1 giugno 2019, il governo giallo-verde compie un anno
Altro che auguri…
Breve
premessa. In Italia i politologi hanno sempre dovuto fare i conti con una particolarità tipica dei sistemi proporzionali e dei governi
di coalizione: il triplice equilibrio di opposizione, interno e
ed esterno alla maggioranza di governo.
Quando
si parla di triplice opposizione? Presto detto. Quando si registrano: a) un’ opposizione interna al governo; b) un’ opposizione interna al partito che appoggia il governo, quindi
ufficiosa; c) un’opposizione esterna,
ufficiale come ad esempio l’ opposizione
parlamentare.
Ovviamente,
la tripartizione è un fenomeno moltiplicabile all’infinito per il numero dei
partiti che compongono la maggioranza e
l' opposizione. E, come ovvio, influisce, e non bene, sulla la vita dei governi, accorciandola e rendendo le decisioni politiche sempre frammentarie e provvisorie.
Nell’
Italia del dopoguerra il fenomeno ha
attraversato la Prima Repubblica , per approdare
alla Seconda e (diciamo) alla Terza, dove il governo giallo-verde, insediatosi
un anno fa, raccoglie addirittura due
forze populiste, apparentemente simili, ma in realtà molto divise: sia all’ interno, tra di loro come alleanza tra partiti, sia al loro interno come singoli partiti.
Perché
meravigliarsi allora se il governo giallo-verde, dopo appena anno, rischia di cadere?
Il
punto è un altro. Quale? Come ridurre le opposizioni da tre a una: quella ufficiale. Diciamo subito
che l’attuale legge elettorale e soprattutto la
natura parlamentare (attenzione, non la natura rappresentativa) del sistema
politico non aiutano. Anzi.
A
ciò, nel tempo, è andato
a sommarsi l’uso selvaggio di una retorica politica
dell’intransigenza innervata da contenuti sempre più illiberali. Fino a
toccare il fondo della demagogia
politica con la nascita del governo giallo-verde, marchiato, al tempo stesso dal
populismo e dalla triplice opposizione.
In
politica, piaccia o meno, le riforme elettorali, per non parlare di
quelle costituzionali, non sono viste come strumenti
neutrali, ma come armi da usare contro gli avversari. E i due partiti al
potere, per il momento non hanno alcun
interesse a modificare le regole del gioco. Il grasso del potere spesso unisce.
Ma non per sempre.
Il
che spiega perché negli ambienti
governativi e della stampa amica, si continui a parlare, con giudizi alterni, del “contratto
di governo” quale meraviglioso esempio di chiarezza e lealtà politica, oppure di trappole, neppure nascoste tanto bene.
In realtà, un contratto, proprio
perché tale è soggetto a interpretazioni, di ogni genere, già in ambito privatistico, figurarsi
sul piano politico. Lo si celebra fin quando fa comodo, per affondarlo quando non serve più.
Evidentemente, se ancora nessuno dei firmatari ha
impugnato il contratto di governo, in modo "risolutivo" se si vuole, è perché all' interno di Lega e Movimento 5 Stelle prevale l' interesse (a non farlo cadere) delle rispettive maggioranze sulle minoranze.
Per capirsi: la riconferma bulgara di Luigi Di Maio, da
parte della Piattaforma Rousseau, significa che l’opposizione interna al
Movimento Cinque Stelle è sotto controllo, almeno per ora. Quanto a Salvini, la presenza, dell’ala
economica anti-euro (Bagnai e Borghi), all’incontro ristretto con Tria, indica che anche il leader leghista,
nonostante la vittoria alle europee deve tenere a bada l’ala
massimalista. Insomma, situazione
complessa, molto "fluida" per dirla con Marco Frittella, che da eccellente giornalista post-democristiano sui triplici equilibri mostra di saperla lunga. Situazione che, comunque sia, sembra volgere al peggio.
Si potrebbe pensare che la triplice opposizione sia un altro
segno del cattivo funzionamento della
democrazia, in particolare di quella rappresentativa. E, cosa
più grave, che un governo, senza partiti
e senza triplice opposizione, affidato a
un dittatore, funzionerebbe meglio. Per non parlare, naturalmente, degli arruffoni
che inneggiano alla democrazia diretta: un grido di battaglia che come noto spalancherebbe le porte proprio alla dittatura. I problemi
di una società complessa non possono essere
affrontati con un sì o con un no, e per
giunta sulla base di incontrollabili
emozioni collettive. Sono semplificazioni pericolose.
Probabilmente,
con un dittatore, sul piano
decisionale il governo filerebbe meglio. Mentre su quello della mentalità
e degli interessi economici e sociali, fattori assai difficili
da cambiare con un colpo di spada, anche
un dittatore avrebbe serie difficoltà.
Inoltre,
in assenza di qualsiasi criterio di legalità e
pubblicità, un governo dittatoriale favorirebbe ancor di più lo scambio occulto e sarebbe di sprone,
proprio grazie alla segretezza, all’eliminazione
fisica degli oppositori politici, economici e sociali irriducibili.
Per tornare in argomento, dopo un anno di governo giallo-verde, la situazione generale dell’Italia, come provano tutti gli indicatori economici, a cominciare dallo spread, è decisamente peggiorata. Perché? Per la semplice ragione che il governo giallo-verde è riuscito nel capolavoro, per così dire, di mettere insieme i peggiori difetti della triplice opposizione e del populismo.
E se uno dei partiti riuscisse a scalzare l’altro e quindi a governare da solo? Forse verrebbe meno il fattore triplice opposizione ma non quello populista, che quanto a pericolosità ha un peso non indifferente. In ogni caso, non ne verrebbe nulla di buono.
Insomma, l'Italia si è infilata in un vicolo cieco. Si rischia veramente la tragedia politica. Nel senso, tremendo, di dover assistere impotenti alla autodistruzione del Paese.
Altro che auguri…
Carlo Gambescia