto di vista
tattico. Ma è difficile pensare a un futuro fuori dal recinto fascista.
Altro che realismo politico. Di fatto, Mentana fa l’apologia di Mussolini… E del successo
politico. Di chi vince, insomma, E l’unica vera indicazione che
traspare dalla sua analisi, diciamo in chiave indiretta, se non addirittura subliminale, è di correre a iscriversi al Partito Fascista
o al Partito Comunista. Tradotto: Lega o Cinque Stelle. Certo, il filo tra apologia e descrizione della realtà è sempre sottile. Però si può trovare il bandolo della matassa, e capire se siamo davanti a un realismo vero o falso.
Se, ad esempio, Churchill (un vero realista politico), avesse ragionato come Enrico Mentana, (un falso realista politico), avrebbe dovuto arrendersi a Hitler, perché, come scrive il direttore del Tg7, “ a ognuno di noi
può piacere o al contrario inquietare, ma in sede di analisi questo è un dato
di fatto”…
Churchill, nonostante il "dato di fatto" della forza
preponderante di Hitler, non si arrese, e vinse. Da vero realista, capì che
arrendersi a Hitler avrebbe provocato un disastro peggiore del tentativo di combatterlo. Nel primo caso, non ci sarebbero state più speranze, nel secondo, anche se flebili, sì. Churchill
non usò i “dati di fatto” per suggerire
di arrendersi, ma li utilizzò come uno squillo di
tromba per condurre le sue truppe all'assalto. Il che indica la
differenza tra il vero realismo di
Churchill e quello falso di Enrico Mentana.
Si dirà, che Churchill era uno statista, Mentana un giornalista. Ora, a
parte che anche Churchill esercitò la “nobile arte” dello scrivere sui giornali (ne fondò e diresse uno), il vero punto della questione è dato dal rapporto dell' "analista" con il concetto di irreversibilità politica. Mentana si piega agli eventi, giudicandoli irreversibili, Churchill no. Insomma, essere
realisti politici non significa subire gli eventi, bensì, se necessario contrastarli. Probabilmente, dietro ogni giudizio di realtà si celano altri fattori, tra i quali la valutazione della prospettiva storica e della natura dell'avversario politico, che qui ci limitiamo a segnalare. Ovviamente, sotto questo aspetto, ci si può obiettare che Salvini non è Mussolini, eccetera, eccetera, e che quindi la comparazione non ha alcun senso. In realtà, quel che abbiamo cercato di provare, attraverso un esempio storico, che può anche essere discusso, è il rapporto - questo sì necessario - tra realismo politico e concetto di irreversibilità, approccio, come qui speriamo di aver provato, che ci permette di distinguere, ripetiamo, tra realismo vero e realismo falso.
Infine, dobbiamo indicare una differenza di fondo, che va onestamente
riconosciuta: Churchill era britannico, Mentana, italiano… E qui usciamo dal campo del realismo e della storia, per entrare in quello dell'antropologia politica. Vasto programma, direbbe qualcuno.
Carlo Gambescia