Il 25 Aprile e il populismo
Premessa.
La tesi del totalitarismo, come visione antiliberale del mondo, in Italia non ha mai avuto molti sostenitori,
né nei circoli colti, né tra la gente comune.
In
pratica, l’intera storia repubblicana è solcata dalla divisione
netta tra fascisti e antifascisti: i primi visti come nemici della
democrazia, i secondi come i suoi difensori. E il liberalismo? Roba da
ricchi.
Va detto che quei giorni di aprile furono vissuti da molti italiani come liberazione dalla paura. La Liberazione, prima che fatto politico, fu fatto collettivo, fu come un grande respiro di sollievo.
Nel dopoguerra però questo patrimonio psicologico, invece di essere tradotto in sonanti valori liberali fu monopolizzato dalla sinistra. Nel nome della democrazia (attenzione, non liberal-democrazia) qualsiasi tentativo di spostamento a destra era pavlovianamente condannato come tradimento. Fino al punto, che dopo il Sessantotto, l' epiteto di fascista fu automaticamente esteso a tutti coloro che pur non provando alcuna simpatia per il Movimento Sociale Italiano non credevano nemmeno nella democraticità del Partito Comunista Italiano e in quella dei gruppetti politici alla sua sinistra.
Va detto che quei giorni di aprile furono vissuti da molti italiani come liberazione dalla paura. La Liberazione, prima che fatto politico, fu fatto collettivo, fu come un grande respiro di sollievo.
Nel dopoguerra però questo patrimonio psicologico, invece di essere tradotto in sonanti valori liberali fu monopolizzato dalla sinistra. Nel nome della democrazia (attenzione, non liberal-democrazia) qualsiasi tentativo di spostamento a destra era pavlovianamente condannato come tradimento. Fino al punto, che dopo il Sessantotto, l' epiteto di fascista fu automaticamente esteso a tutti coloro che pur non provando alcuna simpatia per il Movimento Sociale Italiano non credevano nemmeno nella democraticità del Partito Comunista Italiano e in quella dei gruppetti politici alla sua sinistra.
Il
25 Aprile, che negli anni del Centrismo democristiano era saggiamente celebrato in sordina per non fomentare divisioni e riaprire
ferite, tra gli anni Sessanta e Settanta si trasformò invece nell’apoteosi della Resistenza in nome di un antifascismo targato Pci. In realtà, si trattò di una tradizione inventata, perché alla Resistenza, che comunque non fu fenomeno di
massa, parteciparono anche monarchici,
cattolici, liberali, socialisti riformisti. Diciamo che il Pci, senza incontrare grandi opposizioni tra i partiti costituzionali, si appropriò del copyright.
Questa
matrice di sinistra, per giunta comunista, favorita dal progressismo laico di
stampo azionista, non ha mai aiutato la ricomposizione politica dell’Italia intorno
a comuni valori liberali e democratici. Il Pci, per dirla tutta, accettò i valori democratici, ma solo in chiave leninista: per conquistare il potere. Vedeva nel Parlamento il mezzo
per combattere dall'interno la democrazia rappresentativa, squalificandone contenuti e valori liberali. Grazie anche al rifiuto, mai dimenticarlo, di mettere sullo stesso piano totalitarismo comunista e fascista. Rifiuto tipico dei circoli intellettuali colonizzati dal marxismo e dal
democraticismo: ai comunisti si riconoscevano, comunque e sempre, le buone intenzioni; se sbagliavano era sempre a fin di bene.
Pertanto
la celebrazione del 25 Aprile non poteva non assumere una connotazione di sinistra, trasformando la divisione tra fascisti e
antifascisti, come del resto provano gli
anni dei governi berlusconiani, in una continuazione della Guerra Civile con altri mezzi.
Naturalmente,
nel tempo, un antifascismo così inteso - di parte, insomma senza la parificazione totalitaria - non poteva non
spaventare l’elettorato moderato e conservatore, facilitando la rinascita e diffusione di quei luoghi comuni, un tempo patrimonio dei soli neofascisti, rivolti a giustificare il fascismo: dalla
natura indisciplinata degli italiani all’importanza dell’arrivo in orario dei
treni.
In politica a ogni azione segue una
reazione. E i colpi di accelerazione nei
riguardi dell’antifascismo, soprattutto durante la Seconda Repubblica ,
non potevano non favorire controspinte
di tipo fascistoide, nel senso di atteggiamenti
affini o inclini al fascismo, in cui il populismo
- lo stesso che fu alle origini del fascismo - oggi
sguazza.
Sicché, da un lato spicca la minimizzazione
fascista, che fa
breccia nella gente comune, ammalatasi di populismo, dall’altro
l’ enfatizzazione antifascista, sempre più patrimonio di una sinistra
altrettanto isterica e populista. A
farne le spese è l’idea liberale, invisa a fascisti e antifascisti. Ieri come oggi.
Di conseguenza, anche quest'anno, ci ritroviamo a celebrare un 25 Aprile, che
continua a dividere gli italiani. Con una differenza però. Anzi due. Che i populisti, quelli veri (altro che
Berlusconi), sono al potere. E pure all’opposizione.
Carlo Gambescia