I gilet gialli in piazza
I
giornali francesi (basta fare un giro) non spiegano molto , quelli italiani si limitano al copia incolla. Le ragioni delle manifestazioni, con qualche
incidente, che coinvolgono trecentomila persone, i gilet gialli, in tutta la Francia , sembrano essere
economiche: la provincia che protesta per un
caro carburanti che va incidere sui bilanci familiari, sui quali, in
assenza o carenza di buoni servizi pubblici di trasporto, pesa l’uso esteso dell’ automobile (*).
Ovviamente, le opposizioni politiche, di destra e
sinistra puntano a cavalcare la tigre, rincorrendo diverse piste ideologiche, che però trovano il trait d'union nella comune narrazione populista delle élite contro il popolo. Si lascia credere, ad esempio, che revocando gli sgravi fiscali “ai
ricchi”, favoriti da Macron, come si favoleggia, si possa garantire il welfare per tutti i francesi.
Vogliamo essere seri? Sì. Il più importante studioso dell’azione collettiva , il compianto Charles Tilly (nella foto), ritiene, alla luce di quattro secoli di storia francese dal 1598 al 1984, che il punto di separazione tra movimenti politici ed economici sia rappresentato dal senso che i movimenti collettivi attribuiscono al ruolo dello stato e del regime politico (**) . Perciò, in Francia, fino a tutto il secolo XIX (almeno i due terzi), l’obiettivo delle manifestazioni (in senso lato) fu l’instaurazione di un regime repubblicano (della repubblica aristocratica o democratica, semplifichiamo). Dopo di che la questione economica, come ripartizione-redistribuzione delle ricchezze ad opera dello stato repubblicano divenne centrale. Di qui, certo spontaneismo sociale. L’obiettivo delle manifestazioni, non era più il potere politico, ma il potere economico, fermo restando - politicamente parlando - il ruolo dello stato redistributore.
Vogliamo essere seri? Sì. Il più importante studioso dell’azione collettiva , il compianto Charles Tilly (nella foto), ritiene, alla luce di quattro secoli di storia francese dal 1598 al 1984, che il punto di separazione tra movimenti politici ed economici sia rappresentato dal senso che i movimenti collettivi attribuiscono al ruolo dello stato e del regime politico (**) . Perciò, in Francia, fino a tutto il secolo XIX (almeno i due terzi), l’obiettivo delle manifestazioni (in senso lato) fu l’instaurazione di un regime repubblicano (della repubblica aristocratica o democratica, semplifichiamo). Dopo di che la questione economica, come ripartizione-redistribuzione delle ricchezze ad opera dello stato repubblicano divenne centrale. Di qui, certo spontaneismo sociale. L’obiettivo delle manifestazioni, non era più il potere politico, ma il potere economico, fermo restando - politicamente parlando - il ruolo dello stato redistributore.
In
questo contesto, dove collocare le manifestazioni in corso? All’interno di un conflitto, per ora di natura spontanea, non politico ma puramente redistributivo. Che quindi, potrebbe rientrare, essere superato insomma, attraverso concessioni interne al regime politico repubblicano. Certo, esiste il rischio
delle strumentalizzazioni politiche, da parte delle sinistre e destre populiste. Tilly, insegna, rispetto alla storia sociale
francese, che quanto più un conflitto
sociale dura nel tempo, tanto più rischia di trasformarsi in politico. Detto in altri termini, cedere, prima che un conflitto si incancrenisca politicamente, resta la scelta migliore. Serve, ovviamente tempismo politico. Cedere quando sia troppo tardi è perfettamente inutile.
Consigliamo
a Macron, moderazione.
Carlo Gambescia
(*) Si veda qui: https://www.lemonde.fr/societe/article/2018/11/16/pourquoi-la-hausse-du-diesel-cristallise-la-grogne-des-banlieues-et-des-campagnes_5384675_3224.html
(**) Charles Tilly, La Francia in rivolta, Guida Editori, Napoli 1990. Tilly (1929-2008), studioso di sociologia storica, formatosi all’Università di Harvard, fu allievo di un gigante della disciplina come Pitirim A. Sorokin. Esiste un carteggio, tra i due.
(**) Charles Tilly, La Francia in rivolta, Guida Editori, Napoli 1990. Tilly (1929-2008), studioso di sociologia storica, formatosi all’Università di Harvard, fu allievo di un gigante della disciplina come Pitirim A. Sorokin. Esiste un carteggio, tra i due.