Luoghi comuni contro la democrazia
rappresentativa
La metafisica delle poltrone
La
destra oggi si sbizzarrisce. Si dia un'occhiata ai titoli per capire come sia
tuttora difficile interiorizzare che la democrazia rappresentativa è tale perché fondata sul compromesso e sugli interessi. Insomma sulle famose poltrone.
L’antiparlamentarismo nacque con il moderno parlamentarismo. Già ai tempi della rivoluzione francese
si criticavano i deputati dell’Assemblea Nazionale perché, si diceva, "attaccati alle poltrone". E a criticarli erano i simpatizzanti della controrivoluzione e della rivoluzione sociale. Nulla di nuovo sotto il sole. Per così dire, luoghi comuni che hanno più o meno due secoli di vita.
Quel
che invece è grave è che non si sia capito, nonostante la sanguinosa lezione del Novecento quando gli antiparlamentaristi
presero il potere in Europa, che la democrazia parlamentare
è la sostituzione dell'antidemocrazia del fucile con democrazia degli interessi. In altre parole, la conservazione dell'avversario prende il posto dell' eliminazione fisica nemico.
Ecco che cos’è il parlamento: una specie di camera di decantazione e superamento dei
conflitti armati. E’ perciò ovvio, dal momento
che le risorse politiche, soprattutto di coalizione, sono i “ministeri”, che nasca intorno ad essi,
un conflitto, sempre preferibile allo
scontro armato, eccetera, eccetera.
Per
quale motivo si critica così ferocemente la democrazia parlamentare? Antropologico. Perché agli uomini piace mostrarsi altruisti e nascondere gli interessi dietro i valori.
Sicché
le persone comuni, si pensi ai titoli di oggi, sono bombardate con critiche gradite a livello medio, ma ad alto potenziale etico-esplosivo. Perché tese a distruggere, volenti o nolenti, in nome dell' etica dei principi, un sistema, quello della democrazia rappresentativa, che invece si regge, proprio per istituto, sull’etica
della responsabilità.
Ci spieghiamo meglio. La
contrapposizione tra fini (etica dei
principi: la purezza democratica) e mezzi (etica della responsabilità: le cosiddette poltrone) serve soltanto a diffondere il disgusto
per tutto ciò che sia frutto
di compromessi. Insomma, i titoloni di oggi vanno a recidere le radici stesse della democrazia
rappresentativa.
Come
uscirne? Non esistono ricette miracolose. Serve senso della realtà. Politici e giornalisti (la Rete ormai è fuori controllo)
dovrebbero evitare, proprio per il bene
comune della democrazia rappresentativa, di fomentare inutili campagne d’odio in nome di una metafisica della democrazia da opporre alla
metafisica delle poltrone.
Si
tratta di una pseudo-dialettica molto pericolosa, che, come detto, viene da lontano, almeno
dal 1789, e che favorisce oggettivamente
le forze storicamente nemiche della democrazia
parlamentare. Un processo in qualche misura autodistruttivo, di cui la gente comune neppure si rende conto. Del resto per il cittadino medio parlare di valori quando non si hanno competenze specifiche né buona cultura generale è la cosa facile di questo mondo, soprattutto se non si hanno incarichi di responsabilità. Salire sul pulpito e atteggiarsi a grandi predicatori non costa nulla. Anzi ci si sente importanti. Il tutto, ripetiamo, a costo zero: senza studi, impegno, sacrifici, eccetera.
Si rifletta su un punto: la metafora più usata nella vita quotidiana della società dello smartphone è quella arcaica dello stato e della politica da gestire con i criteri del buon padre. Per scoprirlo basta fare un giretto sulla Rete. Proprio gli stessi criteri condannati da Locke nel capolavoro del pensiero liberale moderno: i Due Trattati sul Governo, dove al paternalismo si oppone il contratto. Gli interessi, se si vuole.
La denigrazione della democrazia rappresentativa crea insofferenza e moltiplica la disaffezione. E dal disgusto, come già avvenuto, può nascere la
dittatura. Certo, paterna, molto paterna.
Carlo Gambescia