venerdì 31 agosto 2018

Si comincia sempre con un pernacchio 
Un fucile per i sovranisti…


Quanti danni cerebrali può provocare un titolo  del genere, tratto da un giornale  che si dichiara, tra l’altro,  liberale? 
Difficile quantificare. Tanti, troppi.  Anche perché  gli italiani sembrano aver  dimenticato  i guasti  del nazionalismo. Non siamo ancora alle  celebrazioni  governative  del fascismo, ma i neofascisti  tifano Salvini e sono con  il governo giallo-verde, riservandosi -  gli estremisti (basta navigare sui Social) - la mitologica  “seconda ondata”. Nella quale, per la cronaca, speravano, ardentemente, anche nel 1994.
Intanto,  Salvini,  si fa chiamare “Capitano”, come Codreanu,  padre fondatore del fascismo rumeno: movimento dai violentissimi tratti antisemiti.  Pochi lo sanno. Alcuni, che sanno tacciono, evitando così di dover ricordare i pogrom fascisti contro gli ebrei.
Veltroni su “Repubblica” ha evocato Weimar, glissando  però, a proposito dell'Italia,  sulle colpe del populismo giudiziario di  sinistra,  responsabile invece,  con  la retorica antipolitica  di destra,  dello smantellamento dello stato di diritto. Non solo Berlusconi, insomma. Anzi,  l’antiberlusconismo,  probabilmente,  ha provocato più danni del berlusconismo.
Ricordiamo a Veltroni  che negli anni di  Weimar  Hitler vinse, fruendo del fuoco concentrico di nazisti e comunisti contro i moderati al governo. Il regime cadde, perché i comunisti dettero una mano, sputando, nell’ordine,  sulla democrazia rappresentativa, sulla politica estera multilaterale e pacifica, sull’economia libera. Il populismo di sinistra e quello di destra, pari sono. Qualcuno lo spieghi a Veltroni, quando fantastica su  romantiche alleanze  di centro-sinistra  con Cinque Stelle.  I pentastellati aborriscono   il Partito Democratico  come   i comunisti tedeschi disprezzavano  i socialdemocratici. Tempo perso. E poi, per dirla tutta,  non è  terribilmente idiota (politicamente parlando) rispondere al populismo con il populismo al quadrato?   
Quanto vorremmo - tornando alla ridicola e inutile campagna antifrancese di “Libero”, ma anche della “Verità", del “Tempo”, del “Quotidiano Nazionale” del “Giornale" (ora, di meno) -  che alla fine si dichiarasse guerra  alla Francia, al mondo intero, a tutti “i nemici d’Italia”.  Talvolta, per capire  la gravità di certe stupidaggini  politiche,  servono “le dure repliche della storia”. Quindi la stupidaggine la si deve prima commettere. Purtroppo. 
Vorremmo perciò vedere tutti questi decerebrati nazionalisti, pardon sovranisti, con un fucile tra le mani.  E scorgere nei loro occhi, dopo i primi proiettili veri (non le chiacchiere di Salvini e Di Maio),  la paura, quella nera, come capitava nelle trincee, che provocava  enuresi.  Solo così questi idioti potranno scoprire  che la guerra è una cosa seria, anzi tremendamente seria. Niente viaggi last minute, stadio,  filmetti,  pizzette, ristorantini, discoteche, shopping,  tresche in ufficio,  ma solo morti, corpi dilaniati, sangue, tanto sangue,  angoscia di morire da un momento all’altro, eccetera, eccetera. Il che non significa oscurare la guerra, ma,  semplificando,  evitare accuratamente di spararle grosse e apprezzare la pace, soprattutto quando nessuno vuole farci guerra. Una cosa è il nemico in armi  che ci sfida, un'altra, come nel caso italiano, inventarselo a tavolino, per vedere, neppure di nascosto, l'effetto che fa...  Macron un nemico?  Ma siamo seri, per favore! Al massimo,  un avversario politico, che è altra cosa.
Perciò, il pernacchio di  “Libero”, oltre a indicare l'abisso culturale in cui  siamo piombati, se portato alle estreme conseguenze “logiche” implica la guerra. Una volta che ci si è incamminati lungo la stretta linea amico-nemico, nessuna minaccia resta mai vana. Esiste un meccanismo sociologico, a spirale, dove a un certo punto l’automatico susseguirsi degli  eventi finisce per avere la meglio sul libero arbitrio degli uomini: si  chiama specifico sociologico. 
Aver dimenticato (o  voluto dimenticare) oltre alla lezione della storia, anche quella della sociologia, è molto pericoloso. 
E ora, siamo in mare aperto, agitatissimo,  un mare di insensatezze.  

Carlo Gambescia