Lo scontro Salvini-Boeri sulle pensioni?
C’erano
una volta i patti agrari…
Come
è cambiata la società italiana. E in meglio. Nessuno sembra però ricordarsene. In sintesi: dai contadini scalzi e affamati ai pensionati ben pettinati che santificano le grigliate.
Se una volta, ancora negli anni Cinquanta, i governi cadevano sui “patti agrari”, oggi rischiano di cadere sulle pensioni. Però, il bello (o il brutto) è che tutto il dibattito italiano sulle pensioni è viziato da alcuni sofismi, da ragionamenti cavillosi e falsi (anche se apparentemente coerenti), che non viziavano la vicenda della regolamentazione dei rapporti tra impresa agricola e manodopera, in particolare di quelle forme antichissime di relazione economica come la colonia parziaria.
Sostanzialmente si ragionava, e in modo razionale, di margini da rosicchiare. La torta era quel che era. Dopo di che la riforma agraria, lo sviluppo economico, l’apertura dei mercati mondiali, il cambiamento dei costumi, insomma il progresso sociale, resero le campagne socialmente innocue. E fu meglio così.
Se una volta, ancora negli anni Cinquanta, i governi cadevano sui “patti agrari”, oggi rischiano di cadere sulle pensioni. Però, il bello (o il brutto) è che tutto il dibattito italiano sulle pensioni è viziato da alcuni sofismi, da ragionamenti cavillosi e falsi (anche se apparentemente coerenti), che non viziavano la vicenda della regolamentazione dei rapporti tra impresa agricola e manodopera, in particolare di quelle forme antichissime di relazione economica come la colonia parziaria.
Sostanzialmente si ragionava, e in modo razionale, di margini da rosicchiare. La torta era quel che era. Dopo di che la riforma agraria, lo sviluppo economico, l’apertura dei mercati mondiali, il cambiamento dei costumi, insomma il progresso sociale, resero le campagne socialmente innocue. E fu meglio così.
Polemiche
inutili
Sulle
pensioni invece siamo dinanzi all’ inarrestabile portato
di quelle stesse trasformazioni sociali ed economiche che modificarono radicalmente la struttura lavorativa della società italiana, svuotando
giustamente le campagne e riempiendo
fabbriche e uffici. Qualcosa, che però, nel senso delle conseguenze delle conseguenze, è ancora in corso. Qualcosa da affrontare subito con mezzi adeguati e argomentazioni coerenti.
Invece, si pensi solo alla
polemica tra Salvini e Boeri, si discute, praticamente, del nulla: bolle d'aria in brutto stile... Perché, in nome dello stesso
giustizialismo sociale che ormai attraversa tutti gli schieramenti politici, si continua a dare erroneamente per scontato che l’unica base possibile di un
sistema pensionistico sia quella a
ripartizione (ci riferiamo al sistema generale, non per così dire al calcolo individuale
delle pensioni, che può essere contributivo
e retributivo, punto sul quale torneremo più avanti).
Lo schema a
ripartizione
Lo schema a ripartizione,
che è quello, a grandissime linee, ancora in funzione (soprattutto come mentalità), implica che le pensioni erogate siano pagate con i contributi di chi è in servizio. In buona sostanza l’onere pensionistico è ripartito sui
lavoratori correnti. Il tutto si regge, su un patto esplicito o meno di
solidarietà tra generazioni. Insomma, il meccanismo impone un elevato altruismo e un senso comunitario, a dir poco eroico. E spieghiamo perché.
Sociologicamente parlando, si regge su un contratto esplicito o implicito tra generazioni diverse di lavoratori (quindi assai differenti per mentalità, atteggiamenti, comportamenti), per mezzo del quale, le pensioni, per dirla in sociologhese, degli attuali attivi (che in tal modo nulla devono accantonare per il loro ciclo vitale inattivo) saranno pagate da chi lavorerà in futuro.
Insomma, si investe sulla solidarietà intergenerazionale, verso gli altri.
Sociologicamente parlando, si regge su un contratto esplicito o implicito tra generazioni diverse di lavoratori (quindi assai differenti per mentalità, atteggiamenti, comportamenti), per mezzo del quale, le pensioni, per dirla in sociologhese, degli attuali attivi (che in tal modo nulla devono accantonare per il loro ciclo vitale inattivo) saranno pagate da chi lavorerà in futuro.
Insomma, si investe sulla solidarietà intergenerazionale, verso gli altri.
Lo schema a
capitalizzazione
Ma esiste anche un altro
schema, assai diffuso nel mondo anglo-americano, quello a capitalizzazione
(ripetiamo, non si parla per ora del calcolo individuale), che consiste nella modalità per cui le risorse per il pagamento delle pensioni
provengono dalla capitalizzazione, operata da un gestore, dei contributi versati dai lavoratori e dalle imprese. Nel
sistema a capitalizzazione, i contributi versati sono investiti dal gestore in un fondo a rischio più o meno calcolato, secondo lo schema della
capitalizzazione composta. Al momento del pensionamento, il lavoratore ritira
il proprio montante contributivo, cioè quanto versato sino alla quiescenza,
maggiorato degli interessi maturati usufruendone in un’unica soluzione o sotto
forma di rendita vitalizia. Resta più che evidente, sociologicamente parlando, che il sistema a capitalizzazione, esclude
qualsiasi patto esplicito o meno tra generazioni. Non rinvia ad alcun altruismo coattivo, né comandamento comunitario, come del resto, cosa fondamentale, all' accrescimento, via deficit spending, della base
lavorativa. Siamo, insomma, agli antipodi, del mito sindacale della piena occupazione.
Insomma, si investe, sulla solidarietà generazionale, verso se stessi.
Insomma, si investe, sulla solidarietà generazionale, verso se stessi.
Chi di
ripartizione ferisce…
In qualche misura, se il
sistema a ripartizione, è costretto a
pagare il prezzo degli alti e bassi del ciclo economico (nei prezzi, materie
prime, costo e quantità del lavoro, eccetera, eccetera), quello a capitalizzazione
li asseconda, traendone il meglio nei
termini di investimenti del portafoglio titoli.
Sembra la scoperta
dell’acqua calda… Eppure in Italia, dove si è tentato con le riforme,
soprattutto tra il 1995 e il 2007, di
affiancare nel privato (parliamo sempre delle modalità generali), alla
modalità a ripartizione quella a capitalizzazione, i cosiddetti fondi pensione, tutto si è risolto in una bolla di sapone: i vettori del meccanismo a capitalizzazione non
sono mai partiti. Si è sparato a salve.
Ecco perché, come dicevamo
all’inizio, Salvini e Boeri discutono del nulla:
il sistema a ripartizione - e
Boeri da tecnico dovrebbe conoscere gli enormi
vantaggi di quello a capitalizzazione,
e invece tace - impone quote
crescenti di lavoratori attivi e correnti, che poi siano bianchi, neri, gialli, eccetera, è questione politica non economica. O comunque del tasso di razzismo condiviso o meno. Inoltre, quel che è più grave, è che il "cargo cult ripartizione" si nutre della credenza mitica in un ciclo economico, cosa praticamente impossibile, in perenne rialzo
(insomma, contraddistinto solo dagli alti..). Per contro, l’economia, tecnicamente parlando (come scienza), imporrebbe - e di corsa - il passaggio integrale al metodo a
capitalizzazione, il solo in grado di assecondare, tramite i fondi di investimento, gli alti e bassi del ciclo
economico e di "spalmarli" sul portafoglio titoli dei futuri percettori di pensioni.
E se qualche fondo dovesse comportarsi in modo disonesto? Esistono le leggi penali. Il sacrificio di alcuni, favorisce molti altri. Il rischio vale la candela: per ora, piaccia o meno, il bilancio della libertà economica risulta positivo.
E se qualche fondo dovesse comportarsi in modo disonesto? Esistono le leggi penali. Il sacrificio di alcuni, favorisce molti altri. Il rischio vale la candela: per ora, piaccia o meno, il bilancio della libertà economica risulta positivo.
Danno su danno
Inoltre, alla rigidità
dello schema a ripartizione, va ad aggiungersi il mutamento del sistema di calcolo
individuale delle pensioni, passato dal 1995 a oggi, dal metodo retributivo a quello
contributivo. In modo pasticciato però. Innanzitutto
qual è la differenza?
Nel sistema
retributivo la pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del
lavoratore: è collegata all’anzianità contributiva e alle retribuzioni, in
particolare quelle percepite nell’ultimo periodo della vita lavorativa, che di regola sono le più favorevoli; nel sistema contributivo, per contro,
l’importo della pensione
dipende dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nell’arco del ciclo lavorativo.
Dal momento però che la
modalità generale del nostro sistema è quella a ripartizione, i lavoratori correnti,
continuano, e continueranno, a pagare
la differenza: oggi, a chi è andato in pensione con il metodo retributivo, e domani, per garantire i minimi (come
impone il sistema a ripartizione fondato sul patto di solidarietà) tra coloro
che fruiscono, con il metodo contributivo, di pensioni più basse derivanti da lavori differenti, come del resto impone la divisione del lavoro sociale e le differenti competenze a capacità umane. Non tutti, pur partendo pari ai blocchi, hanno la stoffa per divenire dirigenti, tanto per dirla brutalmente.
Il prezzo
dell’anticapitalismo
Di qui, per ritornare sul punto, dal momento che ci si propone invece di conservare un sistema
integrale (più o meno) a ripartizione, sorge la necessità di un’espansione della base
lavorativa, che però non può non essere frutto di un’espansione economica, alla quale tuttavia 1) non
si può comandare, perché legata agli
alti e bassi del ciclo economico, e che 2), almeno nel mondo post-industriale, si fonda su un mercato del lavoro che muta nella composizione, nelle quantità di addetti, nelle competenze, nelle retribuzioni. Come si può intuire, il sistema a ripartizione è un circolo vizioso.
Quel che purtroppo manca all’Italia,
per così dire, delle ricorrenti, ma sempre uguali, riforme pensionistiche, è
quella vivace cultura capitalistica del merito, della responsabilità, del
profitto, valori che sono alla base del sistema a capitalizzazione.
Conclusioni o
quasi
Il lettore può perciò capire le ragioni per le quali sorvoliamo sulle batracomiomachie interne al sistema a
ripartizione: tra coloro - leggendo, magari ad alta voce, quel che segue, si usi un tono fantozziano - che sono andati in pensione con il metodo retributivo,
più favorevole (“ I parassiti dei vitalizi e pensioni d’oro”), e coloro che si apprestano o sono andati in pensione con il metodo contributivo,
meno favorevole ("L'Italia degli invisibili in cerca di dignità").
La cosiddetta battaglia “anticasta” ( a parte il numero ridottissimo ed
economicamente ininfluente dei soggetti “ a rischio”, circa trentamila) è il frutto velenoso di una cultura antimeritocratica, alla radice anticapitalista. Siamo davanti a un vero e proprio gap culturale e operativo che di rimbalzo intossica il discorso pubblico. Che finisce per svolgersi intorno al nulla e tramutarsi quasi sempre in scontro tra tifosi, per giunta della stessa squadra (quella della modalità a ripartizione), come tra Salvini e Boeri.
Servirebbe invece quella fredda lungimiranza, che accompagnò, ad esempio, il dibattito sulla riforma agraria del 1950. Ma i protagonisti erano democristiani, liberali, riformisti, capivano l' importanza di sciogliere i nodi sociali. Che Dio li benedica.
Servirebbe invece quella fredda lungimiranza, che accompagnò, ad esempio, il dibattito sulla riforma agraria del 1950. Ma i protagonisti erano democristiani, liberali, riformisti, capivano l' importanza di sciogliere i nodi sociali. Che Dio li benedica.
Carlo Gambescia
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