Non solo Juncker…
Quando è cominciata la guerra (delle parole) tra Italia e UE?
Non è una fake news
I giornali giallo-verdi (o quasi)
criticano l’uscita di Juncker sui “ministri italiani bugiardi” a proposito del
congruo sostegno della Ue all’ Italia.
Juncker non mente, ma l’espressione che usa è forte. Un passo indietro però. Il fatto che Di Maio
e Salvini vendono come vincenti, politiche economiche e sociali fallimentari, è vero. Come non è una fake news un altro fatto. Quale? Che i populisti italiani tacciono sul sostegno economico dell’UE
all’Italia.
Certo, è altrettanto vero, che riceviamo e diamo. Però, a differenza di quel che ritengono i populisti, si tratta di un circuito virtuoso che
idealmente si basa, anzi si dovrebbe basare,
sul senso, vissuto collettivamente, di una comune appartenenza al processo storico
di unificazione europea.
Abbiamo usato il condizionale, perché se viene meno il senso di appartenenza, come sta accadendo, viene meno l’identificazione morale. Di qui, le bugie e gli insulti, dal momento che ognuno si esprime come può.
Musica vecchia
Però la vera domanda, è un’altra: chi, tra europei e italiani, ha cominciato per primo? Insomma, per dirla fuori dai denti, quando è volato il primo schiaffo? E soprattutto chi lo ha fatto volare?
Sicuramente, non i politici, di centro e centro-sinistra che firmarono il Trattato di Roma (1957), né quello Maastricht (1992), né di Lisbona (2007-2009).
L’unificazione europea non mai stata gradita alle destre, conservatrici e neofasciste, legate storicamente all’idea di nazione, quale massima espressione della sovranità di un popolo. Come d’altra parte, l’idea di un’Europa unificata, non è mai piaciuta ai comunisti: vi vedevano, per ragioni economico-sociali, un astuto allargamento del mercato capitalista, idea non sgradita a Mosca.
Gli sconfitti del 1945
Pertanto, il basso profondo contro l’unificazione europea - l'opprimente suono di fondo - rinvia
ai gruppi politici usciti in qualche modo sconfitti dalla guerra
mondiale del 1945, o perché nazionalisti, o perché fascisti, o perché
comunisti: tutti nemici dell’Europa borghese, ragionevole,
dedita al libero commercio e in buona sostanza pacifista. Il che spiega, almeno fino a Trump, la sostanziale
benevolenza americana: un mondo, quello d'Oltreoceano, altrettanto fiducioso nell’idea di pacifico progresso, principio invece sgradito ai militanti del totalitarismo, dai fascisti ai comunisti.
Sarebbe interessante andare a rileggersi le argomentazioni degli anti-europeisti, per così dire d’antan. Studiarne la retorica
dell’intransigenza, contraria all’unificazione.
Per quale ragione? Perché vi si
potrebbero ritrovare le stesse
tematiche, simili perfino nell’esposizione, dal complottismo all’anti-capitalismo, ereditate dai populisti degli anni Duemila. Musica vecchia, insomma. Robaccia totalitaria. Propaganda a buon mercato.
La cacofonia populista
Per tornare alla domanda iniziale
chi ha cominciato per primo? Gli anti-europeisti, nel senso lato del basso profondo. Dopo di che, intorno
alla battaglia contro la moneta unica, l'opprimente suono di fondo si è trasformato nella cacofonia populista.
Ad esempio, il percorso
intellettuale della retorica anti-europeista
di un Beppe Grillo è
quello dettato dal rovistaggio tra i rifiuti del complottismo e dall’anti-capitalismo.
Grillo, con il suo carrettino, di
ex comico maestro degli insulti, se ne è
andato in giro, di cassonetto in
cassonetto, pescando qui e là tra i
rifiuti, credendo di aver fatto chissà
quali scoperte.
A un certo punto, Grillo
si è girato e si è accorto di
avere dietro di sé milioni di persone, rosse in viso, arrabbiate, imprecanti,
fomentate dai Social, ma politicamente e
storicamente analfabete. E per giunta fiere di esserlo.
Società di massa e cattive maniere
Ovviamente, come prova la dinamica sociologica dei processi di emulazione, il trionfo
dell’insulto, non poteva non essere contagioso. La società è una specie di
fabbrica di stilemi linguistici e comportamentali. E la società di massa ancora
di più.
Ci spieghiamo meglio. Le risorse
intellettuali delle persone sono scarse. E dal momento che le società si reggono sul principio del minimo
costo (o fatica), insultare, in presenza di ridotte risorse intellettive, è molto più facile che ragionare. Soprattutto quando si hanno a portata di mano stilemi comportamentali che scambiano l’autenticità con la rozzezza
di modi, promuovendo quest’ultima. E qui si pensi all’importante ruolo svolto dai media e dai social nella diffusione della "modellistica" sociale.
Ma c’è anche un’altra questione. Storicamente, i modi forbiti o educati (anche in senso relativo, rispetto agli standard delle diverse epoche storiche) hanno sempre distinto le classi dirigenti. Probabilmente, la società di massa, resta l' unica società storica mostratasi capace di ribaltare il processo: oggi sono le classi dirigenti a inseguire, imitare e promuovere i rozzi comportamenti delle classi non dirigenti. Parliamo di una corsa al ribasso verso le cattive maniere, che in qualche misura ha attraversato il Novecento, per giungere fino a noi. Certo, con alcune benefiche e lodevoli interruzioni, come il ragionevole e ragionato processo di unificazione europea. Gloriosa eredità del vittorioso spirito borghese del 1945.
Concludendo, quanto detto fin qui, spiega l’uscita di Juncker. Frutto di un cattivo stile, in sintonia con i brutti tempi, che però, viene dopo l’opera di rovistaggio di Grillo e di altri leader populisti. Non prima. E sul fondale melmoso di quel basso profondo, eccetera, eccetera.
Carlo Gambescia