giovedì 11 aprile 2019

Benedetto Croce 
e  "l’ ira dei social"



Cosa  direbbe  Benedetto Croce dell’ "ira dei social”?   Di un' idea e di un fatto, ridotti  a stilema  mediatico?   A tratto lessicale dai risvolti evocativi,  a  metà  strada tra il giudizio penale e il giudizio di dio?
Croce, non stimava le folle. E per questo fu antifascista, salvo un qui pro quo iniziale, da amante dell’ordine e avversario  del socialismo parolaio. 
Cosa direbbe Croce?   Non stimando affatto  la filosofia  plebea  racchiusa nel  vox populi vox dei  ci inviterebbe  a diffidare dei social e soprattutto  dell' "ira dei social".   Come pure  di ogni altra forma di pensiero irriflesso.  Croce, basta ripercorrere  Etica e politica,  temeva particolarmente le reazioni dettate da  emozioni mescolate a ingenue e pulviscolari cognizioni del mondo e della  realtà. A suo avviso,  il pensiero irriflesso è facilmente manipolabile.  Ecco il succo della riflessione crociana.  Come non concordare?

Certo, il filosofo liberale resta  un  pensatore aristocratico, non nel senso volgare dell’estrazione sociale,  ma perché ben consapevole che  il vero pensiero è sempre aristocratico, dunque  per poche menti elevate.   E di conseguenza riteneva  pericoloso gratificare le folle rilanciando l'idea demagogica che la  riflessione filosofica, politica, eccetera,  fosse alla portata di tutti.  E per giunta senza quel plusvalore dettato dall' intelligenza, dallo studio, dalla volontà.  Doti non comuni. Anch’esse, per pochi.
Alcuni   ironizzano  sull'interpretazione crociana del fascismo, ridotto, si legge tuttora,  a invasione degli Hyksos. In realtà, Croce scorgeva  nel  fascismo  tutti sintomi di una malattia morale, come  proliferazione,  inaspettata,  in un corpo sano,  di un male che può uccidere come debilitare l’organismo. Dal quale però  si può anche  guarire, passando per  una  più o meno lunga convalescenza.
Forse la nostra metafora non sarebbe piaciuta a Croce. Ma è solo un altro modo per  rappresentare  la sua tesi. Quella   di un fascismo che all'occasione si fece morboso interprete, manipolandola,  dell’ira immotivata dei combattenti, degli operai e dei contadini; del risentimento dei piccoli  borghesi nazionalisti; della paura di agrari e industriali  verso  sindacalismo e  bolscevismo.  
Parliamo  di un vero proprio universo emozionale,   pre-politico,  contraddistinto  dall' ingiusta   ira  sociale  verso  élite  che invece avevano garantito progresso, conquiste sociali e vinto una guerra. Dietro l’ira c’è sempre l’ingratitudine sociale, e dietro quest’ultima  il risentimento morale.

Bendetto Croce con Enrico De Nicola

Tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti,  l’odio sociale dilagò, senza un vero e proprio motivo.  Il  compito del fascismo  fu quello di amplificare,  raccogliere e manipolare  l’ira dei social di allora.  Grazie anche al fiancheggiamento della stampa e di uomini  politici, da destra a sinistra,  che non credevano più in quei  valori liberali che in sessant’anni avevano  trasformato e in meglio l’Italia.
Fu un fulmine a ciel sereno. L’Italia aveva vinto la guerra. Eppure quella vittoria  venne presentata dagli  haters di allora come una sconfitta. Incredibile.   
Il mito della “vittoria mutilata”, frutto di gretto e sciocco complottismo patriottardo, è il  macroesempio, se ci si perdona la caduta di stile,  della tante  bufale in cui credono gli haters di oggi, quando marciano, tutti in fila,  sotto la  la bandiera  della nuova  “vittoria mutilata"  dai cattivi  dell’ Ue, della Bce, del Fmi, eccetera, eccetera. 
Croce aveva ragione. Anzi continua ad avere ragione.  Un corpo politico sano, si può ammalare, moralmente ammalare e  crollare a terra.  
Allora, all’Italia,  ci vollero più di vent’anni per rialzarsi.  E oggi?


Carlo Gambescia