Nazionalismo,
strada senza ritorno
In queste ore molti italiani gonfiano il petto: Salvini si erge a crociato e difensore contro
un’invasione che non c’è, Di Maio, minaccia di non pagare i contributi all’Unione all’Europea se i gli immigrati,
“stoccati” sulla Diciotti, non verranno “redistribuiti”.
Conte, prende diligentemente nota.
Gli italiani immaginano di essere allo stadio. Credono sia tutto un gioco. Hanno la memoria corta, purtroppo: non ricordano più i mondiali del 1939-1945. In realtà, per restare in metafora, quel che sta accadendo sul campo non è bello: è come se i giocatori tentassero di aggredire l’arbitro per imporre l'annullamento di un rigore. Ma non, come capita, invocando l'inesistenza di un fallo di mano. E allora, come? Azzerando le regole del gioco: da questo momento, gridano, facendo capannello
intorno all’arbitro, la palla in area può essere toccata con le mani da ogni giocatore.
Fuor di metafora: esiste
Dublino, esiste una Commissione europea, esistono regole che abbiamo liberamente accettato,
esiste la buona diplomazia dai toni felpati ed eleganti, dei piccoli o grandi passi, rapportati a quello che è il peso di una nazione. E soprattutto la sua
credibilità. Che nasce proprio dal rispetto delle regole, dei bilanci, della
buona economia, dello sviluppo e della crescita nel maestoso quadro di una
società aperta.
E
tutto ciò che oggi manca l’Italia. Però Salvini e Di Maio (Conte non conta), pretendono di essere ascoltati. Anzi di imporre, come quei calciatori, le
proprie regole, minacciando la Commissione Europea. Si chiama
nazionalismo. Ed è una strada senza ritorno. Per quale ragione?
I
nazionalismi, tra di loro non collaborano. Si uniscono per la parte destruens, ma subito si dividono su quella construens. Basta qui
ricordare cosa accade dopo la Prima Guerra Mondiale. Tra
l’altro, anche allora, gli Stati Uniti fecero un passo indietro… Oggi c’è
Trump, che pur in nome di ideali non wilsoniani, immagina un' Europa a pezzettini, debole e divisa. Per non
parlare di Putin.
Dicevamo
i nazionalismi non collaborano. Orbán e il gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e
ovviamente l’Ungheria) sono d’accordo
con Italia e Austria, semplificando, sul "Padroni a casa nostra". Però lì si fermano. Guai proporre al
“liberale Orban”, come curiosamente si
autodefinisce, di prendersi i nostri immigrati oppure di
lavorare a una maggiore integrazione politica
europea. Sono nazionalisti, per loro l’Europa, è nella migliore delle ipotesi un’occasione
da sfruttare, non un’idea e un destino, frutto di un deciso e ragionato "mai più guerra civile europea". Loro, i nazionalisti, gonfiano il torace e si battono i pugni sul petto come i gorilla, oppure soffiano e scalciano come i tori. In questo sono bravissimi.
La storia purtroppo ha sempre un suo peso. Certo, non pari a quello della forza di gravità: altrimenti una Merkel e un Macron dovrebbero comportarsi come Hitler e Pétain. Invece hanno perfettamente imparato dagli errori del passato. Però c'è anche chi non riesce a liberarsi dei propri errori. Anzi orrori: gli sgherri fascisti delle Croci Frecciate, spingevano nel Danubio,
legati con il filo spinato, ebrei ed oppositori, con un colpo di pistola si uccideva il primo
della fila, che trascinava tutti gli altri nelle scure acque del fiume. In questo modo si risparmiava sulle munizioni...
Ecco
che cosa è stato il nazionalismo. Però, non tutti sembrano aver compreso. Altro che le questioni di bilancio e i rimproveri, tutti meritati, della Commissione Europea. Tra i professori come Monti e i fascisti ungheresi e italiani,
quelli delle leggi razziali, c’è
una differenza di specie, non di grado.
Eppure,
sembra che gli italiani abbiano dimenticato tutto. Il nazionalismo è una strada senza ritorno. Poveri noi, il risveglio, anche questa volta, rischia di essere brusco.
Carlo Gambescia