sabato 6 aprile 2019

Crisi europea, come uscirne?
Le tre lezioni di Constant


La domanda che ci siamo posti ieri a proposito di  Guizot, vale anche per Constant. Chi legge più Benjamin Constant?  Altro liberale  triste, realista,  ma difensore  della libertà, al punto di preservarla,  anche in contrasto  con il popolo e il governo, due miti, per parafrasarlo, non solo degli antichi, ma soprattutto dei moderni. 
Se Guizot diffida del  suffragio universale, Constant teme l’eccesso di legislazione delle camere  rappresentative quando inebriate  dal potere  come capitò ai  “generali di Alessandro”. E al tempo stesso, paventa gli eccessi dell’esecutivo, anch’esso sovente  vittima della stessa  tremenda logica imperialista. 
Di qui due rimedi per difendere l’essenza stessa della democrazia liberale, oggi andata perduta: la cooptazione e rotazione di  élite responsabili e preparate.  Di che cosa parliamo? Di governi che legiferino  poco o punto,  ma con potere di scioglimento del  parlamento quando legiferi  troppo e male.  Il che implica  il riconoscimento del libero voto,  ma ristretto  alla  parte più responsabile dell'elettorato,  alla sua aristocrazia  culturale: la crema di un elettorato,  pronto a farsi, nei migliori, classe politica. Ne consegue, la possibilità di rotazione delle élite, che è il sale stesso della democrazia liberale. Rotazione dei migliori.   
All’epoca di Constant  era la proprietà a fare il cittadino, oggi insieme a essa, potrebbe essere il capitale culturale: la conoscenza della storia, della politica dell'economia,  frutto di studio,  relazioni, scambi di idee, tra cittadini informati e preparati, addirittura colti. Parliamo di un patrimonio culturale  da verificare attraverso la registrazione elettorale e appositi test storico-politici. Suffragio censitario dunque, culturalmente censitario (1). Che col tempo può essere allargato agli emergenti. L' "Arricchitevi!" di Guizot potrebbe essere sostituito, o affiancato,  da un "Istruitevi!". Ma, attenzione, su base volontaria.  Deve trattarsi di libera scelta: di una opzione individuale,  non di  un obbligo collettivo, pubblico o peggio ancora statale.  Ecco, in sintesi,  la prima lezione di Constant. 
Come approfondirne il pensiero? Consigliamo la lettura dei Principi di politica, scritti negli anni  febbrili, eroici  e brutali del dominio Napoleonico,  poi ripresi e sviluppati in  libri  successivi di maggiore respiro (2). Opera ancora freschissima, purtroppo dimenticata.  Dove, nel primo capitolo, si pone una fondamentale distinzione tra liberalismo e democrazia. Un colpo di spada concettuale, dal grande valore simbolico,  perché inferto  all’inizio del libro.  Si critica in nome dei “diritti individuali, indipendenti da ogni autorità sociale o politica”,  dunque del liberalismo,  il concetto di sovranità popolare,  terreno di caccia prediletto del democraticismo. Che Constant,  riconduce al pensiero di Rousseau e in particolare  dei suoi  interpreti giacobini. 
Sono due passi, tratti dai Principi, che meritano di essere citati per intero.

«Nessuna autorità terrena è illimitata, né quella popolo, né quella degli uomini che si dicono suoi rappresentanti, né quella dei re, quale che sia il titolo con cui regnano, né quella della legge che, non essendo che l’espressione della volontà del popolo  o del principe,  a seconda della forma di governo, deve essere contenuta entro gli stessi confini dell’autorità da cui emana.»  (p. 59).

Di conseguenza,

«il popolo non  ha il diritto di colpire un solo innocente, né di trattare  come colpevole  un solo accusato, senza prove legali. Esso non può dunque delegare un diritto simile a nessuno. Il popolo non ha il diritto  di attentare alla libertà di opinione, alla libertà religiosa,  alle garanzie giudiziarie, alle forme di protezione. Nessun despota, nessuna  assemblea può quindi esercitare  un tale diritto dicendo che ne è stato investito dal popolo. Ogni dispotismo è pertanto illegale; nulla può sanzionarlo, neppure la volontà del popolo ch’esso invoca. Perché in nome della sovranità del popolo, si arroga un potere che non rientra in questa sovranità: non si ha dunque  soltanto un trasferimento irregolare del potere esistente, ma la creazione di un potere che non deve esistere.» (p. 62).

Si  chiama governo delle leggi. Parliamo di un ordinamento sobrio, essenziale,  non intrusivo,  ma pronto a sfoderare la spada dello stato di eccezione quando sono minacciati i fondamentali diritti dell’individuo, anche se in nome del popolo. Come peraltro sta accadendo alla nostra liberal-democrazia, che rischia in Italia come in Europa di cadere sotto il colpi di un democraticismo populista, da sempre  tristemente al servizio del dispotismo.  
E questa è la seconda lezione di Constant. 
Ma ne ricordiamo anche una terza. Quale? L’amore sconfinato per la libertà. Individuale s'intende. Da difendere, a ogni costo, perfino contro il popolo, entità collettiva, che non esiste, se non  nelle parole dei tiranni.

Carlo Gambescia


 (2) Si veda  Benjamin Constant (1767-1830),  Principi di politica, a cura di Umberto Cerroni,   Editori Riuniti, Roma 1982. Sui tempi di stesura dei Principi, opera iniziata nel 1806 e “terminata in dieci giorni” e pubblicata  nel 1815, si veda l’Introduzione di Cerroni (p. 9). Infine,  per comprendere la distanza tra il liberalismo realista, triste come abbiamo detto, di Constant  e certo  costruttivismo  illuminista, vanno  lette  le note di commento, molto critiche e preveggenti,  a  La Scienza della  Legislazione del Filangieri, in qualche misura  padre spirituale delle successive "motorizzazioni"  dei diritto di stampo giacobino.