lunedì 19 novembre 2018

Modesta proposta per prevenire il populismo
Voto  censitario, 
culturalmente censitario…



Il Ministero dell' Istruzione vuole introdurre l’Educazione civica agli orali della Maturità, magari si troverà un nome fantasioso in linea con i tempi.  Non crediamo sia misura  utile:  potrebbe servire, per dirla fuori dai denti, solo per far crescere le aspettative assistenzialiste, racchiuse nella Costituzione italiana di stampo socialista, da parte di  un elettore  preda della crassa ignoranza e prigioniero di un cieco, stupido e ignorante individualismo assistito.
Del resto, i disastrosi risultati politici ed elettorali sono sotto gli occhi di tutti. E quel che è peggio, sembra non bastare.  A cosa? A capire che il populismo, di destra e sinistra, non è che la continuazione dell’analfabetismo  storico ed economico con altri mezzi. Elettorali.   
A tale proposito, prendiamo spunto per presentare una nostra modesta proposta per contrastare o prevenire il populismo. Quale? Quella di una democrazia politica  ricostruita  sul censo culturale.  Certo  il termine  democrazia censitaria  può suonare male, soprattutto da quando è  tornata   di moda la democrazia diretta.
Ma, in effetti, di cosa parliamo precisamente?  Di  introdurre test di alfabetizzazione storica ed economica,  a difficoltà crescente,  per votare e  per essere eletti.   Per dirla tecnicamente:   per determinare l’accesso all'elettorato attivo e passivo.  Attenzione però,  il censo culturale non dipenderebbe dal titolo di studio conseguito,  ma da un livello di preparazione che può  conseguire qualsiasi autodidatta di  buona intelligenza e volontà di apprendere. La formulazione dei test  sarebbe compito del Ministero dell'Istruzione,  coadiuvato da una commissione di specialisti.    
Ovviamente,  l’introduzione dei test  implica il rovesciamento del concetto di voto obbligatorio, o comunque come "dovere civico" (Art. 48 della Costituzione).  Nel senso  che, con la nostra proposta, assurge a  valore  di diritto, e di libertà,  anche quello di non andare a votare. Diciamola  tutta: la partecipazione obbligatoria al voto rinvia a una visione coattiva del voto, che, in ultima istanza, confida  nella  quantità e non nella qualità del voto.  Quindi sarà  necessaria una modifica della Costituzione, la cui articolazione lasciamo agli esperti.
Il vero punto è che  la libertà  di  votare o meno (come di candidarsi o no)  rinvia  a  quella concezione liberale del voto,  che,  ad esempio,  distingue il  processo democratico  negli Stati Uniti.   Sicché, in Italia,  una volta introdotto  il voto censitario,  ripetiamo  culturalmente censitario,   per votare  ci si dovrà iscrivere in  apposite liste, comprensive del voto amministrativo e politico, e ogni tornata,  al momento della registrazione,  si dovrà ripetere il test -  attenzione -   che, a livello di prova, varrebbe per tutti:  dal semplice  elettore al futuro deputato e ministro. Per l’elettorato passivo il test  dovrà essere severissimo. Più si è in alto più sono elevate le responsabilità.
Con il  sistema del censo culturale,  i migliori, nel senso della capacità di apprendimento, e dunque della volontà di applicarsi e dell’educazione del carattere, nonché della preparazione e conoscenza, i migliori, dicevamo,  eleggerebbero i migliori:  si verrebbe così  a creare un circolo virtuoso fondato, uno, sulla conoscenza  della storia e dell’economia e due, sulla libera volontà individuale  di sapere chi siamo, da  dove veniamo e  dove andremo. Il censo culturale ci libererebbe, o comunque limiterebbe i danni di un approccio populista  alla politica  frutto velenoso  della presuntuosa ignoranza legata  alla perversa  logica quantitativa  della dittatura di una maggioranza di analfabeti politici. 
Non entriamo, per ora nel merito dei contenuti dei test.  Già comunque immaginiamo le battute degli sfaticati politici  sull' Invalsi elettorale...  Ce ne faremo una ragione.  Per il momento,  crediamo basti aver posto il problema.  Né intendiamo discutere  le prevedibili  critiche  di quei  partiti che  vivono, proprio  facendo leva  sulla  più  crassa ignoranza  storica ed economica dell'elettore.
Ci interessa il principio: quello del collegamento tra censo culturale, ripetiamo non  determinato dal conseguimento di un titolo di studio, ma da dalla "volontà di sapere".   Dote, o se si vuole, un fortissimo movente interiore,  che -  qui l’escamotage, lo ammettiamo -    è patrimonio di pochi.   Dei migliori.  L'esatta antitesi del conformismo di massa, dello spirito del gregge...
Del resto, realisticamente,  che valore può avere il voto di chi non conosca la storia d’Italia e di conseguenza il notevolissimo cammino politico-economico percorso?   O le grandi e positive trasformazioni avvenute?  Di chi non sappia, insomma, quanto sia cambiata, e in meglio,  l’Italia dal Risorgimento al 2018?   E che quindi, regolarmente, finisca per credere  nelle  più strampalate  trovate politiche?
Certo, il voto censitario, inutile negarlo, ha  un valore conservatore, diciamo però,  sanamente conservatore.  Del resto,  a fronte di quel che sta accadendo, solo una reazione conservatrice, nel senso dell'accanita difesa delle grandi  conquiste liberali  fin qui conseguite, potrebbe salvarci.
Il momento è difficile. Chi avrà il coraggio di rilanciare la nostra proposta?

Carlo Gambescia