Renzi esce dal Pd e fonda Italia Viva
Una scommessa rischiosa
Renzi
esce a destra. Questa è la buona notizia per gli elettori moderati. A destra però rispetto a una formazione politica decisamente caratterizzata a sinistra.
Ma
- ecco la cattiva notizia - da sempre le scissioni a destra, del
socialismo riformista all’interno della sinistra, non
funzionano. Come non funzionano le successive riunificazioni. La storia della
socialdemocrazia saragattiana, e prima ancora dei riformisti del partito socialista di inizio Novecento,
prima con Bonomi poi con Turati, insegna che in Italia di spazio politico per il
riformismo di sinistra ce n'è stato sempre poco. Craxi, riformista
per eccellenza, a capo diciamo di un partito socialista idealmente
riunificato, fu abbattuto a colpi di proiettili dum-dum giudiziari. E il riformismo socialista raso al suolo.
La
sinistra italiana ha radici populiste
molto profonde, anti-riformiste, prima ancora che Grillo si pronunciasse. Si
pensi ai moltissimi elettori di sinistra che tuttora rimpiangono Berlinguer, grande ammiratore del modello di sobrietà sociale rappresentato dal Vietnam
riunificato dai comunisti.
Lasciamo
per ora da parte le discussioni sul governo in ostaggio (cosa
tra l’altro vera), per concentrare la
nostra attenzione sulle possibilità “storiche” di Italia Viva (questo il nome delle
nuova formazione creata da Renzi).
Diciamo subito che lo spazio politico maggioritario residuale di centro, tra un sinistra pseudo-populista (il Pd zingarettiano) e populista (il
Movimento Cinque Stelle) e la destra populista-razzista, è veramente
poca cosa. Del resto si tratta
anche di una questione legata al sistema elettorale: con l’attuale sistema semi-proporzionale (per
la quota di maggioritario) Italia Viva potrebbe guadagnare qualche seggio in Toscana, con
il maggioritario sparirebbe. Pertanto Renzi per sopravvivere - attenzione, sopravvivere - dovrebbe puntare sul
proporzionale secco. Sarà accontentato dagli ex alleati? Difficile dire. Certo, il proporzionale potrebbe fermare l’escalation maggioritaria di
Salvini. Quindi un accordo si potrebbe trovare. Vedremo.
Come anticipato Renzi esce a destra, ma le
prospettive politiche non sono buone, perché
non è molto amato dagli elettori
che votano Salvini, Meloni, Zingaretti e
Di Maio. Ci sarebbero gli elettori di Forza Italia, ma il partito del Cavaliere è in caduta libera e la sua base elettorale in larga parte guarda a Salvini. Renzi, a sua volta, potrebbe conquistare la cosiddetta area del non
voto, tentando di allargare il centro elettorale. Cosa non proprio semplice.
Quanto
al possibile programma, l’ex sindaco
fiorentino, fedeltà europea a parte, gravita purtroppo tra il populismo elettoralistico e alcune
parziali riforme del lavoro e delle
pensioni. Il suo riformismo risente troppo del ciclo elettorale. Non ha un baricentro preciso.
Il personaggio è brillante ma polemico e arrogante, ha capacità
di lavoro, ma talvolta sembra prevalere l’agitatore sull’amministratore (per usare le categorie di Lasswell). Inoltre ha su di sé gli occhi puntati dei social, che non lo amano. E
probabilmente anche quelli non benevoli
della magistratura populista: i due poteri che in Italia decidono della fortuna dei politici. Anche i giornali a grande tiratura non lo trattano bene. Si dia un'occhiata ai titoli di oggi: tifano per Zingaretti.
Dicevamo
della buona notizia per l’elettore moderato. In realtà, si tratta di una buona
notizia così e così. Certo, Renzi
potrebbe condizionare il governo giallo-rosso in chiave riformista. Sempre che,
trascinato dalle proprie capacità agitatorie, non scelga poi ogni volta di dire il contrario di quel che dice il
governo. Optando così per una specie di
cripto-populismo fino addirittura a spezzare, e male la corda (da "mezzo" populista). Anche se -
e di questo il lettore prenda appunto -
Renzi, per ora, non ha alcun interesse al voto, dal quale
Italia Viva uscirebbe decimata.
Naturalmente, Zingaretti, Di Maio e Conte (quest’ultimo con la tessera invisibile del
Pd in tasca) hanno preso male la scissione, perché la
maggioranza da due è passata a tre gambe, e la terza, quella renziana già sembra scalpitare. Lo "stai sereno" all'indirizzo di Conte suona come una minaccia.
Renzi,
in effetti, sul piano della manovra
politica a breve, se l’è cavata magnificamente.
Ha i suoi avversari in pugno. Ma, ripetiamo,
teme le elezioni. Quindi prima di mollare, salvo colpi di testa, ce ne vorrà.
Naturalmente,
la litigiosità intra-governativa crescerà. Il che potrebbe fare il gioco della
destra populista e razzista, votata al cesarismo e alla delegittimazione della democrazia
parlamentare: "Ecco, li vedete i Signori del Palazzo". E
questa è una notizia decisamente cattiva…
Al
posto di Renzi avremmo evitato di uscire dal Pd. Il condizionamento a breve del
governo, può trasformarsi in una
catastrofe politica per l’ex sindaco di Firenze, per la sinistra riformista e
per la democrazia italiana. Diciamo che Renzi ha scommesso su di sé. Ma il rischio di perdere è altissimo.
I
partiti si condizionano e riconquistano
dall’interno. Questa però è un’altra storia.
Carlo Gambescia