martedì 21 agosto 2018

Dopo il disastro di Genova
Si fa presto a dire concessione…


Nonostante  esista in materia abbondante letteratura scientifica, molti  osservatori sembrano non rendersi conto  che l’idea di nazionalizzare la rete autostradale, tornando indietro -  attenzione - non dal regime di laissez faire, ma di concessione  (un pasticcio, come vedremo), è roba da paese sottosviluppato.     
In principio era l’Anas, poi, sull’onda delle liberalizzazioni, quindi di aperture parziali e minoritarie ai privati in termini di diritto amministrativo non civile,  decollate faticosamente  negli  anni Novanta del secolo scorso, si introdusse il sistema delle concessioni,  che, sociologicamente parlando, è una via di mezzo. Tradotto:  né completamente privato, ne completamente pubblico. Dal punto di vista della teoria del Simon sul comportamento amministrativo, siamo  davanti a un specie di centauro politico-economico, metà stato, metà mercato.  
Parliamo  di un sistema storicamente concepito, quello delle concessioni, per impedire, l’ingresso di società straniere, o comunque per tenerle  sotto stretto controllo. Però chi sa, non abbocca.  Come ad esempio,  le imprese  anglo-americane,  che non da oggi (quindi anche per tradizioni economiche  e giuridiche differenti) scorgono  nel sistema delle concessioni -  che secondo gli storici del diritto risale al centralismo napoleonico (Louise-Antoine Macarel,  ne fu, dopo la caduta, il dottrinario per eccellenza) -  una forma non gradita di controllo politico dell’economia.  Una concessione, di per sé,  è sempre revocabile.  Di conseguenza,  i loro cavalli si rifiutano di bere.  
Al sociologo, al di là dei nomi e degli argomenti da Dagospia economica, che tanto appassionano in questi giorni i media, interessa una sola cosa:  gli effetti di ricaduta sociale sul sistema economico della forma  relazionale  concessione.
Esistono studi sociologici (da ultimo si veda, la sintesi che ne fa Crouch, in Postdemocrazia)  che provano come l’area grigia pubblico-privato sia la principale causa dei fenomeni di corruzione e concussione. Che, attenzione, tendono a crescere in  modo direttamente  proporzionale all’aumento della  presenza dello stato nell’economia.
Ciò significa che  lo strumento della concessione, dal punto di vista dei ruoli sociali ( chi valuta le credenziali, chi investe? chi reinveste? chi controlla? ), rinvia a  una  confusione costitutiva,  che  non dipende dalla pubblicità dei contratti, dalla loro forma,  dall’autorità  di controllo, ma da uno stato, concedente,  che continua a comportarsi verso il concessionario come un dio assente, ma capriccioso e geloso.  
Addirittura, a proposito di Autostrade,  abbiamo letto che il contratto di concessione  stabiliva, quote precise di  reinvestimento degli utili. Ora, gli utili a bilancio, come sa chi si occupa di queste cose,  sono  quanto di   più aleatorio esista in natura contabile-economica. Ma come, si dirà,  basta fare la differenza tra costi e ricavi? Sì, durante gli esami all’università.  
Ovviamente  esistono i revisori, le clausole di controllo, eccetera  ma resta  difficile  stabilire il valore effettivo degli utili,  perché i mercati sono mobili e gli uomini immobili nei loro riflessi carnivori.  Il che non significa, attenzione, che i bilanci siano inutili.     
Il punto vero della questione  è che  il concedente, lo stato,   ragiona in termini di merito e legittimità (di diritto amministrativo, insomma),  mentre  il concessionario, dipendendo dal mercato, in termini in economici.  Di qui, gli inevitabili  aggiustamenti, anche a livello contrattuale e post-contrattuale, talvolta  non legali, o sul filo della legge,  soprattutto nella pratica.  E per quale ragione?   Per mettere comunque insieme il diavolo (il mercato) e l’acquasanta (il diritto amministrativo). Sicché,  il concedente, è contento perché comanda, o almeno così ritiene,   mentre  il concessionario, si ritaglia qualche utile, ma sempre con la valigia pronta. Separati in casa.    
La sociologia insegna che  esiste  un’ area del diritto definita discrezionale. Ora, nel diritto amministrativo -  si parla, confondendo le due cose, anche di diritto pubblico dell’economia -  la discrezionalità, soprattutto nei contratti di diritto amministrativo e nel successivo portarli a effetto,  è molto elastica.  Dove c’è lo stato, c’è la politica, e dove c’è la  politica domina la discrezionalità, il che spiega la natura particolarmente discrezionale del diritto amministrativo che è  branca del diritto pubblico, e di conseguenza, come direbbero i giuristi spagnoli, diritto “politico”.  Legittimità e merito, sì, ma con juicio.   
Pertanto, ripetiamo il problema, non è  la pubblicità dei contratti di concessione, o l’utopica idea, presente  in molti giuristi,  di pervenire al contratto così trasparente al punto di essere  perfetto, bensì la natura equivoca (nel senso del variamente interpretabile) dell’istituto giuridico della concessione amministrativa:  politicamente, fuori dai principi dell’economia di mercato, ma sociologicamente dentro i pericolosi meccanismi della corruzione e della concussione.
Altra cosa sarebbe la privatizzazione della rete autostradale italiana. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia