La protesta anti-nomadi di Tor Bella Monaca
I frutti velenosi dello Stato Provvidenza
Tor Bella Monaca vive e lotta nell’immaginario dei sociologi. Soprattutto di quei colleghi idealisti che sognano la società perfetta e dell’abbondanza, grazie alla magnifica opera redistributiva dello “Stato Provvidenza”.
In realtà, sembra che le cose non
stiano proprio così. La mano pubblica
funziona a breve, ma non nel lungo periodo. Come del resto provano le proteste anti-nomadi di questi
giorni.
Partiamo, intanto, da un’indagine
della Cgil del 2011, abbastanza approfondita, sulla composizione sociale del quartiere:
diritti di proprietà, redditi, livelli
di istruzione, abbandono scolastico, eccetera, eccetera. Indagine che si rivela
di una certa utilità, per capire il perché dell’onda lunga razzista
di questi giorni (*).
Qualche dato.
Quartiere, di edilizia intensiva,
costruito nel 1981-1983, 28 mila abitanti, i due terzi degli edifici
sono di proprietà pubblica, dunque in
affitto, bassa l’età media dei residenti, alti tassi di natalità, forte presenza di residenti “diversamente
abili” e di etnie straniere, alto tasso di abbandono scolastico
I redditi per l’80 per cento dei residenti
sono inferiori ai duemila euro mensili, parliamo di famiglie monoreddito composte nel 50 per cento dei
casi da più di tre persone. I canoni di affitto, trattandosi, per la maggior
parte di edilizia
pubblica, sono però bassi. Interessante,
perché positivo, il giudizio dei residenti sul quartiere:
Sembra
importante sottolineare quanto emerge dalle opinioni chieste sugli aspetti
abitativi e del quartiere. Gli abitanti infatti, pur manifestando l'esigenza di
un miglioramento su alcune condizioni, dichiarano di essere mediamente
abbastanza soddisfatti sia per ciò che riguarda la casa che abitano, sia per il
quartiere in cui vivono [...]. In conseguenza, circa la qualità
percepita, quasi il 60% degli intervistato dichiarano che non cambierebbero né
casa né quartiere, un altro 25% mostra un livello di soddisfazione minore,
desiderando dei miglioramenti. Solo una quota pari a meno del 10% se potesse
andrebbe via.
Diamo per scontato che negli
ultimi anni la situazione sia peggiorata.
Con un crollo del gradimento, eccetera,
eccetera. Detto questo però, il vero
punto è che, stante la composizione sociale ed economica del quartiere, non ci troviamo dinanzi
a borghesi impauriti che temono di perdere status, secondo la narrazione corrente del populismo di destra e sinistra. Ma davanti a un proletariato assistito, (l’alto
tasso di disabili, dichiarati, tra l’altro, potrebbe dirla lunga sulla percezione a pioggia di indennità sociali), caucasoide, dall’età media non molto
elevata, quindi con tendenze irriflessive. Un universo sociale che, ecco il punto, non vuole dividere i tassi di soddisfazione, mediocri che siano (dal punto di vista dei ceti medi), con nessuno, soprattutto con gli stranieri.
Il che spiega, la protesta, e in
particolare il valore simbolico di
quel calpestare il pane che
doveva essere consumato dai settantasette rom trasferiti dal Comune di Roma nel locale centro di
accoglienza (**).
Per spiegarsi: un sottoproletariato
affamato non spreca il pane, lo raccoglie e porta a casa, per
sfamare i propri cari. Chi sia
“sfiancato” da una vita grama, non ha tempo né forza per protestare.
Pertanto siamo davanti,
all’ennesimo fallimento dello “Stato Provvidenza”:
un dispositivo socio-economico che
favorisce solo l’ egoismo collettivo, mettendosi al servizio di individualisti protetti che, ripetiamo, non vogliono dividere con altri quel poco o tanto che possiedono grazie all'intervento salvifico dei poteri pubblici.
Naturalmente, sullo scontento,
specula, in nome di uno “Stato Provvidenza”, ma solo per gli italiani, la destra
razzista. Ponendo così le basi, per il suo futuro fallimento, anche in caso di
vittoria.
Perché fallimento? Più crescono le provvidenze sociali, più cresce l’egoismo dei
percettori, più aumenta l’ingovernabilità dell’intero sistema assistenziale, sensibilissimo, dal punto di vista degli
utilizzatori finali, alle diminuzioni
o sospensioni dei servizi sociali. Insomma, l'assistenzialismo, provoca una dipendenza, prima che economica, psicosociale.
L’assistito è un cattivo
cittadino, perché il suo senso civico, dunque anche lo spirito di
tolleranza verso i diversi, se e quando cresce, finisce per dipendere dalla quantità di assistenza ricevuta. Il che è già un approccio a dir poco limitativo basato su un do ut des puramente meccanicistico che favorisce solo i riflessi carnivori degli individui. Ci si aspetta, in modo superficiale, che il tasso di civismo aumenti o diminuisca in base ai flussi delle risorse assistenziali godute. Se ci si perdona la caduta di stile, il civismo viene venduto un tanto al chilo. Tuttavia, una cosa è certa, che non
potendo, l’assistenzialismo, per ragioni
obiettive di risorse economiche, aumentare all’infinito, i conflitti redistributivi risultano comunque inevitabili.
In realtà, a differenza di quel che ritiene in particolare il populismo di sinistra, tra assistenzialismo e tolleranza, come prova l’esperienza di Tor Bella Monaca, non c’è alcuna correlazione positiva. Insomma, affitti bassi, indennità sociali, istruzione di base, non fanno diventare più buoni i cittadini. Ma solo più egoisti.
In realtà, a differenza di quel che ritiene in particolare il populismo di sinistra, tra assistenzialismo e tolleranza, come prova l’esperienza di Tor Bella Monaca, non c’è alcuna correlazione positiva. Insomma, affitti bassi, indennità sociali, istruzione di base, non fanno diventare più buoni i cittadini. Ma solo più egoisti.
Almeno allo stato dei fatti.
Carlo Gambescia