Decidere (politicamente) non è tutto
Immigrazione ed effetti perversi
Ieri
discutevo con un amico sulla relazione
tra decisioni politiche e vita quotidiana, cioè la domanda che ci si poneva riguardava e riguarda il ruolo della
decisione politica nella vita di ognuno
di noi. Insomma, quanto può incidere nell'agire quotidiano ciò che rappresenta il punto più alto, se si vuole "decisivo", del processo "politico" ?
Diciamo
subito che è un quesito moderno. La questione nasce con le carte
costituzionali, i parlamenti, le elezioni, eccetera. Quindi la domanda, che per
primi si posero gli illuministi, in
particolare quelli vicini ai monarchi, a loro volta, illuminati, rinvia a un
aspetto costruttivistico: di come sia possibile, cambiare la realtà
politica, sociale, economica a colpi di
decisioni politiche. Si chiama anche
decisionismo. Però non è detto, che la decisione sia un valore in sé, come
vedremo.
Ma,
al di là di questa precisazione - della
natura moderna del quesito - esiste un
nesso consequenziale tra decisione
politica e trasformazione della vita quotidiana? E soprattutto come
valutare la tempistica della
decisione? Quanto tempo trascorre tra la
decisione politica, l’implementazione e la socializzazione?
Si
prenda ad esempio, la questione (caldissima)
dell’immigrazione: il primo
provvedimento in materia risale alla
cosiddetta legge Martelli (1990), il
secondo rinvia alla Turco-Napolitano (1998), il terzo
alla cosiddetta Bossi-Fini (2002).
Non va dimenticato infine il cosiddetto “pacchetto di sicurezza” che nel
2009 introduce il reato di immigrazione
clandestina, poi però depenalizzato (2015)
Diciamo
che, a grandi linee, sulla carta, formalmente, la
legislazione italiana in materia si è fatta via via più
restrittiva.
Ha
funzionato? Qual è stato l’impatto sulla vita quotidiana di 28 anni di
provvedimenti? Nel 1990 gli stranieri residenti
erano 780.000. Nel 2018 sono 5 milioni. Grosso modo si è passati in
quasi trent’anni dall’1,4 all’8 per cento circa della popolazione residente (*)
Pertanto
le varie misure non hanno funzionato, perché se il compito delle leggi
era quello di tenere i flussi sotto controllo le cose sono andate in modo
molto diverso, considerando anche la stasi demografica italiana, alla luce
dello stesso apporto di natalità da parte dei residenti stranieri, che, altro
dato interessante, una volta stabilitisi in Italia, sembrano adeguarsi ai tassi di natalità italiani. Resta fuori dalla nostra analisi l’apporto
quantitativo dei clandestini, poiché non
esistono cifre sicure.
Una
precisazione necessaria: non esiste, sotto alcun sistema o regime politico,
l’implementazione perfetta. La decisione politica, può anche essere di uno solo, ma l'implementazione rinvia alla struttura esecutiva, che rimanda, a sua volta, a processi di tipo burocratico. Di
conseguenza, il margine di errore resta sempre elevato. E di riflesso, sul piano della
socializzazione, più le decisioni politiche non giungono ad effetto ( o se vi giungono, ma in modo parziale), più le aspettative dei cittadini, che ne sono
oggetto, prendono altre direzioni, quello della protesta e della defezione (voice ed exit, per dirla nell’elegante inglese delle scienze sociali), trasformandosi ,
come nel caso dell’immigrazione, in terreno
fertile per le teorie complottiste,
il populismo e
il razzismo. Il costruttivismo ha le sue controindicazioni. Purtroppo.
Insomma,
le decisioni politiche incidono sulla vita quotidiana non solo in chiave
positiva, ma anche in chiave
negativa, quando, ripetiamo non giungono
a segno. La decisione implica effetti perversi di cui i politici
dovrebbero tenere conto. Di regola però, la
risposta del politico, piuttosto rudimentale,
rinvia al meccanismo del rinforzo, come ad esempio nel caso dei provvedimenti
sull’immigrazione in Italia. Tradotto: si punta su misure sempre più
restrittive. Si fa la voce grossa. Uno
sgolarsi, come abbiamo visto, che però ha condotto a un nulla di fatto o quasi.
Pertanto,
bisogna fare attenzione alle sirene
dall’autoritarismo: a quei soggetti politici che in tema di immigrazione invocano
provvedimenti sempre più duri. Il rischio, urlando urlando, è quello, di alimentare le aspettative "etnocentrate" dei cittadini e di spostare, a causa di più che probabili fallimenti, il quadro politico ancora più a destra . Si chiama anche stato di polizia. Un mix di uniformi e inefficienza.
Cosa
fare allora? Difficile dire. Se ci chiudiamo, si rischia di
perdere preziosa forza lavoro, se non ci chiudiamo, rischiamo voragini sociali
e di bilancio. Se proviamo a controllare
i flussi, stante il margine di errore delle decisioni sociali, anche
fisiologico, si rischia di far crescere lo scontento e il risentimento, nonché di spalancare le porte a un' occhiuta e sfaticata burocrazia.
Infine, si potrebbe decidere di non decidere, controllando al minimo le frontiere, diciamo laicamente, sperando che i flussi si riducano da soli… Laissez faire, laissez passer…
Infine, si potrebbe decidere di non decidere, controllando al minimo le frontiere, diciamo laicamente, sperando che i flussi si riducano da soli… Laissez faire, laissez passer…
Una
sola cosa è certa: la decisione
politica, di per sé, non decide niente, o quasi. E anche decidere di non
decidere è una decisione… Che dire amici lettori? È la sociologia bellezza…
Carlo Gambescia
(*) Si
vedano nell’ordine: 1) : http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_POPSTRRES1 ; 2) Rapporto Caritas 2016, pp. 4-5 - http://s2ew.caritasitaliana.it/materiali/Rapporto_immigrazione/2017/Sintesi_RICM2016.pdf ; 3) Camera dei deputati 1° Rapporto
Immigrati 2007, tab.II.1, p. 53. http://www.camera.it/cartellecomuni/leg15/RapportoAttivitaCommissioni/commissioni/allegati/01/01_all_rappimmigrati.pdf .