La proposta di Luigi Di Maio
sul mandato imperativo
Ci risiamo...
Di Maio evoca nuovamente l’introduzione del vincolo di mandato. Cosa
dire? Che siamo davanti alla riprova di una democrazia liberale in piena crisi. E cosa più grave che gli uomini politici che dovrebbero fare da
filtro cognitivo a certe proposte populiste, provano di ragionare come il cittadino più sprovveduto.
Ad
esempio, il vincolo di mandato, o mandato imperativo, non è una scoperta di Luigi Di Maio… Nell’Ottocento, agli esordi europei della democrazia
parlamentare, si capì subito la pericolosità tendenziale del partito di
trasformarsi in fazione. Esiste tutta una letteratura, da destra a sinistra, pro o contro il mandato imperativo, da Rosmini a Rosenkranz e da Manzoni a Cavour.
Da parte liberale si temeva la trasformazione del parlamento, non nel governo dei migliori al servizio di “tutto” il paese, ma in un campo di battaglia tra "fazioni" inconciliabili. Di qui l'idea di opporsi a qualsiasi proposta di mandato imperativo, foriero di ancora più feroci divisioni politiche. Solo la garanzia - si diceva - dell' indipendenza degli eletti dai partiti e perfino dai propri elettori può favorire la necessaria serenità cognitiva dei lavori parlamentari.
Da parte liberale si temeva la trasformazione del parlamento, non nel governo dei migliori al servizio di “tutto” il paese, ma in un campo di battaglia tra "fazioni" inconciliabili. Di qui l'idea di opporsi a qualsiasi proposta di mandato imperativo, foriero di ancora più feroci divisioni politiche. Solo la garanzia - si diceva - dell' indipendenza degli eletti dai partiti e perfino dai propri elettori può favorire la necessaria serenità cognitiva dei lavori parlamentari.
Il che spiega, ancora oggi, il divieto di mandato imperativo sancito da molte costituzioni, come la nostra ad esempio. Si tratta di un importante lascito liberale, quasi un deterrente, alla tendenzialmente tersitea democrazia di massa.
Ovviamente, allora come oggi, troviamo schierati dalla parte del mandato imperativo tutti i nemici della democrazia liberale: nell’Ottocento la destra cattolica controrivoluzionaria, nel Novecento le forze di sinistra, soprattutto dopo la nascita dei partiti di massa, fermamente controllati
da segreterie, direzioni e comitati centrali.
E qui va affrontata una questione sgradevole, in particolare di questi tempi, avvelenati dal populismo. La
figura del deputato, che decide in libera coscienza, per poi essere punito o premiato
alle elezioni successive, come appunto impone la democrazia liberale, è forse il concetto politico più difficile da capire per la gente comune, purtroppo incapace costitutivamente di guardare oltre il proprio naso. Siamo giunti al punto che i populisti, come Di Maio ad esempio, si fanno vanto di proteggere la "santa ignoranza", perché, come si sostiene, le “normali”
aspettative politiche della famigerata "gente", comprensibili da tutti, rimandano alla difesa degli interessi concreti e non degli interessi astratti "del paese", usati dalla politica per imbrogliare le persone comuni, che non hanno tempo per studiare e informarsi. Insomma, l'ignoranza come scudo politico.
Se ci si pensa bene, siano davanti all'ammissione, anche da parte dei populisti, che il concetto, di interesse generale racchiude e impone una capacità di astrazione che, piaccia o meno, la gente comune mostra di non possedere. E infatti, nell’Ottocento, il suffragio era ristretto per ragioni di alfabetizzazione ma anche perché le
classi dirigenti liberali erano perfettamente consapevoli, come nella Francia di Guizot, dei limiti cognitivi umani e del conseguente pericolo di consegnare le nascenti
istituzioni parlamentari, alle forze
controrivoluzionarie, che dell’impulsiva ignoranza dell gente, facevano
bandiera.
Da
allora, periodicamente, il pericolo per
così dire della semplificazione cognitiva ad uso dell'elettore di massa, si è regolarmente
riproposto, sfociando nelle durissime prove tecniche di totalitarismo novecentesche. Ciò significa, che in realtà il mandato imperativo serve solo a garantire la prevalenza dei partiti sugli elettori. Altro che la difesa degli interessi concreti dei cittadini... E qui si pensi all'ingannevole meccanismo della Piattaforma Rousseau. Detto altrimenti, esiste una "ferrea legge dell'oligarchia", teorizzata da Roberto Michels (nella foto), che può essere addomesticata, come avviene con la democrazia liberale, ma non "abrogata" per così dire con la democrazia diretta o il mandato imperativo.
Di
conseguenza, una classe politica, come l' attuale, che, oltre a non essere capace di filtrare le contraddittorie aspettative
degli elettori, accetta che nei suoi
quadri parlamentari figurino demolitori della democrazia rappresentativa, come Luigi Di Maio, si scava la fossa da sola.
Si
dovrebbe invece prendere atto che la
democrazia liberale non può che reggersi
sul suffragio ristretto, rispettosissimo delle libertà civili ed economiche, ma geloso
delle libertà politiche, passive e attive,
ristrette, queste ultime, a un tipo di elettore per così dire cognitivo, culturalmente
indenne da qualsiasi spirito di fazione, se non quello aureo della consapevolezza di favorire con il proprio voto, al di là delle differenze tra destra e sinistra, il governo di una aristocrazia politica capace di servire esclusivamente il paese (*). Virtù che può appartenere solo a pochi, scelti e coltivati individui.
Una
qualità che ha illuminato la Gran Bretagna. Ancora viva ai tempi di Margaret Thatcher. E per un certo periodo, sulla sponda laburista, grazie a Blair. Ovviamente, oggi le cose cambiate anche a Londra. E se sono nei guai i
britannici, figurarsi gli “italici”…
Carlo Gambescia
(*) Abbiamo già affrontato la questione qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2018/11/modesta-proposta-per-prevenire.html . E qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=guizot