martedì 16 aprile 2019

Notre-Dame in fiamme
Il destino d’Europa in una cioccolata calda




Di  Notre-Dame, tutti abbiamo almeno un ricordo personale.  Il mio risale  a qualche anno fa. Con un caro amico, Jerónimo Molina,  si passeggiava  per Parigi  nelle prime ore  di una assonnata domenica di fine  novembre.  Reduci  da un convegno e lieti di concederci qualche ora di svago, in attesa di partire nel tardo pomeriggio.  Mentre  parlavamo di Julien Freund,  apparve la cattedrale. Silenzio. Ci sentimmo piccoli piccoli:   un italiano e uno spagnolo si inchinarono, idealmente,  dinanzi alla storia di Francia. Ma non solo. 
Dopo un paio d’ore,  davanti a un cioccolato  fumante,  discutevamo  del  destino d’Europa, con gli occhi alla grandezza del passato. Evidentemente ancora sotto l’influsso  del  gotico  e di una Gerusalemme Celeste,  incarnata da guglie, volte e vetrate  dall’apertura metafisica.
Le fiamme, divampate insieme al telegiornale delle venti,  hanno valore simbolico,  come i flash dei  cellulari di ultima generazione che restituiscono foto “carine” dell’inferno, come la ricorsa dietrologica alle responsabilità dei vigili del fuoco e di Macron,   come la promessa di ricostruire la cattedrale,  grazie ai prodigi della tecnologia,  “tale e quale  a prima”.         
Un passo indietro. Qualche anno fa un intellettuale di destra, Dominique Venner,  si suicidò, dentro Notre-Dame: si sparò in testa.  Confusamente, avvertiva, come lasciò scritto,  che il destino della   Francia e dell’  Europa  era ormai  compromesso e nelle mani di  omosessuali,  negri,  ebrei, borghesi. Un ripugnante  ritornello ideologico che riconduce  alla tentazione fascista.  Ideologia, feroce e  totalitaria,  che invece, a differenza di ciò che riteneva il  suicida, non era  e non è la soluzione della crisi europea, ma parte del  problema, perché sintomo di barbarie,  proprio come quelle fiamme.
Quale problema?  Non avere capito che l’anima europea  non risiede nello strapotere della  tecnologia e  nella capricciosa denuncia di tutto e tutti. Come, per contro, non alberga  nel rifiuto bilioso della modernità. Ma dimora nello spirito liberale,  spirito che non può non dirsi cristiano.  Di riflesso, il comune recepimento delle idee  di  libertà e uguaglianza  ha permesso a tutti di migliorare le condizioni di vita, progettare e  viaggiare, al punto di  poter  avere, tutti o quasi, almeno  un ricordo personale  di Notre-Dame.      
Tutto  bene  allora?  Sì  e no. Chi scrive, come detto,  dopo aver visitato la cattedrale,  con un caro amico,  davanti a  un cioccolato, si mise a  discorrere  del destino d’Europa. Troppo,  forse. Cose da studiosi. Per altri turisti, seduti ai tavoli, alcuni già annoiati,  probabilmente,   c’era solo una tazza di cioccolato.  Non era poco. Ma non ne erano consapevoli.
Ecco il nodo, da sciogliere.  

Carlo Gambescia