mercoledì 18 settembre 2019

Renzi esce dal Pd e  fonda Italia Viva
Una scommessa rischiosa




Renzi esce a destra. Questa è la buona notizia per gli elettori moderati. A destra però rispetto a una formazione politica decisamente caratterizzata a sinistra. 
Ma - ecco la cattiva  notizia -   da sempre le scissioni a destra, del socialismo riformista all’interno della sinistra, non funzionano. Come non funzionano le successive riunificazioni. La storia della socialdemocrazia  saragattiana,  e prima ancora dei riformisti del partito socialista di inizio Novecento, prima con Bonomi poi con Turati,   insegna  che in Italia di spazio politico per il riformismo di sinistra ce n'è stato sempre poco.  Craxi, riformista per eccellenza, a capo diciamo di un partito socialista idealmente riunificato, fu abbattuto a colpi di proiettili dum-dum giudiziari. E  il riformismo socialista raso al suolo.
La sinistra italiana  ha radici populiste molto profonde,  anti-riformiste,  prima ancora che Grillo si pronunciasse. Si pensi ai moltissimi elettori di sinistra che tuttora rimpiangono Berlinguer, grande ammiratore del modello di  sobrietà sociale rappresentato dal Vietnam riunificato dai comunisti.      

Lasciamo per ora da parte  le discussioni  sul governo in ostaggio (cosa tra l’altro vera),  per concentrare la nostra attenzione   sulle possibilità “storiche” di Italia Viva (questo il nome delle nuova formazione creata da Renzi).  Diciamo subito che lo spazio politico maggioritario residuale di centro,  tra un sinistra pseudo-populista  (il Pd zingarettiano) e populista (il Movimento Cinque Stelle) e la  destra populista-razzista,  è veramente  poca cosa.  Del resto si tratta anche di una  questione  legata al sistema elettorale: con l’attuale sistema semi-proporzionale (per la quota di maggioritario) Italia Viva potrebbe guadagnare qualche seggio in Toscana, con il maggioritario sparirebbe. Pertanto Renzi per sopravvivere - attenzione, sopravvivere -  dovrebbe puntare sul proporzionale secco. Sarà accontentato dagli ex alleati? Difficile dire.  Certo, il proporzionale  potrebbe fermare l’escalation maggioritaria di Salvini. Quindi un accordo si potrebbe trovare. Vedremo.   

Come anticipato Renzi esce a destra, ma le prospettive politiche  non sono buone,   perché  non è  molto amato dagli elettori che votano Salvini, Meloni,  Zingaretti e Di Maio. Ci sarebbero gli elettori di Forza Italia, ma  il  partito del Cavaliere è in caduta libera e la sua base elettorale in larga parte  guarda a Salvini.  Renzi, a sua volta,  potrebbe conquistare la cosiddetta area  del non voto, tentando di  allargare il centro elettorale. Cosa non proprio semplice.                                                  
Quanto al possibile  programma, l’ex sindaco fiorentino, fedeltà europea a parte, gravita purtroppo  tra il populismo elettoralistico e alcune parziali riforme  del lavoro e delle pensioni. Il suo riformismo risente troppo del ciclo elettorale. Non ha un baricentro preciso.  
Il personaggio  è brillante ma polemico e  arrogante,  ha capacità di  lavoro, ma  talvolta sembra prevalere  l’agitatore  sull’amministratore (per usare le categorie di Lasswell).  Inoltre ha su di sé gli  occhi puntati dei social, che non lo amano. E probabilmente anche quelli non benevoli  della magistratura populista:  i due poteri che in Italia decidono della fortuna dei politici. Anche i giornali a grande tiratura non lo trattano bene. Si dia un'occhiata ai titoli di oggi:  tifano per Zingaretti. 
Dicevamo della buona notizia per l’elettore moderato. In realtà,  si tratta di una buona notizia così e così. Certo,  Renzi potrebbe condizionare il governo giallo-rosso in chiave riformista.  Sempre che, trascinato dalle proprie capacità agitatorie,  non scelga poi ogni volta  di dire  il contrario di quel che dice  il governo. Optando così  per una specie di  cripto-populismo  fino addirittura  a spezzare,  e male la corda (da "mezzo" populista).  Anche se -  e di questo il lettore prenda appunto -   Renzi, per ora,  non ha alcun interesse al voto, dal quale Italia Viva  uscirebbe decimata.

Naturalmente, Zingaretti, Di Maio e Conte (quest’ultimo con la tessera invisibile del Pd in tasca)  hanno preso male la scissione, perché la maggioranza da due è passata a tre gambe, e la terza, quella renziana già sembra scalpitare. Lo "stai sereno"  all'indirizzo di Conte  suona come una minaccia. 
Renzi, in effetti,  sul piano della manovra politica a breve,  se l’è cavata magnificamente.  Ha i suoi avversari in pugno. Ma, ripetiamo, teme le elezioni. Quindi prima di mollare, salvo colpi di testa,  ce ne vorrà.
Naturalmente, la litigiosità intra-governativa crescerà. Il che potrebbe fare il gioco della destra populista e razzista, votata al cesarismo e  alla delegittimazione della democrazia parlamentare:  "Ecco, li vedete i Signori del Palazzo".  E questa  è  una notizia decisamente cattiva…
Al posto di Renzi avremmo evitato di uscire dal Pd. Il condizionamento a breve del governo,  può trasformarsi in una catastrofe politica per l’ex sindaco di Firenze, per la sinistra riformista e per la democrazia italiana.  Diciamo che Renzi ha scommesso su di sé. Ma il  rischio di perdere è altissimo.  
I partiti  si condizionano e riconquistano dall’interno. Questa però è un’altra storia.     


Carlo Gambescia