A dieci anni dalla morte (2009-2019)
Giano Accame e il fascismo degli invisibili
Gianni Baget Bozzo E Giano Accame |
Domani
15 aprile, saranno dieci anni dalla morte di Giano Accame, giornalista,
scrittore, storico.
La
destra neofascista, alla quale con sforzi
ridicoli si cerca di ricondurlo, gli stava stretta, molto stretta. Per indole, per cultura, per relazioni.
L’indole
era mite, la cultura ampia, le relazioni sociali inclusive. L’esatto contrario dell’intellettuale
neofascista tipo: bellicoso, misoneista,
presuntuoso. L’ arma, per così dire, più
forte di Accame era l’ironia, in primis, verso se stesso.
In
un libro che gli ho dedicato, mi sono sforzato di coglierne lo spirito ironico, che
nasceva da una precisa intuizione filosofica. Quale? Della mancanza di senso nella storia, almeno
in questo mondo. Di qui, la sua retorica della transigenza, come ascolto delle ragioni altrui ed estensione al
lavoro intellettuale di un’euristica della fallibilità. Quanto di più lontano dalle
“granitiche” certezze del costruttivismo fascista e di altre ideologia totalizzanti.
Ad esempio, i suoi apologeti neofascisti scambiano il
rispetto di Accame per i caduti fascisti, per un rinnovato giuramento di fedeltà all’idea. Purtroppo, la sociologia insegna che negli esseri umani esiste una coazione sociale a ripetere, dalla quale è
difficile liberarsi. Sindrome
coattiva che per l’appunto si ritrova negli apologeti.
In
realtà, Accame, basta leggere i suoi libri,
conosceva bene i limiti dell’idea, conoscenza che però non gli impediva di apprezzare il valore del
sacrificio in sé. Detto altrimenti: la coerenza delle “tante brave persone che ci
hanno rimesso la pelle” (*).
La
scelta di farsi seppellire in camicia nera, con una bandiera della Rsi, che ne avvolgeva la bara, fu un atto di lealtà e rispetto verso le presenze invisibili - i caduti della Rsi - al suo funerale, non verso i convenuti visibili, per giunta divisi sulla convenienza politica o meno di quell’ultima scelta.
Massimo Pini e Giano Accame |
La
distinzione tra fascismo invisibile, o meglio degli invisibili, e fascismo
visibile dei ducetti e post-ducetti, rappresenta un'importante chiave di lettura della sua opera. Perché il rispetto per i caduti e la criticità
verso l’idea consentono l' apertura verso le visioni altre,
cattoliche, liberali, socialiste,
perfino comuniste. E di rimbalzo favoriscono l’inclusività di Accame, anche relazionale, umana, sociale, spesso a senso unico perché partiva da lui. Ciò non significa, che non fosse poi apprezzato
da culture politiche di segno diverso. Anzi…
Però,
altro aspetto che merita un approfondimento, all’esterno lo si continuava a percepire,
probabilmente, perché non lo si leggeva, come un fascista irriducibile. Ecco un altro esempio della forza degli stereotipi
sociali. E della “coazione a ripetere”.
Anche a sinistra.
Chi
in futuro si proporrà di scrivere la biografia intellettuale di Accame, non
potrà non confrontarsi con la “leggenda
nera”, dell’ Accame, ultima raffica
di Salò (se ci si perdona la caduta di stile), così cara ai fascisti visibili. Ovviamente, per studiarla in termini scientifici. E, mi auguro, per decostruirla. Provando magari a valorizzare la distinzione tra fascismo invisibile (dei caduti) e fascismo visibile (dei vivi).
Una
concettualizzazione, o se si preferisce dicotomia, che, ripeto, sul piano
cognitivo rinvia all’etica della transigenza quale capacità di trattare
il fascismo visibile, come una delle ideologie novecentesche, non come la risposta, ossia l’unica risposta ideologica alla modernità cognitiva. All’interno della quale, altro punto euristico
fondamentale che lo distingue dai fascisti visibili, Accame si
muoveva, grazie al suo approccio ironico e fallibilista.
E qui si pensi anche al titolo ( e ovviamente ai contenuti, ricchissimi) del suo magnum opus: Una storia della Repubblica. Che rivela grande rispetto verso il pluralismo storico: una non la storia, nel senso di una storiografia sobria che non pretende di dire la parola definitiva sulla storia repubblicana. Umiltà, la vera virtù dei forti. Degli intellettualmente forti.
Insomma, retorica della transigenza come prolungamento di un approccio ironico e fallibilista. Pertanto, gli scritti rivendicativi dedicati “al nostro Accame”, non aiutano a capire: sono manifestazioni di puro e semplice fascismo visibile. Propaganda. Purissima retorica dell’intransigenza. Esercizi di faziosità, forme autolegittimanti di devianza politicamente inidonea, che con il fascismo invisibile, anzi degli invisibili, di Giano Accame, non hanno nulla a che vedere. E neppure, al di là delle questioni cognitive, con l’indole e il carattere di un uomo buono, quale egli era.
Carlo Gambescia
(*) Sul punto, scusandomi per l’autocitazione, si veda il mio Retorica della transigenza. Giano Accame attraverso i suoi libri, Edizioni il Foglio, Piombino (LI) 2018, p. 48, nota 24.