Crisi europea, come uscirne?
Le tre lezioni di Guizot
Chi legge più
François Guizot? A molti lettori il nome dirà poco o punto. Eppure, lo storico e
statista liberale
che dominò la scena politica
francese della monarchia costituzionale orleanista, tra il 1830 e il 1848, resta
un pensatore fondamentale. Soprattutto per “questa” Europa sempre più stregata dal fascino perverso
dell’autoritarismo. Parliamo di un’ Europa, smarrita, assetata di
plebiscitarismo. E oggi come ieri recalcitrante
al principio liberale: principessa
capricciosa in attesa messianica
del suo bel Cesare. Allora, fu la
volta di Napoleone III…
Oggi chi sarà il fortunato?
Torniamo al punto. Perché leggere
Guizot? E cosa leggere? Due opere in particolare: Storia della civiltà in Europa, e Storia della civiltà in
Francia. Estensione editoriale dei suoi corsi di storia moderna (1828-1830),
tenuti alla Sorbona, prima di
spiccare il volo politico (1).
Siamo davanti a due storie
concettuali. Che significa? Vuol
dire che lo studio dello sviluppo delle
idee politiche e sociali, collegato alla loro ricaduta sociale, ha la
meglio sulla storia degli eventi puri e semplici: battaglie e vicende dinastiche.
Di qui, innanzitutto, la freschezza di un approccio del genere. Nonché, il
grande valore conoscitivo della dialettica tra libertà e autorità. Dialettica che Guizot, distinguendo tra sviluppo sociale e sviluppo
interiore dell’uomo, pone a fondamento
della storia europea (2). Per dirla in
termini attuali: libertà o organizzazione?
Ecco il problema.
Si dirà astrattezze. In realtà,
non è così. Guizot, ritiene che i sistemi politici per funzionare debbano basarsi sul giusto
equilibrio tra due fondamentali principi
organizzativi: quello degli inferiori che scelgono i superiori e quello dei
superiori che scelgono gli inferiori. Il punto è che non bisogna abusare dell’uno o
dell’altro.
Guizot apprezza la storia della
Chiesa, in cui vede un principio di
moderno liberalismo, almeno organizzativo, nell’ elezione del papa da
parte dei cardinali e dei cardinali da parte del papa. Ovviamente, Guizot è
consapevole della natura cooptativa di ogni processo politico, ma ne apprezza, perché
consapevole dei limiti organizzativi delle società umane, il doppio flusso dall’alto verso il basso e
dal basso verso l’alto: indice (e veicolo), come si intuisce, di una prudente mobilità
politica e sociale, ma pur sempre mobilità.
Il che, tradotto in termini moderni e con un occhio alla crisi europea, ci
ricorda che la cooptazione è inevitabile, ma che al tempo stesso può
essere mitigata da un doppio processo di
selezione politica e sociale. Se vi riuscì la Chiesa ,
perché non dovrebbe riuscire l’Unione Europea?
Prima lezione di Guizot.
Ciò significa che la prudenza
politica, inevitabilmente, entra in rotta di collisione con
qualsiasi approccio imprudente alla politica, di tipo ultrademocratico e
socialista. La dialettica tra libertà e
autorità, messa a fuoco da Guizot, si
traduce in sintesi storiche sempre a rischio di
infrangersi contro il potere di troppi o di uno solo. Ne consegue la necessità del governo di élite
equilibrate e prudenti. Pronte a
opporsi alle gradi semplificazioni politiche giacobine, laddove la persuasione e il libero convincimento non bastino, anche con la forza. Si pensi, per venire ai nostri giorni, all’artificiosa
opposizione evocata dai populisti tra élite e popolo. Guizot, ne sorriderebbe amaramente, perché
consapevole della natura elitistica della politica. Regolarità metapolitica che si può temperare solo con l' equilibrata cooptazione. E meno che
mai, cancellare con un colpo di bacchetta magica
politica, come evocato dai populisti. Seconda lezione di Guizot.
Infine, lo si accusa, ancora oggi, del suo fervente sostegno al suffragio
censitario. Di più: di aver invitato i francesi del suo tempo,
ad “arricchirsi”, senza pensare ad altro.
Lo si dipinge, insomma, come un nemico del popolo.
In realtà, l’invito di Guizot era rivolto a migliorare la condizione morale
della Francia, dunque del popolo, di tutto il popolo, attraverso
la crescita economica e sociale. In che modo però? Non in chiave dirigista ma smithiana: puntando
sulla mano invisibile degli interessi
individuali, intesi come estensione del lavoro e della virtù. Ovviamente, Guizot era perfettamente consapevole, come del
resto Adam Smith, che la libertà, per dare buoni frutti, ha bisogno di
autorità. E dunque di una classe politica prudente, capace di commisurare i due principi, la
cui dialettica, come si legge nelle sue opere, aveva fatto grande l’Europa. Terra, per queste ragioni, profondamente diversa dalle geopolitiche dell’autoritarismo orientale, già immortalato da Montesquieu, e del democraticismo americano, approfondito e temuto da Tocqueville. Per inciso, Montesquieu, Guizot, Tocqueville, tre liberali tristi, consapevoli, in nome del realismo, delle durezze del politico.
Il suffragio censitario difendeva
il popolo da se stesso. Da cosa in particolare? Da quella paradossale volontà che lo spinge a mordere, stupidamente, la mano che nutre. Oggi reincarnatasi nell' insensata protesta populista.
E questa è la terza lezione di
Guizot.
Carlo Gambescia
(1)
Si vedano François Guizot (1787-1874), Storia della civiltà in Europa, a cura
di Armando Saitta, Il Saggiatore,
Milano 1973; Id. Storia della civiltà in
Francia, a cura di Regina Pozzi, Utet, Torino 1974.
(2) In argomento, per una dottissima ricostruzione del pensiero di François Guizot, si veda Regina Pozzi, Guizot,
o dell’Europa una e molteplice,
“Cromohs” 15 (2010), pp. 1-8, consultabile qui: http://www.fupress.net/index.php/cromohs/article/view/15470/14384