Manette agli evasori?
Una buffonata (ma
forse è meglio così)
In
Italia, l’idea delle manette agli evasori, che periodicamente viene riproposta
dall’ala giacobina della politica, dai tempi preistorici di Vanoni, poi di Visentini fino a
Conte e Di Maio, fa il paio con la politica dei condoni
fiscali.
Una
politica, quest'ultima, altrettanto ciclica, ma più realistica di quella da stato di polizia fiscale che si nasconde dietro l’idea delle manette. Parliamo di una misura punitiva irrealizzabile e contraria allo spirito e alle lettera di una società aperta, dove, proprio perché tale non possono non circolare liberamente persone, capitali merci.
Di
solito, in Italia, per attirare il
sostegno del livore collettivo verso la ricchezza, odiata e invidiata al tempo
stesso, ogni volta che si riparla di manette,
si sottolinea che la misura riguarderà solo i grandi evasori. Di qui, la regolare introduzione legislativa di “tetti” che, di fatto, salvaguardano dalle manette il novantacinque per cento dei cittadini. Insomma, una buffonata.
Il
che non significa che le manette siano giuste.
Un poco di storia. I tributi hanno odiose origini estorsive, legate al finanziamento delle guerre
esterne e al depredamento degli sconfitti. Nel tempo si è però cercato di "normalizzarli" attribuendo alla rapina uno specie di nobile signficato etico-politico. E come? Ricorrendo a una visione paternalistica della politica,
in qualche misura cristianizzata. Dove, si dice, che lo stato, come un buon padre,
vede e provvede al benessere del cittadino, grazie al regolare versamento di imposte e
tasse. Pertanto, il rifiuto o il mancato pagamento i
tributi continua ad essere giudicato in molti ambienti politici come un tradimento verso una specie di
stato-famiglia.
Naturalmente,
le moderne teorie del contratto, contraddistinte da una concezione
individualistica, hanno aggiornato questa logica, trasferendola sul piano del
do ut des, della protezione contro obbedienza.
Sicché, a stretto rigore (ecco la controindicazione), in caso
di basso redditività politica, il
cittadino potrebbe rifiutarsi di pagare i tributi: niente protezione, niente
obbedienza. O comunque, come teorizzato più romanticamente dai coloni americani, verso la corona
inglese, no taxation without representation.
Principio, quest’ultimo, che però ammette, uscendo da una logica puramente contrattuale,
che lo stato, se legittimamente riconosciuto, possa imporre tributi ai cittadini. Pertanto ci si muove comunque in un’ottica, sebbene conflittuale, già post-individualistica e post-contrattuale
perché si riconosce allo stato, date
certe condizioni, il terribile diritto di tassare.
Come ora si può capire, la storiella dello stato-famiglia, riciclata in chiave secolare e moderna da socialisti, comunisti, verdi, fascisti, statalisti e giustizialisti di vario genere, non è poi così lineare, come si vuole far credere. Anche perché essa fa leva stupidamente sull’invidia delle
gente verso la ricchezza, giudicata in chiave balzachiana, come regolare frutto di imbrogli.
Come
uscirne? Usando il buon senso.
L’ evasione, se proprio si vuole usare questo brutto termine di tipo carcerario, resta collegata alla elevata pressione fiscale. È una forma di giusta autodifesa individuale dall’espropriazione dei propri beni. Di conseguenza, come mostrano gli ottimi e documentati studi della scuola della public choise, meno si paga, meno si evade.
L’ evasione, se proprio si vuole usare questo brutto termine di tipo carcerario, resta collegata alla elevata pressione fiscale. È una forma di giusta autodifesa individuale dall’espropriazione dei propri beni. Di conseguenza, come mostrano gli ottimi e documentati studi della scuola della public choise, meno si paga, meno si evade.
Il principio è
molto semplice, addirittura semplicistico. Come
mai non si applica? E si preferisce
invece sparare (a salve) contro i grandi evasori?
Presto detto. Perché si sa benissimo che una
volta espropriati gli espropriatori, e
inaridita la fonte primaria della
ricchezza sociale, lo stato, comunque affamato di risorse, dovrebbe inevitabilmente
puntare la pistola fiscale sul novantacinque
per cento dei cittadini, smorzandone
di colpo l’entusiasmo. Di qui, l’attacco
alle fonti secondarie , ma non meno importanti, della ricchezza sociale. Risultato? L’inevitabile nascita dello stato servile. Il quale, generalmente, prima o poi causa le
rivoluzioni. Dopo di che, punto a capo e si ricomincia.
Ciò spiega, perché l'idea delle manette agli evasori, o meglio il mito, non può non risolversi in una
buffonata. Anche perché, se si decidesse di andare fino in fondo, sarebbe peggio.
Carlo Gambescia