domenica 14 aprile 2019

A dieci anni dalla morte  (2009-2019)
Giano Accame e il fascismo degli invisibili

Gianni  Baget Bozzo  E Giano Accame
Domani 15 aprile, saranno dieci anni dalla morte di Giano Accame, giornalista, scrittore, storico.
La destra neofascista,  alla quale con sforzi ridicoli si cerca  di ricondurlo,  gli stava stretta, molto stretta.  Per indole, per cultura, per relazioni. 
L’indole era mite, la cultura ampia, le relazioni sociali inclusive. L’esatto contrario dell’intellettuale neofascista tipo:  bellicoso, misoneista, presuntuoso. L’ arma, per così dire,  più forte di Accame era l’ironia, in primis, verso se stesso.   
In un libro che gli ho dedicato, mi sono sforzato di coglierne lo spirito  ironico,  che nasceva da una precisa intuizione filosofica.  Quale?   Della mancanza di senso nella storia,  almeno in questo mondo. Di qui, la sua  retorica della transigenza, come  ascolto delle ragioni altrui ed estensione al lavoro intellettuale di un’euristica  della fallibilità. Quanto di più lontano dalle “granitiche”  certezze del  costruttivismo  fascista e di altre ideologia totalizzanti.   
Ad esempio, i suoi apologeti neofascisti  scambiano  il rispetto di Accame  per i caduti  fascisti,  per un   rinnovato  giuramento di fedeltà all’idea.  Purtroppo, la sociologia insegna  che negli esseri  umani  esiste una coazione sociale  a ripetere,  dalla quale è difficile liberarsi. Sindrome coattiva  che  per l’appunto  si ritrova   negli apologeti.  
In realtà, Accame, basta leggere i suoi libri,  conosceva bene i limiti dell’idea, conoscenza che però non gli impediva di apprezzare il valore del sacrificio in sé.  Detto altrimenti:  la coerenza delle “tante brave persone che ci hanno rimesso la pelle” (*).   
La scelta di farsi seppellire in camicia nera, con una bandiera della Rsi, che ne avvolgeva la bara, fu un atto di lealtà e rispetto verso le presenze  invisibili -  i caduti della Rsi -   al suo funerale, non verso i convenuti  visibili,  per giunta  divisi sulla convenienza politica o meno di  quell’ultima scelta. 
Massimo Pini e Giano Accame

La distinzione tra fascismo invisibile, o meglio degli invisibili, e fascismo visibile dei ducetti e post-ducetti,  rappresenta un'importante  chiave di lettura della sua opera. Perché il  rispetto per i caduti e  la  criticità  verso l’idea  consentono l' apertura verso le visioni altre, cattoliche,  liberali, socialiste, perfino comuniste.  E di rimbalzo favoriscono l’inclusività di Accame, anche relazionale, umana, sociale,  spesso a senso unico perché  partiva da lui.   Ciò  non significa, che non fosse poi apprezzato  da culture politiche di segno diverso. Anzi…
Però,  altro aspetto che merita un  approfondimento,   all’esterno lo si continuava a percepire, probabilmente, perché non lo si leggeva, come un fascista irriducibile.  Ecco un altro esempio della forza degli stereotipi sociali.  E della “coazione a ripetere”. Anche a sinistra.   
Chi in futuro si proporrà di scrivere la biografia intellettuale di Accame, non potrà non confrontarsi con  la   “leggenda  nera”, dell’ Accame,   ultima raffica di Salò (se ci si perdona la caduta di stile), così  cara ai fascisti visibili. Ovviamente, per studiarla in termini scientifici.  E, mi auguro, per decostruirla.   Provando magari a valorizzare la distinzione  tra fascismo invisibile (dei caduti) e fascismo  visibile (dei vivi). 

Una concettualizzazione, o se si preferisce dicotomia,  che, ripeto, sul piano cognitivo rinvia all’etica della transigenza  quale capacità di trattare il fascismo visibile, come una delle ideologie novecentesche,  non come la risposta,  ossia l’unica  risposta ideologica alla modernità cognitiva. All’interno della quale, altro punto euristico fondamentale che lo distingue dai fascisti visibili, Accame  si  muoveva, grazie al suo approccio ironico e fallibilista.   
E qui si pensi anche al titolo ( e ovviamente ai contenuti, ricchissimi) del suo magnum opus:  Una storia della Repubblica. Che rivela grande  rispetto verso il pluralismo storico: una non la storia,  nel senso di  una  storiografia  sobria  che non pretende di dire la parola definitiva sulla storia repubblicana.  Umiltà,  la vera virtù dei forti.  Degli intellettualmente forti.
Insomma, retorica della transigenza  come prolungamento di un approccio ironico e  fallibilista.  Pertanto,  gli scritti rivendicativi dedicati   “al nostro Accame”,  non aiutano a capire:  sono manifestazioni di puro e semplice  fascismo visibile.  Propaganda. Purissima retorica dell’intransigenza.  Esercizi  di faziosità,  forme autolegittimanti di devianza politicamente inidonea, che con il  fascismo  invisibile, anzi degli invisibili, di Giano Accame,  non hanno  nulla a che vedere.  E neppure,  al di là delle questioni cognitive,  con l’indole e il carattere di un uomo buono, quale egli era.      

Carlo Gambescia                                    

(*) Sul punto, scusandomi per l’autocitazione, si veda  il mio Retorica della transigenza. Giano Accame attraverso i suoi libri,  Edizioni il Foglio, Piombino (LI) 2018, p. 48, nota 24.