Acea
(o del capitalismo del Cappelaio Matto)
Roma
è tappezzata di manifesti dove l’Acea,
società partecipata al 51 per cento, semplificando, dal
Comune di Roma, invita a consumare meno acqua, perché bene prezioso. Auspice la "Sindaca" Virginia Raggi , ovviamente.
Ora, in un paese di capitalismo normale, chi vende
un qualsiasi bene, quindi anche l’ acqua,
deve fare in modo che i consumi del bene che vende crescano, non diminuiscano. Altrimenti
i profitti vanno a farsi friggere.
Di
conseguenza, invitare a consumare meno
acqua è un comportamento degno del Cappellaio Matto. Non comprate i miei cappelli, perché poi finiscono, tenevi quelli che avete...
Chi
sta sul mercato deve vendere. Si dice però che l’acqua sia un bene pubblico, alcuni catastrofisti ne evocano
addirittura l’ esaurimento, quindi - schnell, schnell! - vanno
ridotti i consumi.
Questa
filosofia è tipica della sinistra, in particolare quella con nostalgie comuniste, che all’economia di mercato vuole sostituire l’economia
di comando. Quella delle file
sovietiche, cubane, venezuelane per
comprare mezzo etto di carne, una volta al mese… E sapete per quale ragione accade tutto ciò? Perché il "benicomunista" (oggi lo chiamano così) pretende di sapere quale sia il bene
di ogni singolo cittadino. Il che spiega le minacce, i controlli, i veti. Si chiama anche costruttivismo. Altro nome,
del totalitarismo.
Pertanto l’approccio Acea, che per ora si limita a tappezzare Roma di occhiuti manifesti, è pre-totalitario. E, soprattutto stupido, perché riducendosi il numero dei consumatori, vanno a picco i profitti, crollano gli investimenti in conto capitale, le rete
idrica si invecchia, salgono i costi di manutenzione, e così via.
Diciamo, decrescita infelice.
Carlo Gambescia
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