mercoledì 3 aprile 2019

Non solo Juncker…
Quando è cominciata la guerra  (delle parole) tra Italia e  UE?



Non è una fake news
I giornali giallo-verdi (o quasi) criticano l’uscita di Juncker sui “ministri italiani bugiardi” a proposito del congruo sostegno della Ue all’ Italia. 
Juncker non mente,  ma l’espressione che usa è forte.  Un passo indietro però.  Il fatto che Di Maio e Salvini  vendono come vincenti,  politiche economiche e sociali fallimentari,  è vero.  Come  non è una  fake news un altro fatto. Quale?   Che  i populisti italiani  tacciono sul sostegno economico dell’UE all’Italia.  
Certo, è altrettanto vero, che riceviamo e diamo.   Però, a differenza di quel che ritengono i populisti, si tratta di un circuito virtuoso che idealmente si basa,  anzi si dovrebbe basare,  sul senso, vissuto collettivamente, di  una comune appartenenza al processo storico di  unificazione europea. 
Abbiamo usato il condizionale, perché se viene meno  il senso di appartenenza, come sta accadendo, viene meno  l’identificazione morale. Di qui, le bugie e gli  insulti,  dal momento che ognuno si esprime come può. 

Musica vecchia
Però la vera domanda, è un’altra:  chi, tra  europei e italiani,  ha cominciato per primo?  Insomma, per dirla fuori dai denti, quando  è volato il primo schiaffo? E soprattutto chi lo ha fatto volare?
Sicuramente, non i politici, di centro e centro-sinistra che firmarono il Trattato di Roma (1957), né quello Maastricht (1992), né di Lisbona  (2007-2009).   
L’unificazione europea non  mai stata gradita alle destre, conservatrici e neofasciste, legate storicamente all’idea di nazione, quale massima espressione della sovranità  di un popolo. Come d’altra parte,  l’idea di un’Europa unificata,  non è mai piaciuta ai comunisti: vi vedevano,  per ragioni economico-sociali, un astuto allargamento del mercato capitalista, idea non sgradita a Mosca. 

Gli sconfitti del 1945
Pertanto, il  basso profondo  contro  l’unificazione europea   -  l'opprimente suono  di fondo  -   rinvia  ai gruppi politici usciti in qualche modo sconfitti dalla guerra mondiale del 1945, o perché nazionalisti, o perché fascisti, o perché comunisti:  tutti  nemici dell’Europa borghese, ragionevole, dedita al libero commercio e in buona sostanza pacifista.  Il che spiega, almeno fino a Trump, la sostanziale  benevolenza americana:  un mondo, quello d'Oltreoceano, altrettanto fiducioso nell’idea di pacifico progresso, principio  invece sgradito  ai militanti del totalitarismo, dai fascisti ai comunisti.  
Sarebbe interessante andare a  rileggersi  le argomentazioni  degli anti-europeisti, per così dire d’antan. Studiarne la retorica dell’intransigenza, contraria all’unificazione.
Per quale ragione? Perché vi si potrebbero ritrovare le stesse   tematiche, simili perfino nell’esposizione,  dal complottismo all’anti-capitalismo,  ereditate dai populisti  degli anni Duemila. Musica vecchia, insomma. Robaccia totalitaria. Propaganda a buon mercato.

La cacofonia populista
Per tornare alla domanda iniziale chi ha cominciato per primo? Gli anti-europeisti, nel  senso lato del basso profondo.  Dopo di che,   intorno alla battaglia contro la moneta unica,  l'opprimente  suono di fondo  si è trasformato  nella  cacofonia populista. 
Ad esempio, il percorso intellettuale della retorica anti-europeista  di un  Beppe Grillo  è  quello  dettato dal  rovistaggio tra i rifiuti  del complottismo e dall’anti-capitalismo.
Grillo, con il suo carrettino, di ex  comico maestro degli insulti, se ne è andato in giro,  di cassonetto in cassonetto,  pescando qui e là tra i rifiuti,  credendo di aver fatto chissà quali scoperte.  

A un certo punto,  Grillo  si è girato  e si è accorto di avere dietro di sé milioni di persone, rosse in viso, arrabbiate, imprecanti, fomentate dai Social, ma  politicamente e storicamente analfabete. E per giunta fiere di esserlo.


Società  di massa e  cattive maniere
Ovviamente, come prova la dinamica sociologica dei processi di emulazione,  il trionfo dell’insulto, non poteva non essere contagioso. La società è una specie di fabbrica di stilemi linguistici e comportamentali. E la società di massa ancora di più.
Ci spieghiamo meglio. Le risorse intellettuali delle persone sono scarse. E  dal momento che  le società si reggono sul principio del minimo costo (o fatica),  insultare, in presenza di ridotte risorse intellettive,  è molto più facile  che ragionare.  Soprattutto quando si hanno a portata di mano  stilemi comportamentali  che scambiano l’autenticità con la rozzezza di modi,  promuovendo quest’ultima.  E qui si pensi all’importante  ruolo  svolto  dai media e dai social nella diffusione della "modellistica" sociale.  
Ma c’è anche un’altra questione.  Storicamente, i modi forbiti o educati (anche in senso relativo, rispetto agli standard  delle diverse epoche storiche)  hanno sempre distinto  le classi dirigenti.   Probabilmente, la società di massa,  resta l' unica società  storica  mostratasi capace di ribaltare il processo: oggi  sono le classi dirigenti a inseguire,  imitare e promuovere i rozzi comportamenti delle classi non dirigenti. Parliamo di una  corsa al ribasso verso le cattive maniere,  che  in qualche misura  ha  attraversato il Novecento, per giungere fino  a noi. Certo, con alcune benefiche e lodevoli  interruzioni,  come il ragionevole e ragionato processo di unificazione europea. Gloriosa  eredità del vittorioso spirito borghese del 1945.
Concludendo,  quanto detto  fin qui,  spiega  l’uscita di  Juncker.  Frutto di  un cattivo stile,  in sintonia con i brutti tempi, che però, viene dopo l’opera  di rovistaggio di Grillo e di altri leader populisti.  Non prima. E sul fondale melmoso di quel  basso profondo, eccetera, eccetera.   

Carlo Gambescia