venerdì 19 aprile 2019

Reporters Without Borders e  libertà  di stampa
Democrazie illiberali



Non conosciamo i  criteri che  informano  le  indagini annuali  di Reporters Without Borders, né in fondo ci interessano, dal momento che la libertà di stampa  non è solo (attenzione, non è solo) un problema di scorte concesse o ritirate,  ma rinvia a qualcosa di profondo come il rapporto tra liberalismo e democrazia.    
Intanto, sembra che l’Italia sia risalita di tre posizioni, ora è al 43° posto (*). I primi dieci paesi sono  Norvegia, Finlandia, Svezia, Olanda, Danimarca Svizzera, Nuova Zelanda e Giamaica, Belgio e Costarica. La Germania è al 13° posto, la Spagna al 29° ,  Francia e Regno Unito al  32° e 33°, Stati Uniti al 48°,  Russia al 149° (tra Venezuela e Bangladesh), Cina al  177°. In tutto,  i paesi “testati”  sono 180 (**).
Veniamo al punto. La libertà di stampa è parte integrante della modernità liberale.  Inutile qui rifarne la storia. Consigliamo ai lettori   di sfogliare almeno l’Areopagitica (1644) di John Milton, come documento fondamentale di rivendicazione della libertà di stampa contro la dittatura della maggioranza. All'epoca rappresentata dal  Parlamento inglese che, seppure nemico dell'autocrazia, aveva introdotto  forme di censura  preventiva su libri e opuscoli. 

Ecco perché parliamo di modernità liberale e non democratica. E per una semplice ragione, perché la democrazia, se intesa come potere assoluto della maggioranza di opprimere la minoranza  per restare al potere il più a lungo possibile, si trasforma in nemica della libertà di stampa, come qualsiasi altra dittatura.  
Il punto non è da poco. Si pensi a quel che sta accadendo in Italia, paese  democratico, ma per niente liberale.  La variopinta  maggioranza  populista, oltre a tagliare e  sopprimere  i fondi pubblici ai  giornali non allineati,  ha occupato militarmente  la  Rai e vuole costringere Radio Radicale, archivio storico della liberal-democrazia, a chiudere i battenti. E attenzione,  in un contesto, già compromesso,   dove la  stampa, tranne alcune testate,  per paura di ritorsioni   ha assunto verso il governo giallo-verde un atteggiamento di attesa o addirittura  benevolo  se non proprio da tifo calcistico.  Ovviamente,  non siamo ancora in Russia o in  Cina, ma diciamo pure che si è  sulla buona strada.
Il deficit di liberalismo rischia veramente di uccidere la libertà di stampa. Oggi,  si ridacchia, magari assumendo un atteggiamento di sufficienza, a proposito dei giornali dell’Italia giolittiana. In realtà,  furono anni  ricchissimi per la  qualità dei contributi  e la  quantità di testate nelle edicole.  Pari solo ai momentanei successi dell’immediato secondo dopoguerra,  nell'euforia del  ritorno della libertà. 
La crisi del giornalismo italiano risale agli anni Cinquanta, all’Italia  democristiana, post-degasperiana, poco o punto liberale. E si aggrava negli anni Sessanta e Settanta, in un' Italia illiberale segnata da pesantissimi conflitti ideologici.  Che proseguono, pur mascherati,  negli Ottanta, fino a far  sprofondare la libertà di stampa nei tre decenni successivi  sull’onda lunghissima del conflitto tra berlusconismo  e antiberlusconismo.  Uno scontro che ha spalancato le porte al populismo di destra e di sinistra, attualmente al governo e all' iperdemocraticismo nemico della libertà  di stampa, ben rappresentato da un pericoloso arruffapopoli come Beppe Grillo.  

Pertanto opporre la democrazia, anzi l’ultrademocrazia, celebrata come vittoria di tutto il popolo ma  in realtà  prolungamento del potere tirannico della maggioranza, significa uccidere la libertà di stampa,  come sta accadendo in Italia. E proprio in nome della democrazia.  E non è un paradosso, perché la democrazia,  quando abbandonata  a se stessa e all'onnipotenza del voto maggioritario, si traduce inevitabilmente in oppressione della minoranza, a cominciare dalla libertà di stampa. Servono invece regole, garanzie e quando occorre finanziamenti pubblici: tutti correttivi  liberali per impedire la trasformazione della democrazia in una  mostruosa  megamacchina al servizio di una maggioranza, libera persino di abolire la democrazia, magari "per il bene del popolo", solo perché votata dalla metà più uno.         
Questi sono i termini della questione, e in qualche misura, dello schema, anche mentale,  per  filtrare alla luce della ragione liberale i Rapporti annuali  di  Reporters Without Borders.  E soprattutto  per non lasciarsi incantare dalla retorica  ultrademocratica,  come dicevamo, dei populisti.
Fuffa antiliberale che conduce alla  rovina.  

Carlo Gambescia