Benedetto Croce
e "l’ ira dei social"
Cosa
direbbe Benedetto Croce dell’ "ira dei social”? Di un' idea e di un fatto,
ridotti a stilema mediatico?
A tratto lessicale dai risvolti evocativi, a
metà strada tra il giudizio
penale e il giudizio di dio?
Croce,
non stimava le folle. E per questo fu antifascista, salvo un qui pro quo iniziale, da amante
dell’ordine e avversario del socialismo
parolaio.
Cosa direbbe Croce? Non stimando affatto la filosofia plebea racchiusa nel vox
populi vox dei ci inviterebbe a
diffidare dei social e soprattutto dell' "ira dei social". Come pure di ogni altra forma di pensiero irriflesso. Croce,
basta ripercorrere Etica e
politica, temeva particolarmente le reazioni dettate da emozioni mescolate a ingenue e pulviscolari cognizioni del mondo e della realtà. A suo avviso, il pensiero irriflesso è facilmente manipolabile. Ecco il succo della riflessione crociana. Come non concordare?
Certo,
il filosofo liberale resta un pensatore aristocratico, non nel senso volgare dell’estrazione
sociale, ma perché ben consapevole che il vero pensiero è sempre aristocratico, dunque per poche menti elevate. E di conseguenza riteneva pericoloso gratificare le folle rilanciando l'idea demagogica che la riflessione filosofica,
politica, eccetera, fosse alla portata
di tutti. E per giunta senza quel plusvalore dettato dall' intelligenza, dallo studio, dalla volontà. Doti non comuni. Anch’esse, per pochi.
Alcuni ironizzano sull'interpretazione crociana del fascismo, ridotto, si legge tuttora, a invasione degli Hyksos. In realtà, Croce scorgeva nel fascismo tutti sintomi di una malattia morale, come proliferazione, inaspettata, in un corpo sano, di un
male che può uccidere come debilitare l’organismo. Dal quale però si può anche guarire, passando per una più
o meno lunga convalescenza.
Forse
la nostra metafora non sarebbe piaciuta a Croce. Ma è solo un altro modo
per rappresentare la sua tesi. Quella di un fascismo che all'occasione si fece morboso
interprete, manipolandola, dell’ira immotivata dei
combattenti, degli operai e dei contadini; del risentimento dei piccoli borghesi nazionalisti; della paura di agrari
e industriali verso sindacalismo
e bolscevismo.
Parliamo di un vero proprio universo emozionale, pre-politico, contraddistinto dall' ingiusta ira
sociale verso élite
che invece avevano garantito progresso, conquiste sociali e vinto una guerra. Dietro l’ira c’è sempre l’ingratitudine
sociale, e dietro quest’ultima il
risentimento morale.
Bendetto Croce con Enrico De Nicola |
Tra
la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti, l’odio sociale dilagò, senza un vero e proprio motivo. Il compito del fascismo fu quello di amplificare, raccogliere e manipolare l’ira dei social di allora. Grazie anche al fiancheggiamento della stampa
e di uomini politici, da destra a
sinistra, che non credevano più in quei valori liberali che in sessant’anni avevano trasformato e in meglio l’Italia.
Fu
un fulmine a ciel sereno. L’Italia aveva vinto la guerra. Eppure quella
vittoria venne presentata dagli haters di allora come una sconfitta. Incredibile.
Il
mito della “vittoria mutilata”, frutto di gretto e sciocco complottismo patriottardo, è il macroesempio, se ci si perdona la caduta di
stile, della tante bufale in cui credono gli haters di oggi, quando marciano, tutti in fila, sotto la la bandiera della nuova “vittoria mutilata" dai cattivi dell’ Ue, della Bce, del Fmi,
eccetera, eccetera.
Croce
aveva ragione. Anzi continua ad avere ragione. Un corpo politico sano, si può ammalare,
moralmente ammalare e crollare a terra.
Allora, all’Italia, ci vollero più di vent’anni per rialzarsi. E oggi?
Carlo Gambescia