martedì 10 luglio 2018

Guerra, una storia


Ricordavo,  di Piero Visani, storico militare e giornalista, alcuni  densi  articoli su “Linea”,   dedicati  al tema  del suo ultimo libro, Storia della guerra dall’antichità al Novecento (Oaks Editrice, 2018, pp. 190. euro 18,00). All’epoca,  affascinato dal sapere di Visani,  pregustavo il piacere di veder riunito e sviluppato in volume  un materiale così interessante.  E così è stato.
Ho tra le mani il primo di due tomi, il secondo sarà dedicato alle  Guerre Mondiali e alla movimentazione politica e bellica indotta.
Diciamo subito che lo stile è eccellente. Il che non sempre è scontato, dal momento che scrivere di storia è una cosa, scrivere bene un’altra.  Visani ha stile nitido e coinvolgente.
Quanto ai contenuti, va subito sottolineato (non è una critica) che la distribuzione della materia è alquanto diseguale:  poco  meno  di quaranta pagine su  poco più di centosessanta (di testo) sono dedicate all' antichità e al medioevo; all' età moderna una quarantina,  mentre al solo Ottocento sessanta pagine. Per inciso, densissima  e accurata la bibliografia ( venticinque pagine).
A dire il vero, la  particolare  scelta distributiva risale a Visani. Insomma,  è  intenzionale:  "Si tratta -  scrive -  di un libro assai sintetico, che cerca di evidenziare gli aspetti che sono apparsi di maggior rilievo all'autore, che talvolta mescolo deliberatamente la trattazione storica con riferimenti ed esperienze di carattere personale" (p. 9). Ciò significa che  Modernità e Otto-Novecento sono  giudicati dal punto di vista della teoria e pratica militari  il top del top. Visione, storicamente evolutiva, che sarebbe piaciuta anche a un pacifista e progressista (ante litteram)  come il marchese di Condorcet.
Effettivamente,   Visani non perde un colpo.  L’essenziale c’è tutto. Certo, su  Atene e  la sua flotta si sorvola. Stesso discorso per Roma, che rubò l’arte ai Cartaginesi, facendo di necessità virtù. Di Bisanzio forse si poteva ricordare, al di là della questione generale (ben posta comunque), di  come,  mescolando sapientemente,  sapere militare e arti diplomatiche,  svuotò il potenziale imperialistico delle  Crociate,  almeno fino alla Quarta. Steven Runciman (tra l'altro citato) ne parla diffusamente, con decorosa invidia britannica.  
Ottimo il capitolo sugli Arabi, dove ben si coglie il cambiamento di prospettiva in direzione della guerra religiosa (ma molto  ideologica, nel senso dell'avversione, di principio,  per l' altro da sé). Non da meno quelli  sui Condottieri ( figure di solito sottovalutate  nelle storie in argomento, non però negli studi di Piero Pieri,  storico con il quale, crediamo, Visani si sia laureato) e sul Tercio (la grande fanteria spagnola,  per eccellenza) . Visani  coglie  molto  bene  anche il significato storico e militare della Guerra dei Trent’anni,  nel senso  di una   post-secolarizzazione dei conflitti,  il che non significa che le guerre, dopo la pace di Westfalia,   si tramutarono  in scambi di affettuosità. In effetti, ci fu un calo della tensione bellica, nonostante Luigi XIV e i suoi teorici della pre- LineaMaginot.  E  nel secolo successivo, la Prussia di Federico il Grande ne approfittò per armarsi fino ai denti.
Si potrebbe parlare per il Settecento di una decrescita quasi felice, dei mezzi e risorse (di ogni tipo), in ambito militare,  andata poi perduta con la Rivoluzione francese  e l’arrivo di Napoleone, massimo  teorico dell’offensivismo e degli  attacchi di massa per colonne:  nemico insomma  di quel  difensivismo settecentesco, per alcuni quasi un grazioso minuetto,  teso  a risparmiare uomini, mezzi e popolazioni. Offensivismo che invece, alla lunga, perderà Napoleone, inceneritore di combustibile  umano,  come avviene  regolarmente al tavolo del poker, quando le risorse economiche non sono infinite.
Al dualismo, da manuale,  tra guerra di offesa e difesa,  che va  al di là dei ghirigori morali su guerra giusta e ingiusta,  un dualismo, ma dimenticarlo, che  ha solcato concettualmente la storia della guerra,  Visani dedica, qui e là, pagine interessanti.  Si tratta di una questione  aperta, oggi resa ancora più complicata  dalla tecnologia.  Meglio difendersi o attaccare per primi?   Visani, da acuto storico (belle le annotazioni sugli antichi romani del vis pacem  para bellum) risponderebbe che attaccare per primi è ottima cosa, ma che per farlo, semplificando, si deve essere primi -  o quanto meno ci si deve sentire tali -  anche nella vita, per così dire.  Si chiama consapevolezza dei propri valori. E volontà di lottare per essi. Per inciso,  l'Occidente è avvisato. Ovviamente, il consiglio è mio: perché Visani - pur nell'equidistanza, peraltro ammirevole dello storico -  si metterebbe a ballare la rumba  in caso di spengleriana caduta.    
Battute a parte, sproporzionato,  per l'economia del volume, anche cognitiva,  sembra invece lo spazio concesso alle tre  guerre del Risorgimento italiano , tra l’altro lungo le linee di una storiografia revisionista, per citare da Maturi  (nel senso della linea Cattaneo-Spellanzon-Pieri), non proprio amichevole verso Cavour, moderati e diadochi della Destra storica.  Un revisionismo (per carità, da palati sottili, nulla a che vedere con la canea postborbonica di oggi), poi sposato anche da Gramsci e dalla storiografia fascista, non però strettamente volpiana: un revisionismo, ripetiamo, anche da socialismo tricolore,  che piaceva a Giano Accame, ad esempio.  E che  cercava l' isola della "guerra di popolo"  (di contro, la "guerra regia") che non c’era e non poteva esserci…  Crediamo, che di ciò, Visani, che conosce i vizi e virtù  di Clio,  sia perfettamente consapevole.
Nella media, per così dire,  i capitoli dedicati alla Guerra di Crimea e alla Guerra Franco-Prussiana. Del primo,  si segnala, ottimamente colto,  il nascente contrasto tra quello che poi ai giorni nostri  sarà definito giornalismo embedded  e non embedded.  Di Napoleone III,   invece Visani ricorda l'attenzione verso la tecnologia militare, ma anche l'ingenuità nel  fidarsi troppo o troppo poco dei suoi generali.  E probabilmente pure del nemico Bismarck.      
Piero Visani
Eccellenti i capitoli dedicati  alla guerra navale nel Settecento-Ottocento (il che fa ancor di più rimpiangere la diseguale trattazione per l’antichità) e alla Guerra di Secessione americana:  quest'ultimo,  un vero  gioiellino storiografico, per conoscenza delle questioni e obiettività. Del resto,  molto originale anche il capitolo dedicato alle  Guerre coloniali, argomento di solito non sufficientemente sviluppato dalla trattatistica standard ( tra l’altro, già anticipato, alcuni capitoli prima,  nell’analisi della Guerra d’Indipendenza americana).  Visani coglie molto bene la natura anticipatoria degli eventi, sia sul piano dei sistemi di arma, sia su quello del cittadino soldato politico, sia su quello della guerra, che oggi definiamo asimmetrica: per bande,  guerriglia  e soprattutto terroristica. Ma  individua anche, con l'occhio allenato dello storico, quel misoneismo, che spesso caratterizza i contemporanei.  Come ad esempio allora avvenne a proposito della mitragliatrice, del trinceramento e dei campi di concentramento per le popolazioni civili riottose.  Con la Prima Guerra Mondiale, alle cui soglie il libro si chiude, tutto andrà a posto.  Per così dire, la dissonanza  cognitiva  si  ricomporrà. Sul campo.
Della  "Grande  Guerra", frutto di profonde istanze talassocratiche,  Visani si occuperà, come anticipato,  nel secondo volume.   In qualche misura (questa però è mia), la storia della guerra sembra procedere, lungo i millenni,  da un mare all’altro, dall’Egeo all’Atlantico, dall'Atlantico al Pacifico e poi di nuovo indietro, fino  al Mediterraneo orientale, dove l'atmosfera,  proprio di questi tempi,  sembra essersi nuovamente arroventata.    
Nel Novecento, tuttavia,  lo sguardo dei popoli,  inquieto,  si  volgerà verso  cielo.   Sia nel senso dei sistemi d’arma, sia in  quello  delle fedi, politiche e religiose. Perché  sarà guerra totale.  Di acqua, terra e soprattutto aria.  A Piero  Visani,   il compito di spiegarci, nel secondo volume, come e perché. Ad  maiora!    
Carlo Gambescia