mercoledì 10 aprile 2019

Riflessioni
La politica figurativa




Sul  “Foglio” si possono leggere tutte le  bufale  del governo giallo-verde. Con  la “puntata” di ieri  il fact checking (verifica dei fatti)  è  giunto  al  6 settembre  2018. In tutto  le bufale  sono 271. Almeno secondo i calcoli di Greta Ardito, Lorenzo Borga e Mariasole Lisciandro,  dottori e ricercatori  in economia (*).
Ottima iniziativa. Complimenti agli estensori, direttore e  fondatore.
Tuttavia, quanto potrà incidere l'inchiesta  sull’elettorato?   Quanti voti sposterà  tra la  massa dei nullatenenti cerebrali, che vota su basi impressionistiche.  E da sempre.  O comunque, almeno da quando  suffragio universale  e  mass media  hanno semplificato, fino ai minimi termini,  il messaggio politico.  Parliamo del truce  volto populista, o se si preferisce demagogico, della democrazia, che risale ai tempi di Aristotele. Molto prima dell'elettrificazione di  Mussolini, Salvini, Di Maio e Conte.  

Quindi, ripetiamo, complimenti al “Foglio” e avanti tutta.  Però dubitiamo che  l’iniziativa, comunque lodevole,  riesca a  far cadere il governo. Se cadrà, sarà per altri ragioni. Che, ora, non desideriamo approfondire. 
Facciamo però  un passo indietro. La condizione di fondo della democrazia  è  contraddistinta  dalla prevalenza di un elemento figurativo, o "del cretino" per dirla con Fruttero e Lucentini... Bando agli scherzi.   Ci spieghiamo meglio. 
Dal momento che, piaccia o meno,   il  cittadino al capire sembra privilegiare il credere,  le élite ricorrono a procedimenti stilistici in cui si fa uso di  semplificazioni  retoriche  in grado di colpire l’immaginario collettivo: il "credere". Di qui,  il massiccio ricorso alle  “bufale” di cui sopra. Un bombardamento di parole d'ordine che con il "capire"  ha poco o nulla a che vedere.  Bufale, a costo cognitivo pari a zero, regolarmente accolte tra gli applausi degli astanti.
Ovviamente, la politica in quanto tale,  dunque  a  prescindere dalla forma di  regime, ha un lato figurativo.  I Greci antichi, più o meno democratici,   liquidavano come barbari tutti i non Greci. Nella Cina imperiale, quindi per nulla democratica,  ancora nell’Ottocento,  gli europei erano considerati  barbari, inferiori per cultura e civiltà. Bufale "antropologiche", insomma.
Va però aggiunta una cosa: se la politica ricorre alla forza dei simboli e alla retorica correlata (le cosiddette bufale), la democrazia  non può  addirittura  farne a meno.  Ne vive, insomma.  E quanto più la democrazia  si interseca con la società massa, tanto  più ricorre alla politica figurativa.
Sotto questo aspetto, l’iniziativa del “Foglio”  risponde a un criterio più liberale che democratico.  Il che andrebbe  benissimo,  se le élite alle quali ci si rivolge  fossero liberali, il suffragio ristretto,  la società non di massa.  Insomma, per fare un esempio, se a discutere di queste cose, fossero i dotti e brillanti cloni di Sabino Cassese (nella foto),   tutti  in fila e   rispettosissimi  di un discorso pubblico informato e tollerante  tra spiriti eletti. 
In realtà,  le élite italiane, soprattutto quelle politiche, sono imbevute di retorica populista, figurativa. Sotto questo aspetto la Seconda Repubblica ha toccato il fondo, o quasi.  Sicché, la caccia alle bufale  del “Foglio”,   in un società di massa e sempre più illiberale,  rischia di  lasciare il tempo che trova:  perché alle elenco delle   bufale  si risponderà con un elenco di contro-bufale, e al contro-elenco delle contro-bufale, si replicherà con  il contro-contro elenco…  E così via.  
Purtroppo,  nella democrazia di massa, la verifica dei fatti,  o meglio ancora la forza della ragione, rischia inevitabilmente di finire sepolta  sotto le ragioni della forza delle credenze collettive, impregnate di  figurativismo.  Soprattutto quando i politici vi si adeguano supinamente.    
Non vorremmo però essere accusati di disfattismo.  Il vero punto della questione è come limitare i danni della società di massa, o meglio della democrazia di massa.   Detto altrimenti:  come separare  il dibattito figurativo collettivo dal discorso  reale  tra élite di esperti, senza però rinunciare,  per dirla con Guizot,  ai valori liberali di   "giustizia, legalità, pubblicità, libertà".  
Purtroppo,  il deliberare per conoscere, non vale per tutti. Bisogna laicamente prenderne atto. Del resto la stessa forza dell’educazione, sulla quali molti, da qualche secolo, sembrano  fare affidamento, non sembra aver dato grandi risultati.  All'interno della società massa  la scuola   ha dato vita  alla volgare  e  pericolosa  mezza cultura figurativa  delle risposte semplici a problemi complessi. Il trionfo della faciloneria.  Un disastro.  
Come uscirne allora? 
Carlo Gambescia