Un’indagine dell’Istituto Cattaneo
Immigrati, dove ce ne sono 7 gli italiani
ne vedono 25
Diciamo
pure che è passato inosservato. Cosa?
Il fatto, accertato, da un’ indagine dell’Istituto Cattaneo, pubblicata tre giorni fa, che la percezione degli italiani della percentuale di immigrati presenti nel nostro paese è totalmente
distorta (1). Ma leggiamo.
«I cittadini europei
sovrastimano nettamente la percentuale di immigrati presenti nei loro paesi: di
fronte al 7,2% di immigrati non-UE presenti “realmente” negli Stati europei,
gli intervistati ne stimano il 16,7%. Ma in questo caso il dato che riguarda
l’Italia è quello più significativo: gli intervistati italiani sono quelli che mostrano
un maggior distacco (in punti percentuali) tra la percentuale di immigrati
non-UE realmente presenti in Italia (7%) e quella stimata, o percepita, pari al
25%.» (p. 1)
Sicché,
«l’errore
di percezione commesso dagli italiani è quello più alto tra tutti i paesi
dell’Unione Europea (+17,4 punti percentuali) e si manterrebbe ugualmente
elevato anche se considerassimo la percentuale di tutti gli immigrati presenti
in Italia – che, secondo i dati delle Nazioni Unite, corrispondono attualmente
al 10% della popolazione (cresciuti di oltre 6 punti percentuali rispetto al
2007).» (p. 2)
Insomma, proporzionalmente, dove ce ne sono sette, di immigrati,
l’italiano ne vede venticinque. Il tasso distorsivo decresce in base all’istruzione, al reddito, alla professione,
alla scelta politica. Semplificando: più si è ignoranti, improduttivi, dequalificati, di destra, più si
moltiplica l’immaginario, mentalmente e sociologicamente devastante, dell’immigrato con la bava alla bocca che vuole violentare le nostre
donne, che ci ruba lavoro e welfare.
Un’ossessione, quest’ultima, che è
inversamente proporzionale al numero reale degli immigrati. Ad esempio, come si
legge
« la distanza tra il dato
reale e quello stimato è maggiore dove la presenza di immigrati è minore (al
sud, inferiore al 5% della popolazione). Al contrario, lo scarto tra realtà e
percezione è più contenuto nelle regioni del nord, dove la percentuale di
immigrati – corrispondente a circa il 10% della popolazione – è tendenzialmente più elevata.» (p.6)
Infine, ultimo aspetto
interessante,
«come emerge chiaramente, la percezione sulla
diffusione dell’immigrazione è maggiore nelle grandi città rispetto ai piccoli
comuni o alle aree rurali: nelle prima la stima raggiunge quasi il 31%, mentre
nei secondi si ferma al 21,9%. Questo dato, tra l’altro, sembra essere in linea con la realtà
dell’immigrazione italiana, maggiormente concentrata nelle grandi metropoli e
tendenzialmente più diluita nei piccoli paesi lontani dai centri urbani. » (p.7)
Questi i fatti. Gli italiani vantano, tra gli europei, un triste primato: quello del razzismo. Come
correggere questa percezione distorta ? Come fermare il razzismo dilagante?
Diciamo che il Politicamente Corretto di Destra (PCD), oggi in auge, addirittura al governo, che scorge in ogni immigrato un
invasore, non aiuta il cambiamento
di mentalità. Anzi, se ne serve, giocando sulle politiche delle paura e della caccia al capro espiatorio. Di colore.
Il fatto stesso che questa ricerca sia passata pressoché inosservata è un bruttissimo sintomo. Del resto i tempi del cambiamento culturale, legati agli effetti di ricaduta della qualità degli studi, del reddito, della mobilità sociale e politica, sono generazionali e sempre mutevoli, soprattutto nelle società aperte, mentre il risentimento sociale e razziale, soprattutto se politicamente coltivato, riarma inevitabilmente, senza soluzione di continuità, pregiudizi secolari, tipici delle società chiuse, che nella storia umana, sono regola non eccezione: pregiudizi pronti a riaffiorare e sommergere, con la forza improvvisa di uno tsunami, le piccole isole di civiltà e tolleranza, faticosamente costruite da uomini e donne di buona volontà.
Il fatto stesso che questa ricerca sia passata pressoché inosservata è un bruttissimo sintomo. Del resto i tempi del cambiamento culturale, legati agli effetti di ricaduta della qualità degli studi, del reddito, della mobilità sociale e politica, sono generazionali e sempre mutevoli, soprattutto nelle società aperte, mentre il risentimento sociale e razziale, soprattutto se politicamente coltivato, riarma inevitabilmente, senza soluzione di continuità, pregiudizi secolari, tipici delle società chiuse, che nella storia umana, sono regola non eccezione: pregiudizi pronti a riaffiorare e sommergere, con la forza improvvisa di uno tsunami, le piccole isole di civiltà e tolleranza, faticosamente costruite da uomini e donne di buona volontà.
Resta poi il fatto, che gli attori sociali, di regola, al comprendere preferiscono il credere: alla ragione le emozioni. Di qui, la difficoltà (per alcuni impossibilità) insita nell' insegnare la virtù del comprendere. Sotto questo aspetto le nostre società liberali, dal punto di vista
storico e sociologico, sono una specie
di miracolo. Per la prima volta nella
storia umana, non solo si è insegnato ad
apprezzare la tolleranza, ma non pochi ne hanno appreso il valore: non semplice mezzo ma fine.
Il che però non esclude, come sta accadendo, la durissima reazione di ciò che può essere definito il basso profondo della storia umana, sempre in agguato: il razzismo e l’intolleranza dei più, a cominciare, anche questa volta, purtroppo, proprio dall’Italia.
Il che però non esclude, come sta accadendo, la durissima reazione di ciò che può essere definito il basso profondo della storia umana, sempre in agguato: il razzismo e l’intolleranza dei più, a cominciare, anche questa volta, purtroppo, proprio dall’Italia.
Perciò bisogna resistere, anche se pochi e derisi. Si chiama battaglia di civiltà.
Carlo Gambescia
(1) Consultabile qui : http://www.cattaneo.org/wp-content/uploads/2018/08/Analisi-Istituto-Cattaneo-Immigrazione-realt%C3%A0-e-percezione-27-agosto-2018-1.pdf