Populismi. Quando si tocca il fondo
Schiaffoni, non guardaroba e rolex
Prima il fatto, per così dire…
«Sui social Salvini attacca il giornalista Gad Lerner che si fa
fotografare vestito di rosso. “Maglietta rossa e rolex, fantastico”, tuona
Salvini. “Tranquillo, costa sicuramente meno dei suoi numerosi cambi d’abito
quotidiani - rassicura Lerner -. Il mio è un vecchio Rolex d’acciaio comprato
nel 1992 grazie ai primi guadagni televisivi.»
Ecco a cosa è ridotto il discorso pubblico in
Italia. Difendi gli immigrati? Venditi il rolex e ospitali a casa tua. Non li difendi? Li vuoi buttare a mare? E allora indossa la maglietta rossa che le mamme dei barconi mettono ai bambini per renderli visibili ai soccorritori. Tipo campagna Benetton.
Sia come sia, questo, ormai, è il livello standard delle polemiche politiche, a destra e sinistra. Si chiama populismo. Secondo la vulgata, diffusa non solo sui i Social, i politici devono vivere in capanne, nutrirsi di bacche, imboccare poveri e malati.
Sia come sia, questo, ormai, è il livello standard delle polemiche politiche, a destra e sinistra. Si chiama populismo. Secondo la vulgata, diffusa non solo sui i Social, i politici devono vivere in capanne, nutrirsi di bacche, imboccare poveri e malati.
È
ovvio che in una società complessa, ricca, libera, concorrenziale, tutto ciò sia impossibile. Però, ecco la
grande menzogna populista, si deve
credere che tutto ciò sia ammissibile e praticabile.
Naturalmente, si tratta di una rappresentazione, alla quale in realtà non crede nessuno,
soprattutto gli stessi Social, dove invece, a destra come a sinistra, la
cultura del "difendere gli ultimi" è di gran moda. Però, la si usa come un’arma appuntita per colpire l’avversario: c'è sempre qualcuno che è più povero di te; c'è chi difende gli italiani, chi i clandestini, chi va a Porta Pia, chi ama la zia, chi prende il Sessanta, e così via...
Del resto un orologio e un abito di lusso sono qualcosa di intuitivo, giungono
a tutti, non c’è bisogno di applicarsi: siamo al livello zero della
contraddizione, infantile: “Tu hai una trombetta, io no”, “Tu hai due orsacchiotti io ne ho uno”, e così via. Dunque sul piano propagandistico si tratta
di un mezzo efficacissimo, il tasso di comprensione è quello di un bambino di sei anni.
Purtroppo, sembra non esserci rimedio. Il populismo è una forma di infantilismo politico. Si dirà,
l’infanzia è una fase della vita, si cresce, si matura, quindi si può
cambiare. Giusto. Se non che tra la
politica e l’età dell’uomo le somiglianze non sono di tipo evolutivo, ma
strutturale, nel senso che
l’infantilismo, è una costante metapolitica. Insomma, non qualcosa che ci si lascia dietro le spalle come
potrebbe essere l’infanzia, ma che si riaffaccia ciclicamente, in
genere nelle fasi di crisi, quando le classi dirigenti, fanno un passo
indietro, rifiutando le proprie
responsabilità, per caricarle, vigliaccamente, sulle spalle di un popolo, che in realtà, oltre il puro e
semplice voto - se si vuole , un sì o un no - non è in grado andare. Si chiama demagogia politica.
Nel
disorientamento generale, finiscono così per prevalere le risposte più facili,
per l’appunto infantili, demagogiche. Quindi per contrastare
il populismo serve una classe politica
dirigente (non solo politica, dunque), composta di uomini maturi (per restare in metafora), in grado di
opporsi, in primo luogo, alla
semplificazione del messaggio e, in secondo luogo, capaci di prendere quelle decisioni che un
popolo bambino non è assolutamente in grado di prendere, soprattutto se viziato dai maestri della demagogia.
Si
dirà, ma come, il liberalismo moderno si
è sviluppato intorno alla critica del “padre politico”, per esaltare quella del
figlio maturo che va per la propria strada? E ora ci si dice, che i padri,
devono tenere in pugno i figli? Come la peggiore forma di tradizionalismo
sociale?
Touché. Però se si vuole salvare il liberalismo, come
impongono le leggi della metapolitica, a partire da quelle amico-nemico, leggi o costanti che vanno oltre le ideologie e le forme di
regime, l’infantilismo politico
populista va schiacciato. E con ogni
mezzo, prima che sia troppo tardi.
Nell’antica
Roma, nelle fasi critiche, soprattutto di grave pericolo esterno ( e cosa c’è
di più lontano dal liberalismo aristocratico, della demagogia populista?),
veniva nominato un dittatore che restava in carica sei mesi. Per poi ritornare tutti, una volta superato il pericolo, alla normalità. Roma repubblicana, non era una liberal-democrazia, però, come
spiegano gli storici, a cominciare da Polibio, era un sistema misto, come le
moderne costituzioni liberali, che in
qualche modo si reggeva sui pesi e contrappesi del senato aristocratico, delle assemblee
popolari, e del potere a rotazione dei consoli
e in caso di necessità sui poteri assoluti di un dittatore pro tempore. Carica che, con Cesare, ma dopo un
lungo periodo (secolare) di sommovimenti e disastri politico-sociali, si trasformerà in carica perpetua. Ma si tratta di un’altra
storia.
Il
problema di fondo è quello di anticipare il nemico politico, schiacciarlo prima
che divenga troppo forte. E che, come capita, si diventi come lui.
Probabilmente,
siamo già in quest’ultima fase. Quindi
potrebbe essere difficilissimo intervenire: trovare un dittatore liberale. Come dicevamo, destra e sinistra sono ormai così assuefatte al discorso
pubblico populista, che discutere di orologi e abiti sembra essere la cosa più
normale del mondo, pur sapendo il populista in cuor suo, che al
posto di Salvini e Gad
Lerner si comporterebbe nello stesso modo. Ecco il lato menzognero del populismo, corrotto da invidie infantili.
Insomma, il
populista, come ogni bambino egoista,
decide lui chi far giocare con il proprio pallone. Salvo che un padre cosciente
dei propri doveri, finalmente, non decida di prenderlo a schiaffoni, ordinando di far giocare
tutti. Schiaffoni, non guardaroba, rolex e altre leziosaggini infantili...
Carlo Gambescia