Come vedere i Simpson in Afghanistan…
Il lamento di Marcello Veneziani
Allora? Le idee? No. Le pesca, da sempre, senza alcuna originalità, tra i rottami della tentazione fascista, anni Venti e Trenta. Per
capirsi: nulla a che vedere con la straordinaria chiave di lettura del fascismo offerta da Giano Accame. E dal di fuori. Pensiamo in particolare alla sua serie televisiva sulle “Intelligenze
scomode del Novecento”. Un piccolo capolavoro di retorica della transigenza, se si vuole, un ottimo esempio di sano relativismo cognitivo.
Veneziani invece è dentro la cultura neofascista. E fino al collo. Si applichino ai suoi scritti i modelli della
retorica di destra - sviluppati da Hirschman
- se ne scopriranno
delle belle.
Dicevamo, Veneziani eccelle in
una cosa. Quale? Il lamento.
E fin dai suoi inizi. Quando scrisse
all’ “Espresso” versando lacrimoni sulla sua esclusione, per colpa della sinistra, dal grande giro. La sinistra, non raccolse.
Ma uno sventurato rispose. I singhiozzi valsero a Veneziani la chiamata di Ciarrapico. Editore vicino ad Andreotti. Quanto di più lontano da un purosangue evoliano-mussoliniano
Certo, la carne è debole. Come quando Veneziani accettò la nomina a consigliere di amministrazione
Rai in quota centrodestra. Altro modo di
cavalcare la tigre… In poltrona.
Ora, sembra si senta ignorato da Salvini. Mentre i Cinque
Stelle pare lo reputino più
fascista del Tognazzi del “Federale”,
quello della “buca con acqua”. Perciò, almeno
per il momento, sembra fuori dal giro dei vincitori. La “rivoluzione populista” non
ne vuole sapere dei suoi preziosi consigli. Di conseguenza, Veneziani non poteva non scrivere un bell’articolo, pieno zeppo
di singhiozzi, verso l’ennesima congiura
della cultura di sinistra. Che, nonostante il governo gialloverde, già in odore di badoglismo, continuerebbe a tenere i “glutei sulle poltrone”: dalla Rai all’editoria, eccetera, eccetera.
Ora, che la sinistra sia dotata
di riflessi carnivori è un dato di
fatto. Però studia. Mai rimasta ferma a Marx. Ha interagito con
Freud. Riletto Nietzsche. Cavalcato Proust, Joyce, Musil, Kafka e il fior fiore della
letteratura novecentesca. Ha riabilitato perfino, e con ragione, Pound
e Hamsun. Insomma,
ha detto la sua su tutto, e spesso in modo originale. Ha interpretato e
reinterpretato, piaccia o meno, la modernità cognitiva. Si è mossa dentro i confini dell’epistemologia moderna. Non fuori. Certo, l’ha decomposta,
destrutturata, addirittura sminuzzata,
ma sempre nel nome dell’individualismo metodologico.
In sintesi, la sinistra non ha mai smesso di aggiornarsi, reinterpretare, produrre. Veneziani
scrive lo stesso libro da quarant’anni. Dando, ad esempio, più versioni della rivoluzione conservatrice in Italia. Tradotto: continua a dire sempre le stesse cose pescate e ripescate nell’alveo della “tentazione
fascista”. Da sublime interprete di una cultura politica che nel nome dell’occasionalismo
romantico fece un bel tratto di strada con i
regimi fascisti. Poi con Berlusconi. E ora, anche se in modalità Grillo Parlante, con i populisti.
Sì, è vero, come nota Kunnas che ha coniato il termine, che i cripto-fascisti e fascisti ( e i neofascisti) si
confrontarono (e confrontano) con la modernità. Ma in
chiave reazionaria. Pound prima di tramutarsi in tragedia politica, fu tragedia esistenziale: di un io insonne e irrequieto, diviso fra tradizione e modernità. Qui la sua grandezza, qui i suoi limiti. Di Pound s’intende.
L’individualismo metodologico,
come accettazione del fallibilismo, è
quanto di più lontano dai presupposti cognitivi di una cultura della tentazione fascista che invece disprezza i
pilastri dell’epistemologia moderna: individuo, falsificabilità, relativismo. Ai quali continua a opporre: olismo, essenzialismo,
assolutismo storico. Le tre chiavi dell'infallibilismo.
Ora mentre la modernità
cognitiva, in nome del relativismo, accetta, quanto meno a livello ipotetico, i presupposti del “tradizionalismo cognitivo” (semplificando), la cultura della tentazione fascista, che ne è imbevuta, proprio perché assolutista,
rifiuta qualsiasi confronto, autoescludendosi.
Di qui, la cesura. Da un lato, il desiderio di conoscere
e sapere della modernità cognitiva e quindi della sinistra, che ne ha condiviso
i presupposti. Dall'altro, l’indifferenza e il disinteresse, di una
cultura essenzialista, come quella della
tradizionalismo cognitivo ( e di rimbalzo della tentazione fascista), convinta di
possedere l’ essenza delle cose, e
quindi di avere tutte le risposte in tasca.
Pertanto, il problema, non
riguarda le proporzioni dei “glutei”.
Detto altrimenti, l’intensità dei
riflessi carnivori della sinistra. Ma la
sua ottima preparazione culturale,
frutto di un’accettazione piena della modernità cognitiva. Che
invece Veneziani ha sempre rifiutato.
Un rigetto che, per contagio, non ha aiutato certa destra culturale a interrogarsi, senza remore, sulle buone ragioni dell’epistemologia moderna. Ciò significa che la distanza con la sinistra e con la modernità cognitiva non è dettata dalla scelta dei temi. Ma dall’ approccio. Certo, tutti possono seguire le avventure dei Simpson. Dipende come. O gustandoli, in una multisala, come un prodotto, per quando diluito della modernità cognitiva. Oppure, restando, ben nascosti dentro una grotta in Afghanistan…
Un rigetto che, per contagio, non ha aiutato certa destra culturale a interrogarsi, senza remore, sulle buone ragioni dell’epistemologia moderna. Ciò significa che la distanza con la sinistra e con la modernità cognitiva non è dettata dalla scelta dei temi. Ma dall’ approccio. Certo, tutti possono seguire le avventure dei Simpson. Dipende come. O gustandoli, in una multisala, come un prodotto, per quando diluito della modernità cognitiva. Oppure, restando, ben nascosti dentro una grotta in Afghanistan…
Perciò, Veneziani di che si lamenta? Chi è causa del suo male, anzi della sua grotta, pianga se stesso.
Carlo Gambescia
(*) Qui l’articolo di Veneziani: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-rivoluzione-apparente/
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