sabato 28 luglio 2018

Acea  
(o del  capitalismo del Cappelaio Matto)


Roma  è tappezzata di manifesti dove l’Acea, società partecipata al 51 per cento, semplificando,  dal  Comune di Roma, invita a consumare meno acqua,  perché bene prezioso. Auspice la "Sindaca" Virginia Raggi, ovviamente.
Ora,  in un paese di capitalismo normale, chi vende un qualsiasi bene, quindi anche l’  acqua, deve fare in modo che i consumi del  bene che vende  crescano, non diminuiscano. Altrimenti i profitti vanno a farsi friggere.
Di conseguenza,  invitare a consumare meno acqua è un comportamento degno del Cappellaio Matto. Non comprate i miei cappelli, perché poi finiscono,  tenevi quelli che avete... 
Chi sta sul mercato deve vendere. Si dice  però che l’acqua sia  un bene pubblico, alcuni catastrofisti ne evocano  addirittura l’ esaurimento,  quindi -  schnell, schnell! -  vanno ridotti i  consumi.
Questa filosofia è tipica della sinistra, in particolare quella con nostalgie comuniste, che  all’economia di mercato vuole sostituire l’economia di comando.   Quella delle file sovietiche, cubane, venezuelane per comprare mezzo etto di carne, una volta al mese…  E sapete per quale ragione  accade tutto ciò? Perché il "benicomunista"  (oggi lo chiamano così)  pretende di sapere quale sia il bene di ogni singolo cittadino. Il che spiega le  minacce,  i   controlli, i veti.   Si chiama anche costruttivismo. Altro nome, del totalitarismo.  
Pertanto l’approccio Acea, che per ora si limita a tappezzare Roma di occhiuti manifesti,  è  pre-totalitario.  E, soprattutto stupido,  perché  riducendosi il numero dei consumatori,  vanno a picco  i profitti, crollano gli investimenti in conto capitale, le rete idrica si invecchia,  salgono i costi di manutenzione, e così via.  
Diciamo,   decrescita infelice.  

Carlo Gambescia                       

      

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