venerdì 5 aprile 2019

Crisi europea, come uscirne?
Le tre lezioni di  Guizot



Chi legge  più  François  Guizot?   A molti lettori  il nome dirà poco o punto.   Eppure,  lo storico e  statista   liberale  che dominò la scena  politica francese  della monarchia costituzionale orleanista,  tra il 1830 e il 1848,  resta  un pensatore fondamentale. Soprattutto per “questa” Europa sempre più stregata dal fascino perverso dell’autoritarismo. Parliamo di   un’  Europa,  smarrita, assetata di plebiscitarismo.  E  oggi come ieri  recalcitrante al  principio liberale: principessa capricciosa  in attesa messianica  del suo bel  Cesare.  Allora, fu la volta  di  Napoleone III…  Oggi chi sarà  il fortunato?
Torniamo al punto. Perché leggere Guizot?  E cosa leggere?  Due opere in particolare: Storia della civiltà in  Europa, e Storia della civiltà in Francia.  Estensione editoriale  dei suoi corsi di storia moderna (1828-1830), tenuti  alla Sorbona,  prima di  spiccare il volo politico (1). 
Siamo davanti a due storie concettuali.  Che significa? Vuol dire  che lo studio dello sviluppo delle idee politiche e sociali, collegato alla loro ricaduta sociale,  ha  la meglio sulla storia degli eventi puri e semplici: battaglie e  vicende dinastiche.
Di qui,  innanzitutto,  la freschezza  di un approccio del genere.  Nonché,  il grande valore conoscitivo  della  dialettica tra libertà e autorità.  Dialettica  che  Guizot,  distinguendo tra sviluppo sociale e sviluppo interiore dell’uomo,  pone a fondamento della storia europea (2).  Per dirla in termini attuali: libertà o organizzazione?  Ecco il problema. 
Si dirà astrattezze. In realtà, non è così. Guizot, ritiene che i sistemi politici  per funzionare debbano basarsi sul giusto equilibrio  tra due fondamentali principi organizzativi: quello degli inferiori che scelgono i superiori e quello dei superiori che scelgono gli inferiori. Il punto è che non bisogna abusare dell’uno o dell’altro.
Guizot apprezza la storia della Chiesa, in cui vede un principio di  moderno liberalismo, almeno organizzativo, nell’ elezione del papa da parte dei cardinali e dei cardinali da parte del papa. Ovviamente, Guizot è consapevole della natura cooptativa di ogni  processo politico, ma ne apprezza, perché consapevole dei limiti organizzativi delle società umane,  il doppio flusso dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto: indice (e veicolo), come si intuisce, di una prudente  mobilità  politica e sociale, ma pur sempre mobilità.
Il che, tradotto in termini  moderni e con un occhio alla crisi europea, ci  ricorda che la cooptazione è inevitabile, ma che al tempo stesso può essere mitigata da un  doppio processo di selezione politica e sociale.  Se vi riuscì la Chiesa, perché non dovrebbe riuscire l’Unione Europea?  Prima lezione di Guizot.
Ciò significa che la prudenza politica, inevitabilmente,  entra in rotta di  collisione con qualsiasi approccio imprudente alla politica, di tipo ultrademocratico e socialista. La dialettica tra libertà  e autorità, messa a fuoco da Guizot,  si traduce  in  sintesi storiche sempre a rischio di infrangersi contro il  potere di troppi o di  uno solo.  Ne consegue  la necessità del governo di élite equilibrate  e prudenti.  Pronte a opporsi alle gradi semplificazioni politiche giacobine, laddove la persuasione e il libero convincimento non bastino, anche con la forza. Si pensi, per venire ai nostri giorni, all’artificiosa opposizione evocata dai populisti tra élite e popolo.  Guizot, ne sorriderebbe amaramente, perché consapevole della natura elitistica della politica.  Regolarità metapolitica che si può temperare solo con l' equilibrata cooptazione. E meno che mai,  cancellare con un colpo di bacchetta magica politica, come evocato dai populisti.  Seconda lezione di Guizot.
Infine, lo si accusa, ancora oggi,  del suo fervente sostegno  al  suffragio censitario.  Di più:   di aver invitato i francesi del suo tempo, ad “arricchirsi”, senza pensare ad altro.  Lo  si dipinge, insomma, come  un nemico del popolo.     

In realtà,  l’invito di Guizot  era rivolto a migliorare la condizione morale della Francia, dunque del popolo, di tutto il popolo,  attraverso  la crescita  economica e sociale.  In che modo però?  Non in chiave dirigista ma smithiana: puntando sulla mano invisibile degli  interessi individuali, intesi come estensione del lavoro e della virtù.  Ovviamente,  Guizot era perfettamente consapevole, come del resto Adam Smith, che la libertà, per dare buoni frutti, ha bisogno di autorità.   E dunque di una classe politica prudente,  capace  di commisurare i due principi, la cui dialettica, come si legge nelle sue opere,  aveva fatto grande l’Europa. Terra, per queste ragioni, profondamente diversa dalle geopolitiche dell’autoritarismo orientale, già immortalato da Montesquieu, e del democraticismo americano, approfondito e  temuto  da Tocqueville. Per inciso, Montesquieu, Guizot, Tocqueville, tre liberali tristi, consapevoli, in nome del realismo,  delle durezze del politico. 
La Francia, dopo aver conosciuto, grazie alle accorte politiche di Guizot, un grande progresso economico, sceglierà il plebiscitarismo napoleonico, che porterà al 1870 e, per avvitamento, al tragico balletto dei trattati  franco-tedeschi del 1871, 1919, 1940… Tutti ratificati sulla punta delle spade.
Il suffragio censitario difendeva il popolo da se stesso. Da cosa in particolare?  Da quella paradossale volontà che lo  spinge  a mordere, stupidamente, la mano che nutre.  Oggi reincarnatasi nell' insensata protesta populista.  
E questa è la terza lezione di Guizot. 

Carlo Gambescia                    

(1)  Si vedano François Guizot (1787-1874), Storia della civiltà in Europa, a cura di Armando Saitta,  Il Saggiatore, Milano  1973; Id. Storia della civiltà in Francia,  a cura di  Regina Pozzi, Utet, Torino 1974.                      
(2) In argomento,  per una dottissima ricostruzione  del pensiero di François  Guizot,  si veda Regina Pozzi,  Guizot, o dell’Europa una e molteplice,  “Cromohs” 15 (2010), pp. 1-8, consultabile qui: http://www.fupress.net/index.php/cromohs/article/view/15470/14384