Luigi Di Maio tra Mimmo Mignano e Sergio Marchionne
Dov’è il nuovo che avanza?
Che
Mimmo Mignano (il lettore si chiederà chi è costui…), non abbia versato una lacrima per la morte di Marchionne
(1) è sociologicamente spiegabile, almeno per l’Italia, terra dove c’è ancora nostalgia, come in
Sudamerica, per la lotta di classe dura e pura. Diciamo che da noi esistono sacche sindacali che trovano ispirazione in un modello archeologico di relazioni industriali.
Mignano,
sindacalista di base, a sfondo operaista, venne licenziato nel 2014, come si legge in un resoconto giornalistico fin troppo benevolo, per aver inscenato il funerale di
Marchionne (2). In realtà, Mignano si presentò, con quattro colleghi, ai
cancelli della Fiat di Pomigliano ostentando il
manichino di Marchionne impiccato. Inutile ricordare, la natura minacciosa di un gesto pubblico del genere, in un’ Italia, dove il terrorismo, come il
denaro di Wall Street, sembra non
dormire mai.
In
seguito, nel giugno di quest’anno, Mignano, per protestare contro la sentenza
definitiva della Cassazione, si è incatenato e ha tentato di darsi fuoco. E indovinate davanti alla casa di chi? Di Luigi Di Maio, fresco Vice Presidente del Consiglio. E qui viene il bello anzi il brutto. Di Maio,
in veste ufficiale, si è subito recato nell' ospedale, dove Mignano si trovava ricoverato più per precauzione che per altro, “per
dirgli che lo stato c’è”… (3) . Questo l’antefatto.
Alcuni giorni fa, appena diffusasi la notizia delle gravi condizioni di salute di
Marchionne, Di Maio, sollecitato dai
giornalisti, ha invece criticato la sinistra, soprattutto quella senza un briciolo di pietà verso il manager FCA (4).
Qual
è il vero Di Maio? Quello al “capezzale” di Mignano? O quello che chiede "pietà" per Marchionne in fin di vita?
Qualcuno penserà che esageriamo. In fondo, ci sembra di sentirli, si tratta, più semplicemente, del classico comportamento da buon cristiano. Mah... Diciamo che il fedele tipo (a parte Frate Mitra, che poi però stava dalla parte della polizia), tende a condannare chiunque inciti alla violenza: porgere l'altra guancia, eccetera, eccetera.
Andare a dire che "lo stato c'è" a un irrequieto operaista come Mignano, significa comunque offrire una sponda politica a chi teorizza l'antistato, nonché, cosa più grave, a tutto quello che ne può conseguire nei termini di un non impossibile passaggio all'atto, non di Mignano, magari, ma di altri pesci, per usare la vecchia metafora, che nuotano nella stessa acqua.
Da questo punto di vista, l’atteggiamento del Vice Presidente del Consiglio potrebbe essere rubricato sotto quello del classico politico, assopigliatutto: con lo stato e con l'antistato. Un mezzo democristiano. Anzi un doroteo. Però potrebbe anche rinviare a quello del "compagno di strada". Ricordate? Né con lo stato né con le Brigate Rosse...
Se
è così (o doroteo o compagno di strada) in che cosa consiste la tanto decantata “diversità” di Luigi Di Maio
e più in generale del Movimento Cinque
Stelle? Dov’è
il nuovo che avanza?
Carlo Gambescia