martedì 7 agosto 2018

I cinquant’anni della Nuova Destra (1968-2018)
 Da Alain de Benoist 
a Alain de Benoist

Fonte: http://www.revue-elements.com/elements-L-erotisme-en-peril.html
L’ultimo numero di  “Éléments” (août-septembre 2018, n. 173), tra l'altro sempre ricco di articoli e rubriche, celebra i cinquant’anni della “Nouvelle Droite” (1968-2018).  Nella presentazione, si legge (riassumo), che da quei giorni di fuoco sono trascorse numerose mode politiche, ma non quella (allora) rappresentata dalla corrente di idee fondata da Alain de Benoist, intellettuale francese dall’erudizione spaventosa e segnato, quasi antropologicamente, dal buon  genio delle contaminazioni intellettuali.
Nel fascicolo, storia e senso della ND, sono brillantemente ripercorsi da Olivier Dard, storico e accademico, di indubbia serietà. Intervento, però, dal quale, voluta o meno, si evince la straripante  e inevitabile centralità della figura debenoistiana. Insomma, il lettore è dinanzi  a un percorso ideale non dalla ND alla ND, ma da Alain de Benoist a Alain de Benoist.  Alla forza dell'intelligenza  non si sfugge.
Seguono testimonianze dal resto del mondo,  non tutte di pari valore, dedicate al  ruolo e all’influenza di ciò che può essere definito il rapporto osmotico tra ND e AdB. Si parla di un pensatore che per vivacità, versatilità,  profondità, autorevolezza,  può essere perfettamente sovrapposto  a un  altro proteiforme protagonista del non conformismo francese, Georges Sorel.  Che, a sua volta, amava collocarsi  al di là della destra e della sinistra. Proprio come Alain de Benoist. Forse tra i due, a far la differenza, resta l'influsso di un filosofo come Heidegger, assai apprezzato dal fondatore della ND, assente invece, probabilmente per ragioni di tempistica storica, nel pensiero di Sorel (scomparso nel 1922). Semplificando: Georges Sorel si ferma a una rilettura di Marx di tipo idealistico (in qualche misura, come avverrà,  successivamente, con Preve in Italia). Alain de Benoist rilegge invece Marx attraverso Heidegger. Una miscela esplosiva: essere, tempo, rapporti di produzione e sociologia dell'immaginario collettivo.  Sono tutti  spunti  che meriterebbero un libro di approfondimento.  
Insomma, siamo dinanzi  a due bravissimi  ingegneri dell'anima umana (in senso buono ovviamente, non bolscevico), del resto Sorel lo era anche di fatto:   due costruttivisti al fondo, che si propongono di montare, smontare e rimontare l'uomo e la società. Senza però credere nei miracoli sociali. E in questo senso Sorel e de Benoist rifiutano  la parte più caduca del pensiero marxiano, quella scientista e utilitarista. Proprio come Preve.
Va detto però  che gli interlocutori  italiani  di  Sorel,  solo per fare due  nomi, furono Croce e Pareto. Quelli di Alain de Benoist  sono  invece  più modesti. Ma non per suo demerito. Forse un segno dei tempi.  In fondo,  si semina senza sapere chi raccoglierà.  E  beato quell'uomo, come dice il saggio, che pianti alberi, dalla  cui ombra non avrà ristoro.    
Inoltre, in Italia, l'opera debenoistiana  ha subito una fortissima  politicizzazione ( come, a dire il vero, altrove). Un inciso: altro studio di approfondimento che meriterebbe il pensiero debenoistiano è quello degli  effetti  perversi di ricaduta politica, nel senso delle ricezioni non volute (dall'autore stesso) delle sue concettualizzazioni.   Di più: resta  possibile  individuare il ruolo dell' eterogenesi dei fini nel pensiero di Alain de Benoist? In termini, di effetti inaspettati (soggettivi e oggettivi) a destra, sinistra, perfino tra i liberali? Per ora, la butto lì.  
Dicevo, fortissima politicizzazione italiana. E come?  Attraverso  il diffondersi di  un fascino, sicuramente non desiderato dal pensatore francese,  sul magmatico universo dell' estrema destra.  E  in due direzioni: da una parte  coloro che hanno  ricondotto il suo pensiero all’interno di un neofascismo movimentista, molto rozzo, in cerca di semplicistiche parole d’ordine,   dall’altro coloro,  che, dichiarandosi postfascisti, ne hanno ripreso, in particolare gli stilemi,   per costruire ponti, in primis, intellettuali,   con la sinistra meno condizionata dall’antifascismo.  All’insegna, almeno per l’Italia,  di una forte confusione  tra forma euristica (l' "et-et") e sostanza politica (l' "aut-aut"),  non del tutto in linea con l’esprit géométrique del pensatore  francese, fondato su evidenze cognitive piuttosto che su petizioni ideologiche.  Un confusionismo (semplificando) che non giova  alla  pacata discussione e comprensione del suo pensiero, come accaduto con l'ingiustificato veto della Fondazione Feltrinelli alla conferenza debenoistiana.
Fonte:
https://iltalebano.com/2013/12/04/salvini-de-benoist-la-battaglia-identitaria-che-terrorizza-il-sistema/

Se  Sorel  influenzò politicamente Mussolini e  culturalmente Pareto.   De Benoist  sembra abbia influito sul pensiero di   Matteo Salvini e Marco Tarchi.  Il primo, attualmente, al governo, il secondo, in  cattedra.  Non resta allora che un doppio auspicio. Innanzitutto, che Salvini non segua le orme di Mussolini. Mentre Tarchi, si spera, che, per fama, ricalchi  Pareto.
Va infine osservato che nel fascicolo  si rivendica con orgoglio   l’importanza di  aver continuamente dibattuto questioni  che,  oggi, sulla scia dei populismi, sembrano essere tornate  sulla cresta dell’onda, anche elettorale: diritti dei popoli contro diritti dell’uomo; critica della società dei consumi;  difesa della diversità e delle identità locali; politeismo dei valori contro monoteismo culturale; rifiuto dell’universalismo astratto. 
Fonte: http://www.diorama.it/diorama-letterario-316/
E' un bene? E' un male?  Sospendo  il giudizio. Va  però detto che il grande Convitato di pietra della ND   rimane   il liberalismo,  spesso retrocesso, forse  per  contingenti ragioni polemiche,  allo stadio pre-evolutivo  del puro  liberismo economico  o  addirittura politicamente confuso con il   liberalismo di sinistra o "macro-archico". E qui si pensi  al   cosiddetto mondo "liberal"  che ha tramutato,  non solo negli Usa,   il liberalismo   nell' iperprotettivo  galateo di  minoranze al tempo stesso welfarizzate e  popolate di individualisti, sempre scontenti, viziati e con la mano tesa verso lo stato, pronti a ricevere l'elemosina pubblica. Anche in  termini di micro-diritti da usare come corpi "giuridici" contundenti contro altre minoranze, altrettanto "legalmente" equipaggiate.      
Alain de Benoist, dall'alto del suo sapere, crediamo non condivida questo riduzionismo,  a differenza, invece,  di molti suoi discepoli o presunti tali,  soprattutto italiani: tutti accaniti  nemici del mercato,  ridotto, senza avvedersi dell'errore (che poi è simmetrico rispetto a quello dei liberisti puri e duri), a versione caricaturale del liberalismo. Salvo però,  quando il discorso scivoli sul denaro, pardon, lo  sterco del demonio.
Un aneddoto al riguardo. Tra i collaboratori di questo fascicolo ne ritrovo uno,  persona  sulla quale un tempo riponevo grandi speranze dickensiane, fino al punto di provare a coinvolgerlo nella traduzione in lingua italiana (ovviamente, non gratis) di  alcuni lavori debenoistiani per una collana ad hoc. La risposta di questo traduttore  fu invece un  no.  Mi disse  di “essere un professionista,  uno su piazza”.  Ergo, l'editore che lo avrebbe pagato di più, eccetera, eccetera. E così andò.
Giustissimo, per carità (puro Adam Smith: "Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio, eccetera, eccetera").  Ma  non per  un decrescista e pauperista, insomma un nemico del  "liberismo selvaggio", come egli si professava e, come leggo, si professa ancora…
Bando alle miserie.  Un grande abbraccio all’amico Alain de Benoist. Ai prossimi cinquant’anni!  E se allora, da qualche parte, ci incontreremo di nuovo, come lui ben sa,  saranno  abbracci.

Carlo Gambescia            

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