In
un articolo di fondo del “Messaggero” dell’11 luglio, Alessandro Campi invitava
Salvini, visti i risultati delle Europee e i successivi sondaggi,
“a passare il guado elettorale” . Inutile cincischiare, si scriveva, perché come noto, l’elettorato è volatile, il
successo pure, eccetera, eccetera (*).
Ora,
non è che i politici italiani, che già di per sé non
pendono dalle labbra di nessuno (e figurarsi un narciso come Salvini), prendano per oro colato le analisi dei politologi.
Tutt’altro.
L’episodio
invece è significativo, perché ha il
valore della spia rossa che si accende.
Ci spieghiamo subito.
Se il “Messaggero”, proprietà Caltagirone, giornale notoriamente filogovernativo, approva nella persona del direttore Cusenza un editoriale,
per così dire, da estremista di centro,
scritto tra l’altro dall’ex consigliere di Gianfranco Fini, significa che si vuole esercitare su Salvini, un pressione fortissima in favore delle elezioni. E da parte di chi? Di un imprenditore stanco del giustizialismo incapacitante dei pentastellati.
Ma c'è dell'altro. Qual è il ragionamento, in fondo classico, del mondo economico nel suo insieme? Semplicissimo: meglio le elezioni e poi un governo di centrodestra o chissà di centrosinistra, governi con i quali si può ragionare di economia, che un ibrido governo populista in condominio con una ciurma di pericolosi ragazzini pentastellati che vanno in giro con il codice penale e tributario in tasca.
Ma c'è dell'altro. Qual è il ragionamento, in fondo classico, del mondo economico nel suo insieme? Semplicissimo: meglio le elezioni e poi un governo di centrodestra o chissà di centrosinistra, governi con i quali si può ragionare di economia, che un ibrido governo populista in condominio con una ciurma di pericolosi ragazzini pentastellati che vanno in giro con il codice penale e tributario in tasca.
Si noti al riguardo l’atteggiamento, più o meno simile, del “Corriere della Sera” (Cairo). Più sfumate, ma
non del tutto contrarie alle elezioni, le posizioni di “Stampa” e “Repubblica” (Gruppo GEDI), comunque assai critiche, come “Sole24Ore” (Confindustria), nei
riguardi del governo giallo-verde.
A
queste pressioni esterne, a livello di opinione pubblica che conta, perché
economica, vanno sommate le pressioni
interne alla politica, non tanto della Lega, controllata in modo ferreo da
Salvini, quanto quelle in primis del Partito democratico targato Zingaretti, giudicato in ripresa e
desideroso di liberarsi dell’ipoteca parlamentare dei renziani. E, in secundis, ma molto in secundis di Fratelli d’Italia, pronti a dipingersi come
futuri e fedeli alleati di governo, con Berlusconi fuori dai giochi.
I
retroscenisti hanno parlato addirittura di contatti determinanti tra Salvini e
Zingaretti e della promessa del nuovo
segretario di schierarsi per il voto anticipato, aiutando il leader leghista a convincere Mattarella, non insensibile ai
desiderata della sinistra.
Sappiamo poi
come è andata: Renzi si è messo in mezzo, eccetera, eccetera. E perciò ora, gli stessi giornali che spingevano perché Salvini staccasse la spina, guardano verso il nascente governo giallo-rosso. I dubbi ci sono, però... E l'accenno di Conte nel suo discorso al fatto che tutti devono pagare le tasse non ha aiutato a dissiparli. Come del resto la sciabolata del Presidente incaricato sul primato della redistribuzione, senza precise indicazioni, se non quella chimerica di un "nuovo umanesimo", su come accrescere la produzione di ciò che si vuole redistribuire.
Dove
ha sbagliato Salvini? Nel credere, non
tanto nella parola di Zingaretti, quanto nel ritenere che il mondo economico
abituato o meno a fare affari con lo stato fosse dalla sua parte. Sicché,
Salvini ha pensato, sbagliando, di essere in una specie di botte di ferro, coperto
a destra e sinistra.
Ragionamento
totalmente sbagliato, perché il “Capitano”
non era e non è il leader moderato di una destra normale, una
specie di Democrazia cristiana, magari solo più a destra, della quale il mondo
economico si può
fidare.
Come
poteva credere Salvini che dopo un anno vissuto pericolosamente cercando di
imitare il duce, il mondo economico, che di regola diffida degli estremismi, lo
avrebbe appoggiato, anche contro il Partito democratico? E così è stato, appena Zingaretti ha cambiato idea sulle elezioni.
Perché puntare su Salvini - ecco il ragionamento del mondo economico davanti alla svolta - quando il Pd, come severa governante
dei ragazzini pentastellati, può essere più affidabile di Salvini? In attesa, ovviamente di tempo migliori… E con tutti i dubbi del caso.
Pertanto
la questione del fallimento di Salvini è
strutturale: non si può governare contro, piaccia o meno, equilibri economici
consolidati da decenni. E male ha fatto Salvini a ignorare la cosa. Anche per limiti personali e culturali. Ma questa è un'altra storia.
Il
che non significa che la politica semiperonista dei pentastellati sia
quella giusta. Assolutamente no. Il
problema Salvini (come del resto quello Di Maio, solo per fare un nome) rimanda
all’incapacità complessiva del populismo -
di destra o sinistra, figurarsi
se insieme al potere - di governare. Il
dilemma è il seguente: se il populismo vuole mantenere le promesse, distrugge
l’economia, se non le mantiene perde i voti dei suoi elettori e quindi è
costretto a ritornare sui propri passi. Nei due casi, sia come sia, entra inevitabilmente in rotta di
collisione con il mondo economico.
Ora, toccherà al Partito democratico mettere in castigo i discoli pentastellati. Anche se, Salvini, a dire il vero, neppure ha tentato. Auguri.
Adesso che è all’opposizione come si comporterà il "Capitano"? Difficile dire. Dipende da ciò che riuscirà a imparare dalla crisi che ha scatenato e che si è ritorta contro di lui. Se si riterrà vittima di un complotto, secondo il peggiore schema populista, si comporterà peggio di prima, azzerando qualsiasi possibilità di costruire una destra normale. Se invece capirà, che il tentativo di imitare Benito Mussolini porta solo guai, forse, e sottolineiamo forse, soltanto allora le speranze di costruire una destra normale si materializzeranno.
Carlo Gambescia
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