martedì 17 luglio 2018

Gli  Scritti postumi (1757-2006) di Montesquieu a cura di Domenico Felice
 Un liberale triste

http://www.giunti.it/libri/filosofia/scritti-postumi-1757-2006/

Ci siamo già occupati  della eccellente  edizione di Tutte le opere (1721-1754) di Montesquieu, magnificamente curata da Domenico Felice, professore  di Storia della Filosofia dell’Università di Bologna,  massimo specialista,  non  solo italiano, dell’opera di quello che può essere considerato, a tutti gli effetti, il padre delle moderne scienze politiche e sociali (*). 
Ovviamente, un’ affermazione del genere,  non potrà  non scatenare  le  reazione dei vari specialisti, dai sociologi, immersi nel presente della politica sociale,  che  non studiano più la storia disciplinare, agli storici delle idee,  che di genealogia in genealogia  risalgono  spesso fino ad Adamo ed  Eva, ignorando l'animus delle questioni
Esageriamo?  Diciamo che  si tratta di un aspetto sociologico  che Domenico Felice coglie perfettamente  nella sua nota editoriale  al volume che abbiamo tra le mani,  dove sono  raccolti  gli  Scritti Postumi (1757-2006)  di Montesquieu, “stessa  strada, stessa porta”,  per dirla con Lucio Battisti, nel senso che si tratta del secondo volume delle Opere,  pubblicato  in quel gioiello di collana  filosofica  che  risponde al nome glorioso de "Il Pensiero Occidentale" (**).  Per  inciso, ne seguirà un terzo, l’ultimo,  che raccoglierà lo Spicilège e   Geographica II (il primo in veste integrale,  il secondo parziale),  qualche scritto privato e la Correspondance.  Se ci  si perdona la caduta di stile,  ma i tempi populisti, forse, consentono: pancia, anzi mente mia (nostra), fatti capanna... Inutile ricordare l'imponenza dell'apparato critico. Siamo a livelli scientifici altissimi (sia dia un'occhiata, su questa pagina,  alle riproduzioni dell'Indice generale:  iconografia, parola grossa per un modesto blog, che però  ha un suo perché).
Dicevamo di  un aspetto sociologico, ben colto dal curatore. Quale?  Il professor  Felice,  molto opportunamente cita Berlin, teorico degli effetti perversi delle azioni sociali  e profeta,  spesso dimenticato,  del realismo politico.  Parliamo di quel   fenomeno   altrimenti conosciuto  come eterogenesi dei fini. Che, di regola,   una sociologia costruttivista, pronta  a farsi stampella dell’interventismo politico,  ignora totalmente, confidando fin troppo nelle  "sorti progressive", derise da Leopardi (forse troppo...).
Ora, Montesquieu,  si presenta come il primo paladino, sociologicamente  parlando,  di una idea chiave, non del tutto in sintonia, con la marcia trionfale dell'Illuminismo. Quale? Egli oppone alla felicità la libertà (riprendiamo l'intuizione del professor Felice...).  Di più:  libertà in senso relativistico, quella che un determinato contesto, garantisce e condivide…  Quindi, libertà al plurale: le libertà.  Si dirà, ma allora Adam Smith?  E ancora prima Locke? Per fare solo due nomi importanti del Gotha protoliberale.
Semplificando al massimo,  Smith  identifica la libertà  con gli interessi, Locke con l’esercizio della proprietà (senza però gli eccesso imputatigli  ingiustamente dal Macpherson), Montesquieu, pur non disdegnando  gli interessi e i parafernalia proprietari,  crede nella forza moderatrice dell'interesse (qui siamo debitori di Hirschman), non tanto  in sé per sé (come mano invisibile),  quanto come  sforzo, meglio ancora se  individuale,  nel  dominare le passioni, e  in primo luogo, la passione delle passioni:  quella per il potere troppo esteso (inteso come  pervasiva mano visibile).
Ciò significa che Montesquieu  non ritiene possibile che la mano visibile e la mano invisibile siano sufficienti,  al buon vivere sociale,   soprattutto se e quando agiscono separatamente:   l'equilibrio sociale (o pace, in senso filosofico- politico) può essere raggiunta solo attraverso il giusto trade off tra  le due mani, frutto di un sistema di istituzioni, rispettoso dei meccanismi sociali  segnati da un costume,  che riflette  principi  e cause (la "natura",  per cui agiscono le istituzioni), storicamente e sociologicamente determinati,  quali  proprietà assolute di  ogni sistema sociale, per  usare la terminologia di Talcott Parsons,  altro maestro dimenticato, ma del secolo XX.   
Tagliare questo nodo,  ricorrendo alla  pura e semplice  volontà di semplificare le cose, tipica del profeta sociale di turno (ma anche del tecnocrate, si badi bene), significa ignorare  gli effetti perversi delle azioni sociali: quel volere il bene di tutti, in chiave ideale, dunque la felicità, per poi ottenere, in pratica,  il male, per ogni singolo, dunque l’infelicità.  Andare insomma, semplificando, contro principi e cause delle cose sociali:  totalitarismo (di destra o sinistra) docet.   Il che rinvia al senso sociale delle cose, non in  chiave olistica,  ma di flusso e riflusso (la classica curva a campana) dei fenomeni sociali.
Ora, in molti degli  scritti confluiti  nel volume curato da Domenico  Felice, in collaborazione con altri specialisti e traduttori, tutti bravissimi, è  possibile  ritrovare le tracce di ciò  che può essere chiamato il realismo sociale di Montesquieu.  Bisogna leggere con attenzione, soffermarsi e riflettere: la scelta è molto ampia si va   dalla  Mémoire sur les dettes de l’État (1715) all’ Essai sur goût e  Mémoire sur le silence à imposer sur la Constitution (1753-1755), Pensées (1720-1755) e Voyage[s] (1728-1732) fino  all’’Essai sur les causes qui peuvent affecter les esprit et les caractères. (1734-1738 ca.).   
La  raccolta include  anche  scritti  scientifici (1716-1726)  come nel caso del  Discours de la cause de l’écho;  monografie   filosofiche e morali : si pensi  a l’Éloge de la sincerité (1719 ca.)  e  De la considération et de la réputation (1725);   lavori  poetici e  discorsi come i versi À Dassier (1753), nonché  il Discours de réception à l’Académie française  (1728), infine  romanzi filosofici come l’Histoire véritable (1734-1739 ca.) e  Arsace et Isménie (1748-1754 ca.).

Naturalmente, per ragioni di spazio (e leggibilità),  la lista non è completa. Il che valga però  come invito alla lettura di questa bella raccolta...
Esiste   poi  un  nodo  di fondo in Montesquieu: quello del ruolo della  politica e di come coniugarla  con il rispetto delle libertà, storicamente condizionate, dai costumi e dai principi e cause  che animano, "naturalizzandoli" (nel senso però di "seconda natura" culturale),  i diversi sistemi sociali.  Sotto questo aspetto la lettura  delle  Pensées  (pp. 1440-2567),  per consistenza di pagine,  quasi la metà del volume, risulta fondamentale. Un'occasione ( e sfida) euristica  da non perdere. Giustamente, come nota  Domenico Felice,

«le Pensées, d’altro canto, non solo costituiscono il più rilevante e coinvolgente “serbatoio”  montesquieuiano di riflessioni, congetture e confutazioni a noi giunto. Il Presidente,  vi attinge, sì, non pochi materiali per pressoché tutti i “parti intellettuali” – realizzati, abbozzati o solo immaginati - ,  ma esse possono e forse debbono al medesimo tempo considerarsi una composizione autosufficiente da ogni punto di vista. Le Pensées rappresenterebbero, allora, non un mero “cantiere”, bensì molto di più: in verità, in numerosissimi casi esse si spingono assai al di là di quanto ci consegnano i libri stampati  ed è possibile, pertanto, considerarle un’opera a sé stante, una creazione del tutto autonoma. Tale testo dà anche conto di un Montesquieu affatto “intimo”, che  manifesta, tra l’altro,  interessi ben più vari, ampi e approfonditi  di quanto non emerga dalle opere edite, e ancor più ricchi di humanitas genuina, di profonda attenzione alla diverse sfumature della natura e della storia, cosi come a quelle che contraddistinguono la vita specifica degli esseri viventi” ( Nota al testo, p. 1431).  

Humanitas, il lettore prenda appunto. Soprattutto,  di questi (brutti) tempi in cui le sfumature costano e si contabilizza  perfino la disperata  banalità del mare.  E non aggiungiamo altro.
Dicevamo,  prima, del ruolo che Montesquieu attribuisce alla  politica.  Ruolo  lapidario:  il politico - se inteso come sfera autonoma -   può essere definito uno spettatore storico. Ma non un lugubre convitato di pietra: pensiamo  a un  notaio, inflessibile. Di che cosa?   Dei  giganteschi movimenti di popoli e istituzioni. Si chiama anche "restare a guardia dei fatti". E registrare.  Lasciamo la parola a Montesquieu.

«100. Di tanto in tanto nel mondo avvengono inondazioni di popoli che introducono dappertutto i loro usi e costumi; l’inondazione dei mamomettani ha portato con sé il dispotismo, quella dei popoli del Nord [d’Europa] il governo dei nobili. Ci sono voluti Novecento anni  per abolire quest’ultimo governo e istituire in ogni stato il governo di uno solo. Le cose rimarranno tali e quali e sembra probabile che si arriverà secolo dopo secolo, ad una forma estrema di obbedienza, fino a che un qualche caso non cambierà la predispozione mentale e renderà gli uomini indocili quanto loro erano un tempo. Ecco come vi è stato un flusso e riflusso di dominio e libertà (I miei pensieri,  p. 1497). 


La politica, allora,  come  prolungamento del potere sociale, a sua volta dettato  dalla dialettica  tra dominio e  libertà.  Di qui, il senso dell’attesa storica,  notarile se si vuole,  anche però come   possibilità -  entro certi limiti  -  di gestire istituzioni, che secondo  il contesto (cause e principi di un sistema sociale), consentano  la migliore forma di governo possibile.   Fermi restando,  il ruolo del caso (oggi diremmo il “cigno nero”, così di moda)  e della necessità:  la natura del clima e delle istituzioni politiche. Parliamo (seguendo Montesquieu) della costituzione sostanziale, che pesa,  eccome.
Determinismo, forse, e  di quello buono?  Sì, ripetiamo,  un lato notarile sussiste. Resta innegabile.  Ma Montesquieu   tiene conto, come dicevano,  anche  degli effetti perversi delle azioni sociali, soprattutto quando le passioni dominano sugli interessi, non tanto dei singoli, quanto delle istituzioni. E puntano sulla mission impossible della grande riforma sociale. Hayek lo chiama  - giustamente - costruttivismo. Sicché,  anche il più bravo dei notai non può restare impassibile. Perciò essere consapevoli, come il protoliberale Montesquieu,  che gli uomini  tendendo a  semplificare le cose, provocando impreviste conseguenze, spesso disastrose, è  già un bel passo in avanti. Di più,  una eredità da difendere.  
Montesquieu, come sistema di pensiero (per così dire),  resta una specie di crocevia tra un liberalismo triste (proto o meno), consapevole degli istinti carnivori dell’uomo  e un determinismo, che,  per quanto moderato,  non può non prendere atto  della  curva a campana inevitabilmente  delineata dal ciclo del dominio e della libertà (***).  Siamo davanti a una scienza politica e sociale  che può insegnarci ancora molto.  Anche come difendersi dai populismi e dagli analfabeti funzionali che credono di restituire dignità agli uomini  aumentando le pensioni minime. Con le mancette...  Ma questa è un'altra storia. Da buco della chiave.
https://polinice.org/2013/11/05/le-virtu-nascoste-della-scalinata-di-trinita-dei-monti/
Nessuna critica, allora? Una sì. Come "cittadino romano", se si vuole " Romano de Roma" , chi scrive, non  perdonerà mai  al   Montesquieu dei  Voyage[s],  fra le tantissime, acute,  osservazioni, il giudizio, esteticamente ingiusto, sulla “Scalinata di Trinità dei Monti”, allora  nuova di zecca…

«[…] È di cattivo gusto. Manca  di una specifica architettura e quasi non si vede nemmeno, tranne le prime rampe. Misura all’incirca un decimo di miglio e , fin dall’inizio, le rampe scompaiono. Occorreva fare un  bel lavoro e disporre delle belle colonne. Del resto,  era un’opera  tanto scadente che in parte è crollata» (Viaggio in Italia, Roma, Primo Soggiorno, p. 571).

Capito? Andavano disposte "delle belle colonne". E perché non un bel timpano?  Un frontone? Eccetera, eccetera?   Diciamo che nessuno è perfetto.  Neppure Montesquieu.  

Carlo Gambescia


(*)  Sempre qui:  https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2015/01/il-libro-dellasettimana-montesquieu_29.html  .
(**)  Montesquieu,  Scritti postumi (1757-2006) I miei pensieri - I miei viaggi - Romanzi filosofici - Memorie e discorsi accademici - Poesie, a cura di  Domenico Felice,   Bompiani Il Pensiero occidentale, Giunti Editore S.p.A /Bompiani, Firenze-Milano 2017, pp.  LXXXI- 2668. Si vedano anche il sito del curatore,  http://www.domenicofelice.it/montesquieu-4/,  nonché la "Biblioteca elettronica"  su Montesquieu:   http://www.montesquieu.it/main.htm .  Indispensabili strumenti di lavoro.    
(***)  In argomento si rinvia al  nostro Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2012.