martedì 14 agosto 2018

Alessandro Campi o della politologia à la carte
Dopo Fini, tocca a Salvini



A che serve studiare Aron,  civettare con il liberalismo,  convegni di qua, seminari di là,  per poi scrivere un articolo del genere? Solo per  ingraziarsi i nuovi padroni?  Offrirsi a costo zero? Piacere di servire? Mah...  
Probabilmente, al  fondo,  c’è  un’ ambizione sfrenata.  Che nella vita,  se fisiologica non guasta. Bisogna sempre  puntare in alto, per carità.  Però  mai   tramutarsi  in  aspiranti valletti cognitivi, puntando addirittura  sulla  politologia  à la carte.  Pronta a incensare i vincitori di turno.  Se poi di destra anche meglio (o peggio, dipende dal punto di vista dei lettori).  E  qui  Alessandro Campi, politicamente,  già avrebbe dato. Con Gianfranco Fini. Di cui era  consigliere scientifico…   
Allora, come presentare  Matteo Salvini sotto  una luce migliore? Lavorando sulle coordinate storiche. Una Weltgeschichte  a chilometro zero. 

Forse qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica, dopo due decenni di ubriacatura sulle virtù del dilettantismo applicato alla sfera politica. Ma c’è dell’altro. Mentre i suoi avversari [di Salvini] si affannano a denunciarne il populismo (che in realtà è il registro o stile di comunicazione adottato ormai da tutti i leader democratici) o lo scivolamento verso posizioni d’estrema destra (con l’evocazione di scenari e pericoli storici del tutto anacronistici, o accostandolo a esperienze europee che hanno agganci sentimentali o simbolici col fascismo che alla Lega invece mancano) non si tiene conto che l’ideologia sovranista alla quale Salvini ha convertito il suo partito è meno banale, sul piano storico generale, di quanto appaia. Di sicuro non può essere liquidata come una retriva pulsione ad alzare muri e linee divisioni laddove la tendenza storica sarebbe invece ad abolire ogni tipo di confine o di identità collettiva particolaristica. (1)  

Capito?  Il populismo, per sdoganare scientificamente Salvini,   viene  interpretato riduttivamente come “il registro o stile di comunicazione adottato ormai da tutti i leader democratici”.  E il  sovranismo  come  naturale  reazione  al globalismo… Ovviamente,  il fascismo è giudicato fenomeno anacronistico…  Non sia mai.
Ecco  la politologia à la carte.   Dietro  Salvini ci sarebbe   una  tendenza storica  di fresco conio: la reazione nazionale  al pensiero unico.   Del resto  ai tempi di Gianfranco  Fini,   c'era quella di vecchio conio:   allora  Campi  parlava di un'altra "tendenza storica" , quella incarnata dalla rivoluzione dei diritti civili,   che la destra doveva assolutamente intercettare, contro il conservatorismo codino… Ovviamente, ora finita in soffitta. Insomma,  ieri le pulsioni civili, oggi quelle incivili. Tutto fa brodo.
Eppure,  oltre a civettare con il pensiero di Aron  e con quei liberali, in carne e ossa,   che si prestano ai suoi giochetti,   Campi  ha fatto pubblicare  sulla “Rivista di Politica” - e poi in un demistificante libro collettivo sui complotti -  l'illuminante saggio  di Richard Hofstadter sullo stile paranoico in politica.
Ora, dopo aver letto Hofstadter, perché quale direttore e curatore non può non  averlo letto, come si può concedere un salvacondotto politico a Salvini?  Lo "stilista" principe dei paranoici politici d'Italia?  Sempre pronto a gridare al complotto?  
Anche perché, in un momento di lucidità,  Campi, tra le altre cose, ammette  che  “ lo stile di comunicazione dello stesso  Salvini non può mantenersi febbricitante e martellante come è stato sino ad oggi”.
Ma se lo stile è quello paranoico, quindi un fatto politicamente costitutivo (secondo la lezione di Hofstadter),  come ne esce Salvini?  Come potrà  creare  quel “ solido partito conservatore di massa” che Campi auspica ?  Che rischia invece di somigliare  a un fascismo di massa, che in Italia ha  puntuali precedenti  storici.  
Ora delle due l’una,  o Campi,  come studioso  si è perso per strada, o ci sta ricadendo un’altra volta. Ma Salvini non è Fini. È molto più intelligente. E quindi pericoloso.
E anche per questa ragione  perché fornirgli un assist?  Per diventare senatore o ministro “blu-azzurro”?   

Carlo Gambescia