Crisi europea, come uscirne?
Le tre lezioni di Constant
La domanda che ci siamo posti ieri
a proposito di Guizot, vale anche per
Constant. Chi legge più Benjamin Constant?
Altro liberale triste, realista, ma difensore della libertà, al punto di preservarla, anche in contrasto con il popolo e il
governo, due miti, per parafrasarlo, non solo degli antichi, ma soprattutto dei moderni.
Se Guizot diffida del suffragio universale, Constant teme l’eccesso
di legislazione delle camere
rappresentative quando inebriate dal potere come capitò ai “generali di Alessandro”. E al tempo stesso, paventa gli eccessi
dell’esecutivo, anch’esso sovente vittima della stessa tremenda logica
imperialista.
Di qui due rimedi per difendere l’essenza stessa della
democrazia liberale, oggi andata perduta: la cooptazione e rotazione di élite responsabili e preparate. Di che cosa parliamo? Di governi che
legiferino poco o punto, ma con potere di scioglimento del parlamento quando legiferi troppo e male.
Il che implica il riconoscimento
del libero voto, ma ristretto alla parte più responsabile dell'elettorato, alla sua aristocrazia culturale: la crema di un elettorato, pronto a
farsi, nei migliori, classe politica. Ne consegue, la possibilità di
rotazione delle élite, che è il sale stesso della democrazia liberale. Rotazione dei migliori.
All’epoca di Constant era la proprietà a fare il cittadino, oggi
insieme a essa, potrebbe essere il capitale culturale: la conoscenza della
storia, della politica dell'economia, frutto di studio,
relazioni, scambi di idee, tra cittadini informati e preparati, addirittura colti. Parliamo di un
patrimonio culturale da verificare
attraverso la registrazione elettorale e appositi test storico-politici. Suffragio
censitario dunque, culturalmente censitario (1). Che col tempo può essere allargato agli emergenti. L' "Arricchitevi!" di Guizot potrebbe essere sostituito, o affiancato, da un "Istruitevi!". Ma, attenzione, su base volontaria. Deve trattarsi di libera scelta: di una opzione individuale, non di un obbligo collettivo, pubblico o peggio ancora statale. Ecco, in sintesi, la prima lezione di Constant.
Come approfondirne il pensiero?
Consigliamo la lettura dei Principi di
politica, scritti negli anni
febbrili, eroici e brutali del
dominio Napoleonico, poi ripresi e
sviluppati in libri successivi di maggiore respiro (2). Opera ancora freschissima,
purtroppo dimenticata. Dove, nel primo
capitolo, si pone una fondamentale
distinzione tra liberalismo e democrazia. Un colpo di spada concettuale, dal grande valore simbolico, perché inferto all’inizio del libro. Si critica in nome dei “diritti individuali,
indipendenti da ogni autorità sociale o politica”, dunque del liberalismo, il concetto di sovranità popolare, terreno di
caccia prediletto del democraticismo. Che Constant, riconduce al pensiero di Rousseau e in particolare dei suoi interpreti giacobini.
Sono due passi, tratti dai Principi, che meritano di essere citati
per intero.
«Nessuna
autorità terrena è illimitata, né quella popolo, né quella degli uomini che si
dicono suoi rappresentanti, né quella dei re, quale che sia il titolo con cui regnano,
né quella della legge che, non essendo che l’espressione della volontà del
popolo o del principe, a seconda della forma di governo, deve essere
contenuta entro gli stessi confini dell’autorità da cui emana.» (p. 59).
Di conseguenza,
«il popolo
non ha il diritto di colpire un solo
innocente, né di trattare come
colpevole un solo accusato, senza prove
legali. Esso non può dunque delegare un diritto simile a nessuno. Il popolo non
ha il diritto di attentare alla libertà
di opinione, alla libertà religiosa,
alle garanzie giudiziarie, alle forme di protezione. Nessun despota,
nessuna assemblea può quindi
esercitare un tale diritto dicendo che
ne è stato investito dal popolo. Ogni dispotismo è pertanto illegale; nulla può
sanzionarlo, neppure la volontà del popolo ch’esso invoca. Perché in nome della
sovranità del popolo, si arroga un potere che non rientra in questa sovranità:
non si ha dunque soltanto un
trasferimento irregolare del potere esistente, ma la creazione di un potere che
non deve esistere.» (p. 62).
Si chiama governo delle leggi. Parliamo di un ordinamento sobrio, essenziale, non intrusivo, ma pronto a sfoderare la spada dello stato di eccezione quando sono minacciati
i fondamentali diritti dell’individuo, anche se in nome del popolo. Come peraltro sta accadendo
alla nostra liberal-democrazia, che rischia in Italia come in Europa di cadere
sotto il colpi di un democraticismo populista, da sempre tristemente al servizio del dispotismo.
E questa è la seconda lezione di
Constant.
Ma ne ricordiamo anche una terza.
Quale? L’amore sconfinato per la
libertà. Individuale s'intende. Da difendere, a ogni costo, perfino contro il popolo, entità
collettiva, che non esiste, se non nelle parole dei tiranni.
Carlo Gambescia
(1) Ne abbiamo già scritto qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2018/11/modesta-proposta-per-prevenire.html
(2) Si veda Benjamin Constant (1767-1830), Principi di politica, a cura di Umberto Cerroni, Editori Riuniti, Roma 1982. Sui tempi di stesura dei Principi, opera iniziata nel 1806 e “terminata in dieci giorni” e pubblicata nel 1815, si veda l’Introduzione di Cerroni (p. 9). Infine, per comprendere la distanza tra il liberalismo realista, triste come abbiamo detto, di Constant e certo costruttivismo illuminista, vanno lette le note di commento, molto critiche e preveggenti, a La Scienza della Legislazione del Filangieri, in qualche misura padre spirituale delle successive "motorizzazioni" dei diritto di stampo giacobino.