Guerra, una storia
Ricordavo, di Piero Visani, storico militare e
giornalista, alcuni densi articoli su “Linea”, dedicati al tema del suo ultimo
libro, Storia della guerra dall’antichità
al Novecento (Oaks Editrice, 2018, pp. 190. euro 18,00). All’epoca, affascinato dal sapere di Visani, pregustavo il piacere di veder riunito e sviluppato in volume un materiale così interessante. E così è stato.
Ho
tra le mani il primo di due tomi, il secondo sarà dedicato alle Guerre
Mondiali e alla movimentazione politica e bellica indotta.
Diciamo
subito che lo stile è eccellente. Il che
non sempre è scontato, dal momento che scrivere di storia è una cosa, scrivere
bene un’altra. Visani ha stile nitido e coinvolgente.
Quanto
ai contenuti, va subito sottolineato (non è una critica) che la distribuzione della materia è alquanto diseguale: poco meno di quaranta pagine su poco più di centosessanta (di testo) sono dedicate all' antichità e al medioevo; all' età moderna una quarantina, mentre al solo Ottocento sessanta pagine. Per inciso, densissima
e accurata la bibliografia ( venticinque pagine).
A dire il vero, la particolare scelta distributiva risale a Visani. Insomma, è intenzionale: "Si tratta - scrive - di un libro assai sintetico, che cerca di evidenziare gli aspetti che sono apparsi di maggior rilievo all'autore, che talvolta mescolo deliberatamente la trattazione storica con riferimenti ed esperienze di carattere personale" (p. 9). Ciò significa che Modernità e Otto-Novecento sono giudicati dal punto di vista della teoria e pratica militari il top del top. Visione, storicamente evolutiva, che sarebbe piaciuta anche a un pacifista e progressista (ante litteram) come il marchese di Condorcet.
Effettivamente, Visani non perde un colpo. L’essenziale c’è tutto. Certo, su Atene e
la sua flotta si sorvola. Stesso discorso per Roma, che rubò l’arte ai
Cartaginesi, facendo di necessità virtù. Di Bisanzio forse si poteva ricordare, al di là della questione
generale (ben posta comunque), di come, mescolando sapientemente, sapere militare e arti
diplomatiche, svuotò il potenziale
imperialistico delle Crociate, almeno fino
alla Quarta. Steven Runciman (tra l'altro citato) ne parla diffusamente, con decorosa invidia britannica.
Ottimo il capitolo sugli Arabi, dove ben si coglie il cambiamento di
prospettiva in direzione della guerra religiosa (ma molto ideologica, nel senso dell'avversione, di principio, per l' altro da sé). Non da meno quelli sui Condottieri ( figure di solito sottovalutate nelle storie in argomento, non però negli studi di Piero Pieri, storico con il quale, crediamo, Visani si sia laureato) e
sul Tercio (la grande fanteria spagnola, per eccellenza) . Visani coglie molto bene anche il significato storico e militare della
Guerra dei Trent’anni, nel senso di una post-secolarizzazione dei conflitti, il
che non significa che le guerre, dopo la pace di Westfalia, si tramutarono in scambi di affettuosità. In effetti, ci fu un calo della tensione bellica, nonostante Luigi XIV e i suoi teorici della pre- LineaMaginot. E nel secolo successivo, la Prussia di Federico il Grande ne approfittò per armarsi fino ai denti.
Si potrebbe parlare per il Settecento di una decrescita quasi felice, dei mezzi e risorse (di ogni tipo), in ambito militare, andata poi perduta conla Rivoluzione
francese e l’arrivo di Napoleone, massimo teorico dell’offensivismo e degli attacchi di massa per colonne: nemico insomma di quel
difensivismo settecentesco, per alcuni quasi un grazioso minuetto, teso a risparmiare uomini, mezzi e
popolazioni. Offensivismo che invece, alla lunga, perderà Napoleone, inceneritore di combustibile umano, come avviene regolarmente al tavolo del poker, quando le risorse economiche non sono infinite.
Al dualismo, da manuale, tra guerra di offesa e difesa, che va al di là dei ghirigori morali su guerra giusta e ingiusta, un dualismo, ma dimenticarlo, che ha solcato concettualmente la storia della guerra, Visani dedica, qui e là, pagine interessanti. Si tratta di una questione aperta, oggi resa ancora più complicata dalla tecnologia. Meglio difendersi o attaccare per primi? Visani, da acuto storico (belle le annotazioni sugli antichi romani del vis pacem para bellum) risponderebbe che attaccare per primi è ottima cosa, ma che per farlo, semplificando, si deve essere primi - o quanto meno ci si deve sentire tali - anche nella vita, per così dire. Si chiama consapevolezza dei propri valori. E volontà di lottare per essi. Per inciso, l'Occidente è avvisato. Ovviamente, il consiglio è mio: perché Visani - pur nell'equidistanza, peraltro ammirevole dello storico - si metterebbe a ballare la rumba in caso di spengleriana caduta.
Battute a parte, sproporzionato, per l'economia del volume, anche cognitiva, sembra invece lo spazio concesso alle tre guerre del Risorgimento italiano , tra l’altro lungo le linee di una storiografia revisionista, per citare da Maturi (nel senso della linea Cattaneo-Spellanzon-Pieri), non proprio amichevole verso Cavour, moderati e diadochi della Destra storica. Un revisionismo (per carità, da palati sottili, nulla a che vedere con la canea postborbonica di oggi), poi sposato anche da Gramsci e dalla storiografia fascista, non però strettamente volpiana: un revisionismo, ripetiamo, anche da socialismo tricolore, che piaceva a Giano Accame, ad esempio. E che cercava l' isola della "guerra di popolo" (di contro, la "guerra regia") che non c’era e non poteva esserci… Crediamo, che di ciò, Visani, che conosce i vizi e virtù di Clio, sia perfettamente consapevole.
Si potrebbe parlare per il Settecento di una decrescita quasi felice, dei mezzi e risorse (di ogni tipo), in ambito militare, andata poi perduta con
Al dualismo, da manuale, tra guerra di offesa e difesa, che va al di là dei ghirigori morali su guerra giusta e ingiusta, un dualismo, ma dimenticarlo, che ha solcato concettualmente la storia della guerra, Visani dedica, qui e là, pagine interessanti. Si tratta di una questione aperta, oggi resa ancora più complicata dalla tecnologia. Meglio difendersi o attaccare per primi? Visani, da acuto storico (belle le annotazioni sugli antichi romani del vis pacem para bellum) risponderebbe che attaccare per primi è ottima cosa, ma che per farlo, semplificando, si deve essere primi - o quanto meno ci si deve sentire tali - anche nella vita, per così dire. Si chiama consapevolezza dei propri valori. E volontà di lottare per essi. Per inciso, l'Occidente è avvisato. Ovviamente, il consiglio è mio: perché Visani - pur nell'equidistanza, peraltro ammirevole dello storico - si metterebbe a ballare la rumba in caso di spengleriana caduta.
Battute a parte, sproporzionato, per l'economia del volume, anche cognitiva, sembra invece lo spazio concesso alle tre guerre del Risorgimento italiano , tra l’altro lungo le linee di una storiografia revisionista, per citare da Maturi (nel senso della linea Cattaneo-Spellanzon-Pieri), non proprio amichevole verso Cavour, moderati e diadochi della Destra storica. Un revisionismo (per carità, da palati sottili, nulla a che vedere con la canea postborbonica di oggi), poi sposato anche da Gramsci e dalla storiografia fascista, non però strettamente volpiana: un revisionismo, ripetiamo, anche da socialismo tricolore, che piaceva a Giano Accame, ad esempio. E che cercava l' isola della "guerra di popolo" (di contro, la "guerra regia") che non c’era e non poteva esserci… Crediamo, che di ciò, Visani, che conosce i vizi e virtù di Clio, sia perfettamente consapevole.
Nella media, per così dire, i capitoli dedicati alla Guerra di Crimea e alla Guerra Franco-Prussiana. Del primo, si segnala, ottimamente colto, il nascente contrasto tra quello che poi ai giorni nostri sarà definito giornalismo embedded e non embedded. Di Napoleone III, invece Visani ricorda l'attenzione verso la tecnologia militare, ma anche l'ingenuità nel fidarsi troppo o troppo poco dei suoi generali. E probabilmente pure del nemico Bismarck.
Piero Visani |
Eccellenti i capitoli dedicati alla guerra navale nel
Settecento-Ottocento (il che fa ancor di più rimpiangere la diseguale
trattazione per l’antichità) e alla Guerra di Secessione americana:
quest'ultimo, un vero gioiellino storiografico, per conoscenza
delle questioni e obiettività. Del resto, molto originale anche il capitolo dedicato alle Guerre coloniali, argomento di solito non
sufficientemente sviluppato dalla trattatistica standard ( tra l’altro,
già anticipato, alcuni capitoli prima, nell’analisi della Guerra
d’Indipendenza americana). Visani coglie molto bene la natura
anticipatoria degli eventi, sia sul piano dei sistemi di arma, sia su quello
del cittadino soldato politico, sia su quello della guerra, che oggi definiamo
asimmetrica: per bande, guerriglia e soprattutto terroristica. Ma individua anche, con l'occhio allenato dello storico, quel misoneismo, che spesso caratterizza i contemporanei. Come ad esempio allora avvenne a proposito della mitragliatrice, del trinceramento e dei campi di concentramento per le popolazioni civili riottose. Con la Prima Guerra Mondiale, alle cui soglie il libro si chiude, tutto andrà a posto. Per così dire, la dissonanza cognitiva si ricomporrà. Sul campo.
Della "Grande Guerra", frutto di profonde istanze talassocratiche, Visani si occuperà, come anticipato, nel secondo volume. In qualche misura (questa però è mia), la storia
della guerra sembra procedere, lungo i millenni, da un mare all’altro, dall’Egeo all’Atlantico, dall'Atlantico al Pacifico e poi di nuovo indietro, fino al Mediterraneo orientale, dove l'atmosfera, proprio di questi tempi, sembra essersi nuovamente arroventata.
Nel
Novecento, tuttavia, lo sguardo dei popoli, inquieto, si volgerà verso cielo. Sia
nel senso dei sistemi d’arma, sia in quello delle fedi, politiche e religiose. Perché sarà guerra totale. Di acqua, terra e soprattutto aria. A Piero Visani, il compito di spiegarci, nel secondo volume, come e perché. Ad maiora!
Carlo Gambescia