martedì 9 aprile 2019

Come  vedere i  Simpson in Afghanistan…
Il lamento di Marcello Veneziani


Marcello Veneziani in una cosa eccelle.  Quale?La scrittura? No.   A dire il vero, non scrive male, ha un suo stile, però poi esagera con  i giochi di parole tipo Bagaglino.    
Allora? Le idee? No. Le  pesca, da sempre, senza alcuna originalità,  tra i rottami della  tentazione fascista, anni Venti e Trenta.  Per capirsi:  nulla a che vedere  con la straordinaria chiave di lettura del fascismo  offerta da Giano Accame. E  dal di fuori. Pensiamo in particolare alla sua serie televisiva sulle  “Intelligenze scomode del Novecento”. Un piccolo capolavoro  di  retorica della transigenza,  se si vuole, un ottimo esempio  di sano relativismo cognitivo.   
Veneziani invece è dentro la cultura neofascista.  E fino al collo. Si  applichino ai suoi scritti i modelli della retorica di destra -    sviluppati da Hirschman -    se ne  scopriranno  delle belle.
Dicevamo, Veneziani  eccelle in una cosa.  Quale?  Il lamento.  E fin dai suoi inizi. Quando scrisse all’ “Espresso”  versando lacrimoni  sulla  sua esclusione, per colpa della sinistra, dal grande giro.  La  sinistra, non raccolse. Ma uno sventurato rispose. I singhiozzi valsero a Veneziani la chiamata di  Ciarrapico. Editore vicino ad Andreotti. Quanto di più lontano da un  purosangue evoliano-mussoliniano
Certo, la carne è debole.  Come quando Veneziani accettò  la nomina a consigliere di amministrazione Rai in quota centrodestra.  Altro modo  di cavalcare la tigre… In poltrona.
Ora, sembra si senta  ignorato da  Salvini.  Mentre i  Cinque Stelle  pare  lo reputino più fascista del Tognazzi del  “Federale”, quello della “buca con acqua”.   Perciò,  almeno per il momento,  sembra fuori dal giro  dei vincitori.  La “rivoluzione populista”  non ne vuole sapere dei suoi preziosi consigli. Di conseguenza,  Veneziani non poteva non scrivere  un bell’articolo,  pieno zeppo  di singhiozzi, verso l’ennesima congiura  della cultura di sinistra.  Che, nonostante il governo gialloverde,  già in  odore di badoglismo, continuerebbe  a tenere  i “glutei sulle poltrone”:  dalla Rai all’editoria, eccetera, eccetera.
Ora, che la sinistra sia dotata di riflessi carnivori è un dato di fatto.  Però studia.  Mai rimasta ferma a Marx. Ha interagito con Freud. Riletto Nietzsche. Cavalcato Proust, Joyce, Musil, Kafka e il fior fiore della letteratura novecentesca. Ha riabilitato perfino, e con ragione,  Pound e Hamsun. Insomma,  ha detto la sua su tutto, e spesso in modo originale. Ha interpretato e reinterpretato, piaccia o meno, la modernità cognitiva.  Si è mossa dentro i confini dell’epistemologia moderna. Non fuori. Certo, l’ha decomposta, destrutturata, addirittura sminuzzata,  ma sempre nel nome dell’individualismo metodologico.   
In sintesi, la sinistra  non ha mai  smesso  di aggiornarsi, reinterpretare, produrre.   Veneziani scrive lo stesso libro da quarant’anni. Dando, ad esempio, più versioni  della rivoluzione conservatrice in Italia.  Tradotto: continua a dire  sempre  le stesse cose  pescate e ripescate  nell’alveo  della “tentazione fascista”. Da  sublime interprete di  una cultura politica  che nel nome dell’occasionalismo romantico  fece un bel tratto di strada  con i  regimi fascisti. Poi con Berlusconi. E ora, anche se in  modalità Grillo Parlante,  con i populisti.  
Sì, è vero, come nota Kunnas  che ha coniato il termine,  che  i cripto-fascisti e fascisti ( e i neofascisti) si confrontarono (e confrontano) con la modernità.   Ma in chiave reazionaria.   Pound  prima di tramutarsi in  tragedia politica,  fu  tragedia esistenziale:  di un io insonne e irrequieto, diviso fra tradizione e modernità.  Qui la sua grandezza, qui i suoi limiti.  Di Pound  s’intende.  
L’individualismo metodologico, come accettazione del fallibilismo, è quanto di più lontano dai presupposti cognitivi di  una cultura della tentazione fascista  che invece disprezza i pilastri dell’epistemologia moderna: individuo, falsificabilità,  relativismo. Ai quali  continua a opporre: olismo, essenzialismo, assolutismo storico.  Le tre chiavi dell'infallibilismo.
Ora mentre la modernità cognitiva, in nome del relativismo, accetta, quanto meno a livello ipotetico,  i presupposti del “tradizionalismo cognitivo” (semplificando),  la cultura della tentazione fascista, che ne è imbevuta, proprio perché assolutista, rifiuta qualsiasi confronto, autoescludendosi.   
Di qui, la cesura. Da un lato,  il desiderio di conoscere e sapere della modernità cognitiva e quindi della sinistra, che ne ha condiviso i presupposti. Dall'altro,  l’indifferenza e il disinteresse, di una cultura essenzialista,  come quella della tradizionalismo cognitivo ( e di rimbalzo della  tentazione fascista),  convinta di possedere l’ essenza delle cose,  e quindi di avere tutte le risposte in tasca.
Pertanto, il problema, non riguarda le proporzioni dei  “glutei”. Detto altrimenti,  l’intensità dei riflessi carnivori  della sinistra. Ma la sua ottima  preparazione culturale, frutto di un’accettazione piena della modernità cognitiva.  Che  invece Veneziani ha sempre rifiutato.
Un rigetto che,  per contagio,  non ha aiutato  certa destra culturale a interrogarsi, senza remore,  sulle buone ragioni dell’epistemologia moderna. Ciò significa che la distanza con la sinistra e con la modernità  cognitiva non è dettata dalla scelta dei temi. Ma dall’ approccio.  Certo,  tutti  possono seguire  le avventure  dei  Simpson. Dipende come. O gustandoli,  in una multisala,  come un prodotto, per quando diluito della modernità cognitiva. Oppure,  restando, ben nascosti  dentro una grotta in Afghanistan…  
Perciò,  Veneziani  di che si lamenta?  Chi è causa del suo male, anzi della sua grotta,  pianga se stesso.      

Carlo Gambescia        
              

            

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