Gli Scritti postumi (1757-2006) di Montesquieu a cura di Domenico Felice
Un liberale triste
http://www.giunti.it/libri/filosofia/scritti-postumi-1757-2006/ |
Ci siamo già occupati della eccellente edizione di Tutte le opere (1721-1754) di Montesquieu, magnificamente curata da
Domenico Felice, professore di Storia della Filosofia dell’Università di
Bologna, massimo specialista, non solo italiano, dell’opera
di quello che può essere considerato, a tutti gli effetti, il padre delle moderne
scienze politiche e sociali (*).
Ovviamente,
un’ affermazione del genere, non
potrà non scatenare le reazione dei vari specialisti, dai sociologi, immersi nel presente della politica sociale, che non studiano più la storia disciplinare, agli storici delle idee, che di genealogia in genealogia risalgono spesso fino ad
Adamo ed Eva, ignorando l'animus delle questioni
Esageriamo? Diciamo che si tratta di un aspetto sociologico che Domenico Felice coglie perfettamente nella sua nota editoriale al volume che abbiamo tra
le mani, dove sono raccolti gli Scritti
Postumi (1757-2006) di
Montesquieu, “stessa strada, stessa
porta”, per dirla con Lucio Battisti,
nel senso che si tratta del secondo volume delle Opere, pubblicato in
quel gioiello di collana filosofica che risponde al nome glorioso de "Il Pensiero Occidentale" (**). Per inciso, ne seguirà un terzo, l’ultimo, che raccoglierà lo Spicilège e Geographica II (il primo in veste integrale, il secondo
parziale), qualche scritto privato e la Correspondance. Se ci si perdona la caduta di stile, ma i tempi populisti, forse, consentono: pancia, anzi mente mia (nostra), fatti capanna... Inutile ricordare l'imponenza dell'apparato critico. Siamo a livelli scientifici altissimi (sia dia un'occhiata, su questa pagina, alle riproduzioni dell'Indice generale: iconografia, parola grossa per un modesto blog, che però ha un suo perché).
Dicevamo di un aspetto sociologico, ben colto dal curatore. Quale? Il professor Felice, molto opportunamente cita Berlin, teorico degli effetti perversi delle azioni sociali e profeta, spesso dimenticato, del realismo politico. Parliamo di quel fenomeno altrimenti conosciuto come eterogenesi dei fini. Che, di regola, una sociologia costruttivista, pronta a farsi stampella dell’interventismo politico, ignora totalmente, confidando fin troppo nelle "sorti progressive", derise da Leopardi (forse troppo...).
Dicevamo di un aspetto sociologico, ben colto dal curatore. Quale? Il professor Felice, molto opportunamente cita Berlin, teorico degli effetti perversi delle azioni sociali e profeta, spesso dimenticato, del realismo politico. Parliamo di quel fenomeno altrimenti conosciuto come eterogenesi dei fini. Che, di regola, una sociologia costruttivista, pronta a farsi stampella dell’interventismo politico, ignora totalmente, confidando fin troppo nelle "sorti progressive", derise da Leopardi (forse troppo...).
Ora, Montesquieu,
si presenta come il primo paladino, sociologicamente parlando, di una idea chiave, non del tutto in sintonia, con la marcia trionfale dell'Illuminismo. Quale? Egli oppone alla felicità la libertà (riprendiamo l'intuizione del professor Felice...). Di più: libertà
in senso relativistico, quella che un determinato contesto, garantisce e
condivide… Quindi, libertà al plurale: le libertà. Si dirà, ma allora Adam
Smith? E ancora prima Locke? Per fare
solo due nomi importanti del Gotha protoliberale.
Semplificando al massimo, Smith identifica la libertà con gli interessi, Locke con l’esercizio della proprietà (senza però gli eccesso imputatigli ingiustamente dal Macpherson), Montesquieu, pur non disdegnando gli interessi e i parafernalia proprietari, crede nella forza moderatrice dell'interesse (qui siamo debitori di Hirschman), non tanto in sé per sé (come mano invisibile), quanto come sforzo, meglio ancora se individuale, nel dominare le passioni, e in primo luogo, la passione delle passioni: quella per il potere troppo esteso (inteso come pervasiva mano visibile).
Ciò significa che Montesquieu non ritiene possibile che la mano visibile e la mano invisibile siano sufficienti, al buon vivere sociale, soprattutto se e quando agiscono separatamente: l'equilibrio sociale (o pace, in senso filosofico- politico) può essere raggiunta solo attraverso il giusto trade off tra le due mani, frutto di un sistema di istituzioni, rispettoso dei meccanismi sociali segnati da un costume, che riflette principi e cause (la "natura", per cui agiscono le istituzioni), storicamente e sociologicamente determinati, quali proprietà assolute di ogni sistema sociale, per usare la terminologia di Talcott Parsons, altro maestro dimenticato, ma del secolo XX.
Semplificando al massimo, Smith identifica la libertà con gli interessi, Locke con l’esercizio della proprietà (senza però gli eccesso imputatigli ingiustamente dal Macpherson), Montesquieu, pur non disdegnando gli interessi e i parafernalia proprietari, crede nella forza moderatrice dell'interesse (qui siamo debitori di Hirschman), non tanto in sé per sé (come mano invisibile), quanto come sforzo, meglio ancora se individuale, nel dominare le passioni, e in primo luogo, la passione delle passioni: quella per il potere troppo esteso (inteso come pervasiva mano visibile).
Ciò significa che Montesquieu non ritiene possibile che la mano visibile e la mano invisibile siano sufficienti, al buon vivere sociale, soprattutto se e quando agiscono separatamente: l'equilibrio sociale (o pace, in senso filosofico- politico) può essere raggiunta solo attraverso il giusto trade off tra le due mani, frutto di un sistema di istituzioni, rispettoso dei meccanismi sociali segnati da un costume, che riflette principi e cause (la "natura", per cui agiscono le istituzioni), storicamente e sociologicamente determinati, quali proprietà assolute di ogni sistema sociale, per usare la terminologia di Talcott Parsons, altro maestro dimenticato, ma del secolo XX.
Tagliare
questo nodo, ricorrendo alla pura e semplice volontà di semplificare le cose, tipica del profeta sociale di turno (ma anche del tecnocrate, si badi bene), significa ignorare gli effetti perversi delle azioni sociali: quel volere il bene di tutti, in chiave ideale, dunque la felicità, per poi ottenere, in pratica, il
male, per ogni singolo, dunque l’infelicità. Andare insomma, semplificando, contro principi e cause delle cose sociali: totalitarismo (di destra o sinistra) docet. Il che rinvia al senso sociale delle cose, non in chiave olistica, ma di flusso e riflusso (la classica curva a campana) dei fenomeni sociali.
Ora, in molti degli scritti confluiti nel volume curato da Domenico Felice, in collaborazione con altri specialisti e traduttori, tutti bravissimi, è possibile ritrovare le tracce di ciò che può essere chiamato
il realismo sociale di Montesquieu. Bisogna leggere con attenzione, soffermarsi
e riflettere: la scelta è molto ampia si va dalla Mémoire sur les dettes de l’État (1715) all’ Essai sur goût e Mémoire sur le silence à imposer sur la Constitution (1753-1755), Pensées (1720-1755) e Voyage[s] (1728-1732) fino all’’Essai sur les causes qui peuvent affecter
les esprit et les caractères. (1734-1738 ca.).
La raccolta include anche scritti scientifici (1716-1726) come nel caso del Discours
de la cause de l’écho; monografie filosofiche e morali : si pensi a l’Éloge de la sincerité (1719 ca.) e De la
considération et de la réputation (1725); lavori poetici
e discorsi come i versi À Dassier (1753), nonché il Discours de réception à l’Académie
française (1728), infine romanzi filosofici come l’Histoire véritable (1734-1739 ca.) e Arsace et Isménie (1748-1754 ca.).
Naturalmente, per ragioni di spazio (e leggibilità), la lista non è completa. Il che valga però come invito alla lettura di questa bella raccolta...
Naturalmente, per ragioni di spazio (e leggibilità), la lista non è completa. Il che valga però come invito alla lettura di questa bella raccolta...
Esiste poi
un nodo di fondo in Montesquieu: quello del
ruolo della politica e di come coniugarla con
il rispetto delle libertà, storicamente condizionate, dai costumi e dai
principi e cause che animano, "naturalizzandoli" (nel senso però di "seconda natura" culturale), i diversi sistemi sociali. Sotto questo aspetto la lettura delle Pensées (pp. 1440-2567), per consistenza di pagine, quasi la metà del volume, risulta fondamentale. Un'occasione ( e sfida) euristica da non perdere. Giustamente,
come nota Domenico Felice,
«le
Pensées, d’altro canto, non solo costituiscono il più rilevante e coinvolgente
“serbatoio” montesquieuiano di
riflessioni, congetture e confutazioni a noi giunto. Il Presidente, vi
attinge, sì, non pochi materiali per pressoché tutti i “parti intellettuali” –
realizzati, abbozzati o solo immaginati - , ma esse possono e forse debbono al
medesimo tempo considerarsi una composizione autosufficiente da ogni punto di
vista. Le Pensées rappresenterebbero, allora, non un mero “cantiere”, bensì
molto di più: in verità, in numerosissimi casi esse si spingono assai al di là
di quanto ci consegnano i libri stampati ed è possibile, pertanto,
considerarle un’opera a sé stante, una creazione del tutto autonoma. Tale testo
dà anche conto di un Montesquieu affatto “intimo”, che manifesta, tra l’altro, interessi ben più vari, ampi e approfonditi
di quanto non emerga dalle opere edite, e ancor più ricchi di humanitas
genuina, di profonda attenzione alla diverse sfumature della natura e della
storia, cosi come a quelle che contraddistinguono la vita specifica degli
esseri viventi” ( Nota al testo, p.
1431).
Humanitas, il lettore prenda appunto. Soprattutto, di questi (brutti) tempi in cui le sfumature costano e si contabilizza perfino la disperata banalità del mare. E non aggiungiamo altro.
Dicevamo, prima, del ruolo che Montesquieu attribuisce alla politica. Ruolo lapidario: il politico - se inteso come sfera autonoma - può essere definito uno spettatore storico. Ma non un lugubre convitato di pietra: pensiamo a un notaio, inflessibile. Di che cosa? Dei giganteschi movimenti di popoli e istituzioni. Si chiama anche "restare a guardia dei fatti". E registrare. Lasciamo la parola a Montesquieu.
Dicevamo, prima, del ruolo che Montesquieu attribuisce alla politica. Ruolo lapidario: il politico - se inteso come sfera autonoma - può essere definito uno spettatore storico. Ma non un lugubre convitato di pietra: pensiamo a un notaio, inflessibile. Di che cosa? Dei giganteschi movimenti di popoli e istituzioni. Si chiama anche "restare a guardia dei fatti". E registrare. Lasciamo la parola a Montesquieu.
«100.
Di tanto in tanto nel mondo avvengono inondazioni di popoli che introducono
dappertutto i loro usi e costumi; l’inondazione dei mamomettani ha portato con
sé il dispotismo, quella dei popoli del Nord [d’Europa] il governo dei nobili.
Ci sono voluti Novecento anni per
abolire quest’ultimo governo e istituire in ogni stato il governo di uno solo.
Le cose rimarranno tali e quali e sembra probabile che si arriverà secolo dopo secolo, ad
una forma estrema di obbedienza, fino a che un qualche caso non cambierà la
predispozione mentale e renderà gli uomini indocili quanto loro erano un tempo. Ecco come vi è stato un
flusso e riflusso di dominio e libertà (I
miei pensieri, p. 1497).
La politica, allora, come prolungamento del potere sociale, a sua volta dettato dalla dialettica tra dominio e libertà. Di qui, il senso dell’attesa storica, notarile se si vuole, anche però come possibilità - entro certi limiti - di gestire istituzioni, che secondo il contesto (cause e principi di un sistema sociale), consentano la migliore forma di governo possibile. Fermi restando, il ruolo del caso (oggi diremmo il “cigno nero”, così di moda) e della necessità: la natura del clima e delle istituzioni politiche. Parliamo (seguendo Montesquieu) della costituzione sostanziale, che pesa, eccome.
Determinismo, forse, e di quello buono? Sì, ripetiamo, un lato notarile sussiste. Resta innegabile. Ma Montesquieu tiene conto, come dicevano, anche degli effetti perversi delle azioni sociali, soprattutto quando le passioni dominano sugli interessi, non tanto dei singoli, quanto delle istituzioni. E puntano sulla mission impossible della grande riforma sociale. Hayek lo chiama - giustamente - costruttivismo. Sicché, anche il più bravo dei notai non può restare impassibile. Perciò essere consapevoli, come il protoliberale Montesquieu, che gli uomini tendendo a semplificare le cose, provocando impreviste conseguenze, spesso disastrose, è già un bel passo in avanti. Di più, una eredità da difendere.
Montesquieu, come sistema di pensiero (per così dire), resta una specie di crocevia tra un liberalismo triste (proto o meno), consapevole degli
istinti carnivori dell’uomo e un
determinismo, che, per quanto moderato, non può non prendere atto della curva a campana inevitabilmente delineata dal ciclo del dominio e della libertà (***). Siamo davanti a una scienza politica e sociale che può
insegnarci ancora molto. Anche come difendersi dai populismi e dagli analfabeti funzionali che credono di restituire dignità agli uomini aumentando le pensioni minime. Con le mancette... Ma questa è un'altra storia. Da buco della chiave.
https://polinice.org/2013/11/05/le-virtu-nascoste-della-scalinata-di-trinita-dei-monti/ |
Nessuna
critica, allora? Una sì. Come "cittadino romano", se si vuole " Romano de Roma" , chi scrive, non perdonerà mai al Montesquieu dei Voyage[s], fra le tantissime, acute, osservazioni, il giudizio, esteticamente ingiusto, sulla “Scalinata
di Trinità dei Monti”, allora nuova di zecca…
«[…] È di cattivo gusto. Manca di una specifica architettura e quasi non si vede nemmeno, tranne le prime rampe. Misura all’incirca un decimo di miglio e , fin dall’inizio, le rampe scompaiono. Occorreva fare un bel lavoro e disporre delle belle colonne. Del resto, era un’opera tanto scadente che in parte è crollata» (Viaggio in Italia, Roma, Primo Soggiorno, p. 571).
Capito? Andavano disposte "delle belle colonne". E perché non un bel timpano? Un frontone? Eccetera, eccetera? Diciamo
che nessuno è perfetto. Neppure Montesquieu.
Carlo Gambescia
(*) Sempre qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2015/01/il-libro-dellasettimana-montesquieu_29.html .
(**) Montesquieu, Scritti postumi (1757-2006) I miei pensieri - I miei viaggi - Romanzi filosofici - Memorie e discorsi accademici - Poesie, a cura di Domenico Felice, Bompiani Il Pensiero occidentale, Giunti Editore S.p.A /Bompiani, Firenze-Milano 2017, pp. LXXXI- 2668. Si vedano anche il sito del curatore, http://www.domenicofelice.it/montesquieu-4/, nonché la "Biblioteca elettronica" su Montesquieu: http://www.montesquieu.it/main.htm . Indispensabili strumenti di lavoro.
(***) In argomento si rinvia al nostro Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2012.
(**) Montesquieu, Scritti postumi (1757-2006) I miei pensieri - I miei viaggi - Romanzi filosofici - Memorie e discorsi accademici - Poesie, a cura di Domenico Felice, Bompiani Il Pensiero occidentale, Giunti Editore S.p.A /Bompiani, Firenze-Milano 2017, pp. LXXXI- 2668. Si vedano anche il sito del curatore, http://www.domenicofelice.it/montesquieu-4/, nonché la "Biblioteca elettronica" su Montesquieu: http://www.montesquieu.it/main.htm . Indispensabili strumenti di lavoro.
(***) In argomento si rinvia al nostro Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2012.