Reporters Without Borders e libertà di
stampa
Democrazie illiberali
Non
conosciamo i criteri che informano
le indagini annuali di Reporters Without Borders, né in fondo ci
interessano, dal momento che la libertà di stampa non è solo (attenzione, non è solo) un problema
di scorte concesse o ritirate, ma rinvia
a qualcosa di profondo come il rapporto tra liberalismo e democrazia.
Intanto,
sembra che l’Italia sia risalita di tre posizioni, ora è al 43° posto (*). I
primi dieci paesi sono Norvegia,
Finlandia, Svezia, Olanda, Danimarca Svizzera, Nuova Zelanda e Giamaica, Belgio
e Costarica. La Germania
è al 13° posto, la Spagna
al 29° , Francia e Regno Unito al 32° e 33°, Stati Uniti al 48°, Russia al 149° (tra Venezuela e Bangladesh),
Cina al 177°. In tutto, i paesi “testati” sono 180 (**).
Veniamo
al punto. La libertà di stampa è parte integrante della modernità
liberale. Inutile qui rifarne la storia.
Consigliamo ai lettori di
sfogliare almeno l’Areopagitica (1644) di John Milton, come documento
fondamentale di rivendicazione della libertà di stampa contro la dittatura della maggioranza. All'epoca rappresentata dal Parlamento inglese che, seppure nemico dell'autocrazia, aveva introdotto forme di censura preventiva su libri e opuscoli.
Ecco perché parliamo di modernità liberale e non democratica. E per una semplice ragione,
perché la democrazia, se intesa come potere assoluto della maggioranza di
opprimere la minoranza per restare al potere il più a lungo possibile, si trasforma in nemica
della libertà di stampa, come qualsiasi altra dittatura.
Il punto non è da poco. Si
pensi a quel che sta accadendo in Italia, paese
democratico, ma per niente liberale.
La variopinta maggioranza populista, oltre a tagliare e sopprimere
i fondi pubblici ai giornali non
allineati, ha occupato militarmente la Rai e vuole costringere
Radio Radicale, archivio storico della liberal-democrazia, a chiudere i
battenti. E attenzione, in un contesto,
già compromesso, dove la
stampa, tranne alcune testate, per paura di ritorsioni ha
assunto verso il governo giallo-verde un atteggiamento di attesa o
addirittura benevolo se non proprio da tifo calcistico. Ovviamente, non siamo ancora in Russia o in Cina, ma diciamo pure che si è sulla buona
strada.
Il
deficit di liberalismo rischia veramente di uccidere la libertà di stampa.
Oggi, si ridacchia, magari assumendo un
atteggiamento di sufficienza, a proposito dei giornali dell’Italia giolittiana. In
realtà, furono anni ricchissimi per la qualità dei contributi e la
quantità di testate nelle edicole. Pari solo ai momentanei successi dell’immediato secondo dopoguerra, nell'euforia del ritorno della libertà.
La crisi del giornalismo
italiano risale agli anni Cinquanta, all’Italia democristiana, post-degasperiana, poco o punto liberale. E si aggrava negli anni Sessanta
e Settanta, in un' Italia illiberale segnata da pesantissimi conflitti ideologici. Che proseguono, pur
mascherati, negli Ottanta, fino a far
sprofondare la libertà di stampa nei tre decenni successivi sull’onda lunghissima del conflitto tra berlusconismo e antiberlusconismo. Uno scontro che ha spalancato le porte al
populismo di destra e di sinistra, attualmente al governo e all' iperdemocraticismo nemico della libertà di stampa, ben rappresentato da un pericoloso arruffapopoli come Beppe Grillo.
Pertanto
opporre la democrazia, anzi
l’ultrademocrazia, celebrata come vittoria di tutto il popolo ma in realtà prolungamento del potere tirannico della maggioranza, significa uccidere la libertà di
stampa, come sta accadendo in Italia. E proprio in nome della democrazia. E non è un paradosso, perché la democrazia, quando abbandonata a se stessa e all'onnipotenza del voto maggioritario, si traduce inevitabilmente in oppressione della minoranza, a cominciare dalla libertà di stampa. Servono invece regole, garanzie e quando occorre finanziamenti pubblici: tutti correttivi liberali per impedire la trasformazione della democrazia in una mostruosa megamacchina al servizio di una maggioranza, libera persino di abolire la democrazia, magari "per il bene del popolo", solo perché votata dalla metà più uno.
Questi
sono i termini della questione, e in qualche misura, dello schema, anche
mentale, per filtrare alla luce della ragione
liberale i Rapporti annuali di
Reporters Without Borders. E
soprattutto per non lasciarsi incantare
dalla retorica ultrademocratica, come dicevamo, dei populisti.
Fuffa antiliberale che conduce alla rovina.
Fuffa antiliberale che conduce alla rovina.
Carlo Gambescia