Anche quest’anno torna la kermesse di Fratelli d’Italia
Camerata Atreju presente!
Nell’anno
di grazia 2019 a che servono feste di partito come Atreju? Quattro
chiacchiere sui giornali, alcune dichiarazioni infuocate per gli imbecilli con
il braccio teso, altre in cifrato per
i possibili alleati, qualche ospite per la foto finale sul palco.
Questi fascistelli farebbero (occhio al condizionale) quasi tenerezza. Fascismo in doppio
petto, senza Almirante e Fini. Si legga
“Il Secolo d'Italia”, giornale fiancheggiatore, dove a proposito dello "spazio" Atreju si torna parlare come cinquant’anni fa di "radici", della “nostra gente”, della ricomposizione della “diaspora
interna” (*). "Sì, sì", come si usa dire nell'ambiente, "da camerata a camerata, fregatura assicurata"...
Del resto la kermesse si celebra nello spazio francobollo dell’Isola Tiberina, patrocinata da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, così appassionata di cultura da rilevare, per poi lasciarla affondare, la rivista “Area” creata da Gianni Alemanno: personaggio mai passato alla storia missina e postmissina, proprio per il suo lodevole tentativo di unire idee e politica, senza stravolgere le une e distruggere l’altra. Alemanno, genero di Pino Rauti e amico di Giano Accame, leggeva. Altri tempi...
A proposito di ospiti, quest'anno sarà il turno delle "categorie produttive": industriali, imprenditori, commercianti, eccetera. Destra anti-tasse, insomma. Non in chiave liberale ma chiassosamente populista e con radici fasciste. Nel senso che la politica economica di Fratelli d’Italia è quella di abbassare i tributi e aumentare pensioni e servizi sociali. La quadratura del cerchio. Sotto questo aspetto,
Che si diranno
Dicevamo che Atreju potrebbe fare tenerezza. Alla fin fine sono quattro gatti che ancora reputano Benito Mussolini il più grande statista del XX secolo. Continuano a ripetere le stesse parole d’ordine del Movimento Sociale e del Fascismo. Con un tratto di modernità: hanno arruolato il camerata Atreju, che come si legge sul sito delle festa, strizzando l’occhio al politicamente corretto,
“ è il protagonista del romanzo “La storia infinita” di Michael Ende. Appartiene al popolo dei pelleverde, vive in una tenda, ha carnagione olivastra, occhi scuri che vedono fino all’orizzonte. Il suo nome, nella lingua della sua gente, significa “Figlio di Tutti” e allude al fatto che Atreju è orfano ed è stato allevato dall’intera tribù” (**).
Si noti, “carnagione olivastra” , “occhi scuri”, “vive in una tenda”: un “orfano” però “allevato dall’intera tribù”. Insomma, Atreju potrebbe essere un immigrato. Peccato che finita la festa, spente le luci e smontate le bancarelle, alla Meloni, degli orfani, quelli veri, sui barconi, per usare il suo colorito linguaggio, “non je ne possa frega’ de meno”.
No, il camerata Atreju non può fare tenerezza. Fa paura.
Carlo Gambescia