L’Umbria rossa secondo Alessandro Campi
Poverino. Non deve essere stato facile vivere in Umbria e
votare a destra o ancora peggio simpatizzare per il
Movimento Sociale. A questo pensavo, leggendo l'astioso editoriale
di Alessandro Campi sullo scandalo perugino delle
assunzioni pilotate nella sanità.
Le indagini sono in corso, eppure Campi buttandola furbamente sul politologico,
dà
il colpo di grazia a un Pd sempre più in
debito di ossigeno, per dirla con il grande Bruno Pizzul. Complimenti per il garantismo. E per il taglio popperiano.
Nella sua disamina il capo di accusa, apparentemente sociologico, è rappresentato dal clientelismo. Un fenomeno che risale ai tempi dei Romani, come giustamente nota Campi. Oggi
ripreso e sviluppato nelle democrazie da partiti sempre più ideologicamente svuotati.
Però Campi non dice che il Pci, la democrazia cristiana e lo stesso Movimento
Sociale soprattutto nel Mezzogiorno, quando i partiti ancora contavano
ideologicamente, avevano già il nome in ditta. Quindi sotto c’è qualcosa che va al di là della crisi delle ideologie.
Campi
sfiora la questione, quando accenna al keynesismo umbro: a una certa modalità dirigista di concepire il rapporto tra lo stato
(e di conseguenza la regione) e il cittadino. Che però, altra cosa ignorata, precede e di molto la religione del deficit spending.
Il
clientelismo italiano, legato al voto di
scambio (lavoro contro voto), risale al
fascismo, che in quanto partito unico, sistematizzò, per così dire, l’intera
materia, prima di allora magmatica, appena sbozzata nell’Italia liberale, dove lo
stato era molto meno intrusivo.
A dire il vero, l’ideologia della tessera, come mostrò Missiroli (La monarchia socialista), rinvia al satrapico socialismo
comunale dei primi due decenni del Novecento, che tutto controllava, tutto decideva.
Il
fascismo, che pure distrusse l’apparato clientelare socialista, istituzionalizzò
la tessera e il voto di scambio, certo in chiave totalitaria. E una volta caduto, comunisti, socialisti, democristiani e
missini ne raccolsero subito, per la felicità degli elettori, l'eredità antropologica. Ovviamente su basi democratiche e secondo
la rispettiva forza politica. Attenzione, non dico nulla di nuovo: sulla "Repubblica dei partiti" esiste una ricca letteratura scientifica.
E oggi? Le ideologie sono morte o quasi, ma il cadavere del clientelismo, chiuso nella bara, curiosamente, continua a muovere le mascelle. E Campi che fa? Se la prende con l’Umbria rossa. Con gli ultimi arrivati.
E oggi? Le ideologie sono morte o quasi, ma il cadavere del clientelismo, chiuso nella bara, curiosamente, continua a muovere le mascelle. E Campi che fa? Se la prende con l’Umbria rossa. Con gli ultimi arrivati.
Purtroppo,
il problema non nasce dalla permanenza al potere, ma dall’ideologia della tessera "per lavorare". Si tratta di una questione di antropologia sociale che ci riporta al malefico rapporto tra stato e cittadino instauratosi nel Ventennio. Ovviamente ripreso
e sviluppato dai “partiti democratici”.
Un “sistema” che quindi dobbiamo a Mussolini, già socialista e profondo conoscitore del clientelismo social-comunale, al quale il Duce mise la camicia nera. Una megamacchina, davanti alla quale i mazzieri giolittiani, e prima ancora crispini, assomigliano a pallide collegiali uscite dalle Orsoline.
Un “sistema” che quindi dobbiamo a Mussolini, già socialista e profondo conoscitore del clientelismo social-comunale, al quale il Duce mise la camicia nera. Una megamacchina, davanti alla quale i mazzieri giolittiani, e prima ancora crispini, assomigliano a pallide collegiali uscite dalle Orsoline.
Ricapitolando,
il Pci-Pd (per semplificare), non è che l’ultimo anello di una catena storica dai risvolti antropologici. Non è dunque un problema di buona o cattiva
amministrazione e di esperienza governativa o meno, ma di come ripensare, radicalmente il rapporto
tra stato e cittadino in chiave liberale. Serve un'antropologia altra.
Ovviamente
Campi, che proviene da una cultura fascista, assistenzial-clientelare, con tutta la sua scienza, non potrà mai capire
il senso della cittadinanza liberale e della libertà dalle tessere. Gli è
profondamente estraneo. Come del resto il garantismo.
A meno che non ci si chiami Gianfranco Fini...
A meno che non ci si chiami Gianfranco Fini...
Carlo Gambescia
(*) Qui l'editoriale: https://www.ilmessaggero.it/editoriali/alessandro_campi/regioni_rosse_vere_cause-4432062.html?fbclid=IwAR3VoEhqhFDP3_E1f4ToKryDS4lo5aAW0VU0IkLkjUhjgvJ77V0AiD1cUHw
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